[REPORT] Timber Timbre, oltre l’estetica

Dopo aver presentato il loro ultimo disco durante il TOdays Festival di Torino, i Timber Timbre sono tornati in Italia per tre date: siamo andati a vederli alla Salumeria della Musica.

_Davide Agazzi

Amanti dell’estetica, lontani dai grandi palcoscenici, delicati poeti contemporanei, affilati come la lama di un coltello. Anzi, di un’ascia da boscaiolo. Di tutte le cose che si possono dire, solo una è certa: i Timber Timbre sono una piccola perla lucente del panorama musicale contemporaneo. Li abbiamo ascoltati dal vivo, in occasione della loro tournèe italiana, alla Salumeria della Musica di Milano.

Nonostante la formazione guidata da Taylor Kirk vanti già una decina d’anni sulle spalle e 6 dischi registrati in studio, la band canadese non ha mai avuto la possibilità e/o necessità di farsi conoscere, di farsi amare dal grande pubblico. Una strategia anti-commerciale (ci perdonino i fan di Breaking Bad) che ha premiato dal punto di vista artistico,  migliorando continuamente il loro livello produttivo. Chi li segue da tempo avrà potuto ammirare la loro evoluzione, culminata quest’anno con un album meraviglioso: Sincerely, Future Pollution. Un disco di altissimo livello, denso di suoni, ma allo stesso tempo soffuso, che sembra quasi svanire alla fine dell’ascolto.

I fan della prima ora non potevano che nutrire un’immensa curiosità per quanto proposto dal vivo. E ancora una volta i Timber Timbre sono riusciti a sorprendere. Sul palco della suggestiva Salumeria della Musica (quante volte dei canadesi potranno suonare davanti a un bancone di affettati?), Kirk e soci si atteggiano con una calma e una tranquillità quasi inquietante, così come la propria musica. Spaziano nel loro repertorio senza un filo conduttore, le canzoni si deformano, ma tengono sempre fede a quelle atmosfere cupe e sinistre che tanto li hanno contraddistinti. Non c’è più spazio sicuramente per quella sorta di folk oscuro con cui si erano fatti conoscere durante le registrazioni di Hot Dreams: le sterzate del sax, che si materializza in sala proprio per l’assolo di Hot Dreams e per il gran finale, tagliano l’aria in due, conferendo alla band delle spigolature tanto inattese quanto gradite (sulle note di Woman il cuore batte forte a suon di jazz-core).

Kirk, un maniaco amante della perfezione, è un personaggio dalle mille anime: la devozione a Nick Cave sembra essere totale e spesso risuona persino il rock-blues incendiario dei Grindeman, ma nelle corde vocali del cantante canadese si riflette anche lo spirito controverso di Lou Reed, la voce saggia di Leonard Cohen.

Un connubio perfetto, un concerto studiato alla perfezione che regala davvero emozioni profonde. Difficile immaginare un ulteriore passo avanti, ma dai Timber Timbre è lecito aspettarsi qualsiasi cosa. Sempre con stile e con un po’ di inquietudine addosso.