Il Libro dei Ricordi di Michela Murgia

La Notte degli Archivi e MITO si intrecciano in una serata all’insegna di note e parole. La scrittrice sarda Michela Murgia si insinua con la sua ironia contagiosa nell’Archivio di corte Sabaudo costruendo una vivace ed amara riflessione sulla storia sotterrata dei vinti e sul destino della memoria.

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_di Valentina De Carlo

Musica e carta: un connubio perfetto che si realizza in una piovigginosa sera di settembre quando, sotto la luna e accanto alla Mole, i torinesi fanno la fila per entrare in quei luoghi misteriosi e non troppo conosciuti chiamati archivi.

Nella seconda edizione della Notte degli Archivi, i custodi della memoria collettiva aprono le porte per mostrare i loro segreti e i loro preziosi ricordi, chilometri di parole, indelebili tracce della Storia. Tra le 21 proposte della serata, ci siamo addentrati nell’Archivio di Stato di Torino, nella sua sede juvarriana di piazza Castello, dove pergamena e carta attendono solo di riprendere vita. In attesa della scrittrice ospite che ci narrerà qualche ricordo pescato, non a caso, tra questi 82 chilometri di storie, ci introduce la serata un duo di chitarristi inseriti nel programma di MiTo Settembre in Musica.

I giovanissimi Yuri Yague ed Enrico Gagliano, con le loro chitarre classica, acustica ed elettrica, smuovono ogni fibra dei nostri muscoli e intrecciando melodie, mettono in movimento emozioni. Rivisitano brani famosi della musica classica e del repertorio popolare, e ci propongono le loro creazioni, come fa Yuri, che ci suona un brano per chitarra classica da lui composto. Ispirato dalla drum’n’bass, con le influenze di progressive rock, progressive metal, nonché dei più celebri chitarristi fingerstyle, ha creato qualcosa di in parte inedito, che trafigge con un’elettricità rara, che ti pulsa subito addosso e ti fa tenere il ritmo con il piede, mentre da qualche luogo indefinito, gomitoli di emozioni risalgono i cunicoli del corpo ed il pensiero vola, riflettendo su quanta arte ci sia ancora da inventare.

In una bolla di musica che trasporta altrove, inizia la serata nell’Archivio Sabaudo con la scrittrice Michela Murgia.

Cosa ci fa una donna sarda nel luogo nato per custodire le memorie del potere del Regno di Sardegna? Se lo chiede lei per prima, mentre con la sua verve innata ci accompagna alla scoperta di alcuni pezzi d’archivio che incuriosiscono le duecento persone sedute per terra sull’antica pietra, compresa la direttrice dell’Archivio Monica Grossi, alla guida della soprintendenza Archivistica di Piemonte e Valle D’Aosta, che la affianca con le sue competenze e la sua naturale modestia.

“Itte mi cuntas? Cosa mi racconti?” esordisce la scrittrice in dialetto sardo per poi iniziare a raccontarci di un lungo rotolo di pergamena, La Cronaca della Novalesa, che svela i macabri dettagli di quando l’imperatore Ottone III, fan di Carlo Magno, fece aprire la sua tomba ad Aquisgrana per poterlo guardare in viso, o in quel che ne restava, e fu onorato di ricostruirgli il naso ormai polverizzato, sostituendolo con uno d’oro. Dalla Francia poi ci conduce in quella terra aspra e selvaggia che é la Sardegna, sua isola natia, per leggerci, con la sua elettrizzante ironia, una lettera che re Carlo Alberto scrisse alla sua amante mentre visitava il territorio sardo.

«Questo é un archivio: un luogo vivo,
dove dormono frammenti di eternità»

Tra aneddoti saporiti ed elogi entusiastici dei panorami che lo circondano e del popolo che li abita, sbirciamo tra le righe della Storia ufficiale, riportando in superficie quella sotterrata dei vinti e attraverso una discendente di quella popolazione, guardiamo dritto negli occhi la testimonianza di un dolore lontano, ma non per questo dimenticato.

Attraverso una narrazione bruciante, viva e sincera possiamo percepire la potenza di un trauma altrui, di un evento che non abbiamo vissuto, ma che possiamo comprendere. In quelle parole vergate a mano con pazienza, attenzione e grazia, troviamo una gloria passata, ma striata di sangue e sofferenza, di abbandono e desolazione, improntate per sempre in alcuni dei paesaggi più suggestivi della Sardegna.

Rimaniamo in silenzio ad ascoltare, come i bambini quando ascoltano le favole, scossi da qualche risata, alle volte un po’ amara. Questo é un archivio: un luogo vivo, dove dormono frammenti di eternità, brandelli di carta sgualcita, ma che resta come segno tangibile del tempo che passa. E adesso, nel secolo di internet e di Facebook, come conserveremo i nostri ricordi, come archivieremo pensieri ed emozioni, fotografie di istanti catturati, pagine di diari virtuali, in cui riversiamo la nostra visione del mondo, come una volta erano soliti fare macchiandosi le dita d’inchiostro?

Quando, nel silenzio stupito del pubblico, l’autrice ci rivela in un sussurro che anche un colosso dell’era digitale come Facebook, inneggia alla carta promuovendo il Libro dei Ricordi, libro che ciascuno si può produrre, trasferendo sul foglio quello che ha creato sulla sua pagina online, scopriamo, o meglio confermiamo a noi stessi, che la Storia é un cerchio argenteo che si ripete ciclicamente, in cui tutto torna e tutto si rinnova.

Per fortuna non é ancora finito il tempo in cui possiamo sentire il profumo della carta stampata, attraversata dalla desueta scrittura manuale o, ci dobbiamo accontentare, dai caratteri standardizzati del pc. L’importante é avere tra le mani un oggetto reale e simbolico, un contenitore della memoria, della nostra memoria, che non é altro poi che la nostra stessa vita.