_di Martina Lolli
Il Siren è uno di quei festival che si nutre delle atmosfere e delle congiunzioni meterologiche e paesaggistiche dell’ambiente che lo ospita. La venue è la città di Vasto, divisa in 5 palchi più o meno grandi sparsi tra la marina e il centro storico che hanno accolto la quarta edizione del festival, qui nato e cresciuto grazie alla DNA concerti.
Nelle quattro giornate del Siren, dal pomeriggio a tarda notte, Vasto si è animata di migliaia di “pellegrini” desiderosi di essere risucchiati dalla marea sonora che ha viaggiato tra il cortile e i giardini d’Avalos, tra la Siren beach e porta San Pietro, per finire ogni sera con gli headliner a Piazza del Popolo. Al Siren vai perché trovi delle chicche che spiccano nella line up ricca e trasversale e finisci che se vuoi sentire tre o quattro live ne ascolti dieci volte tanto perché la fruizione è facilitata dalla vicinanza delle location e da un palinsesto dal timing impeccabile. Quest’anno il festival ha aperto i battenti il 27 luglio con due live nel cortile d’Avalos, unico stage della serata dedicata a Malihini e TaxiWars.
Malihini, progetto del duo Gianpaolo Speziale – Federica Caiozzo, ha ammaliato i presenti con il lirismo delle bellissime linee vocali ricamate su un’armonia semplice e diretta. Un preludio soft che ha lasciato ai TaxiWars – nati nel 2014 dal leader dei dEUS, Tom Barman – il compito di investire il pubblico con una scarica di energia e sana follia. Cambi repentini dalle atmosfere low rock memori dei Morphine alla sfrenatezza jazz di un sassofono alla Naked City che, sulla scorta di un’eccezionale base ritmica, sembra non avere limiti. Barman si conferma un ottimo frontman capace di infiammare il pubblico con una voce suadente e simpatiche bizzarrie sul palco.
Questi i due live che hanno fatto da preludio al Siren facendo intuire il pubblico variegato che l’indomani si sarebbe presentato al festival. Il 28 infatti registra musica per tutti i gusti: alla Siren Beach ospitata dal Lido Sabbia d’oro di Vasto Marina si può godere di show acustici e dj set spaziali (degno di nota Maiole). Al calar del sole lo sciamano e poeta Emidio Clementi (membro dei Massimo Volume) si esibisce ai giardini D’Avalos con Corrado Nuccini (Giardini di Mirò) alla chitarra e agli effetti. L’atmosfera si fa intima e meditativa, l’aria si tinge di arancio e Clementi sussurra a un pubblico assorto che si lascia cullare dalle sue frasi iperboliche, ossimoriche e perentorie, dalle sue storie senza tempo che reinterpretano “Quattro Quartetti” di T.S. Eliot. Sono tutti seduti a terra, rapiti da una corrispondenza di senso e percezione difficilmente replicabile, “il mare tutto intorno”. È l’ora della degustazione dei vini locali ai giardini, momento in cui i sensi si distendono e la fruizione diviene sinestesia.
La serata prosegue con il revival ’60s della band californiana Allah-Las che registra il primo pienone del Siren, rendendo lo Jäger music stage – il cortile d’Avalos – inaccessibile fin dalle prime note. All’interno il pubblico è un’onda che danza ai ritmi psichedelici della band: armonie acide, accordi lenti, assoli dal sapore surf che costruiscono brani che riportano le suggestioni dai soundtrack che la band ha composto agli esordi.
A interrompere le esibizioni nel cortile d’Avalos è Ghali, rapper di origini tunisine che si esibisce a Piazza del Popolo; fenomeno italiano della trap che ha poco a che fare con il palinsesto del Siren e che raccoglie orde di ragazzini sotto il palco mentre allo Jäger music stage si accalca un pubblico selezionatissimo che attende impaziente il live dello storico gruppo new wave Cabaret Voltaire, rappresentato al Siren dal leader Richard Kirk. Per chi si aspettava un set “low”, Kirk scompagina le carte in tavola innalzando cattedrali di suoni e immagini frenetici nella cui sperimentazione confluiscono il ritmo serrato della techno, le incursioni rumoristiche dell’industrial e un sound squisitamente cyberpunk; ritmi ballabili che hanno sciorinato la violenza iconoclasta di una tecnologia che amplifica e demolisce ogni cosa.
In the meanwhile a Porta S. Pietro – palco accessibile a tutti – sfilano i nomi dell’indie internazionale e del cantautorato emergente italiano (Blanche, Francobollo, Colombre, Andrea Laszlo De Simone, Giorgio Poi) e alle 23 ci si riunisce tutti in piazza del Popolo per i Baustelle che si muovono anch’essi sul filo rosso del revival, ma targato Anni Ottanta e a tratti un po’ stucchevole. Il conseso è però unanime e in piazza non sono solo i più giovani a intonare i grandi classici dei Baustelle (“Love”, “Charlie fa surf”, “Bruci la città”), ma anche la generazione precedente che trova nelle voci di Francesco Bianconi e Rachele Bastreghi un confortante tuffo nel passato.
Lo Jäger music stage – palco destinato ai grandi dj set in seconda serata – ospita Apparat alias Sascha Ring in veste di disc jockey. Il cortile d’Avalos si trasforma in una dancefloor che si infrange sul lirismo e l’emotività del mixing di Apparat, privo di grandi picchi ritmici ma altamente espressivo.
Il 29 si inizia presto alla Siren Beach dove fra gli unplugged di giovani cantauori – si ha l’impressione che siano in gran parte improvvisati – spicca Persian Pelican (il marchigiano Andrea Pulcini) che sciorina un’atmosfera onirica con chitarra acustica, omnichord e loopstation; un sound essenziale che pone l’accento sulla voce.
«Da non sottovalutare l’apertura e la chiusura – vere perle del festival – per vivere l’esperienza al completo, mentre si cerca refrigerio nei giardini al tramonto,
con un bicchiere di vino in mano»
Ai giardini d’Avalos la perfomance della sirena inglese Lucy Rose che presenta in Italia il suo ultimo album, “Something’s changin” – registrato in diciassette giorni – è la narrazione del racconto intimo e toccante del suo tour di debutto in America Latina, organizzato in maniera indipendente con l’aiuto dei fan. La cornice naturale e architettonica dei giardini è luogo ideale per questa confessione folk-rock; quando le luci naturali si abbassano, il tono intimo diviene un viatico per le atmosfere rilassate del dj Populous (Andrea Mangia), fra i producer più interessanti della scena internazionale. Populous si esibisce a Porta San Pietro, location fin troppo ristretta per il suo calibro, che anima con il ritmo della cumbia sudamericana che si incastona alle sonorità dell’elettronica europea dando vita a una musica creola che raccoglie consensi.
Una manciata di minuti dopo in Piazza del Popolo il bellissimo live di Ghostpoet, rapper inglese che esordisce nel 2010 con l’EP “The sound of strangers”. Presente al Siren con la band al completo, ha sciorinato sonorità ruvide che – con il contrasto tra la sua voce calda e l’acidità della chitarra fuzz – hanno messo in piedi un concerto consistente ed energico, il primo in Italia.
A ruota uno dei live più attesi della serata, gli Arab Strap, riunitisi nel 2016 dopo lo scioglimento di dieci anni prima. Il duo scozzese, presente quest’anno anche al Primavera Sound, si esibisce nel cortile d’Avalos, location che purtroppo penalizza con un po’ di riverbero la loro performance ricca di suggestioni e di sfumature intense provenienti dalle linee del violino e dall’interpretazione quasi recitata dello storico leader Aidan Moffat. Nonostante tutto emergono una grande carica e la capacità di passare con disinvoltura attraverso stanze sonore diverse, con il sostegno delle chitarre pesanti di Malcom Middleton e da una ritmica asciutta.
Headliner di questa serata è il danese Trentemøller, conosciuto ai più come un raffinato musicista minimal e IDM. Con la sua band inaugura il live in Piazza del Popolo performando diversi brani tratti dall’ultimo album “Fixion” e riproponendo cavalli di battaglia dai dischi precedenti (“Take me under your skin”, “Miss you”, “Moan”) sostenuto dalla soave voce di Marie Fisker. La partecipazione è unanime: ragazzi e adulti uniti ad ascoltare le sonorità dark prese in prestito dalla new wave ma intarsiate di innesti elettronici immediati ed efficaci. Il risultato è un’apparente semplicità compositiva ma estremamente calibrata, che lascia respiro a evocative linee vocali. Il live aumenta in crescendo e Anders Trentemøller si diverte con il pubblico che partecipa anche dai balconi affacciati in piazza. Dopo Trentemøller solo il dj set di Daniel Miller, fondatore dell’etichetta indipendente Mute Records (che ha prodotto tra gli altri Depeche Mode e Moby), può tenere testa all’adrenalina che l’artista ha inoculato nei presenti.
Il Siren chiude il 30, in bellezza, così come aveva cominciato, con il delicatissimo live dello svedese Jens Lekman nella chiesa del Carmine. Il suo eccezionale controllo della voce fa sì che si apra un varco diretto con il suo cuore e che ogni nuances possa librarsi nelle volute fra gli austeri decori della chiesa. Semplicità ed efficacia nei suoi arrangiamenti “bucolici” che permangono come un’eco emotiva in tutti i presenti.
“E’ stata un’edizione indimenticabile. Ci vediamo il prossimo anno” hanno commentato gli organizzatori del festival. Boi siamo già lì.
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