Il battesimo torinese del format Open House è stato un successo: ben 111 location normalmente chiuse al pubblico hanno aperto i battenti, regalando sguardi inediti sulla città, riportando alla luce storie dimenticate e stimolando discorsi sulla riqualificazione urbana.
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_di Miriam Corona
Vivere la città a tutto tondo non è sempre possibile. Open House, progetto partito nel 2012 da Roma, approdato nel 2016 a Milano e nel 2017 a Torino, è un’ode alla riscoperta della città nascosta (e non) che sana il senso di curiosità di chi ha sempre voluto esplorare più a fondo ciò che ci circonda. Torino nasconde delle gemme preziose tra le vie della sua città, palazzi storici adibiti ora a uffici, sedi amministrative o case private non aperte al pubblico. Non si è trattato solo dei luoghi storici di Torino, delle sue contaminazioni liberty e del lato egregiamente sabaudo e regale; è stata anche una grande occasione per parlare di riqualificazione: luoghi che hanno segnato lo sviluppo della Torino industriale verso una città vivibile a trecentosessanta gradi.
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Villino Raby
C.so Francia, 8
Fiore all’occhiello dell’architettura liberty torinese che ha come protagonista indiscusso Pietro Fenoglio, architetto emblematico di quel periodo conosciuto maggiormente per la costruzione del Villaggio Leumann a Collegno e la famosa location di Profondo Rosso, Villa Scott. La Villa, che sorge su C.so Francia, è attualmente sede dell’Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri e rappresenta una delle opere migliori di Fenoglio.
Si accede nel cuore della casa percorrendo un breve corridoio che reca ancora (come d’altronde la maggior parte degli ambienti) le finestre con le vetrate originali risalenti ai primi del ‘900, caratterizzate da intensi colori che vivacizzano la luce che vi filtra attraverso. Il primo ambiente che si trova è una sala di modeste dimensioni, attualmente adibita a sala d’attesa, dalla quale si sviluppa uno delle componenti architettoniche più prodigiose dell’intero complesso, la ringhiera della scala principale realizzata da Mazzuccotelli interamente in ferro battuto, che si avvolge in contorte e sinuose spirali fino al piano superiore. Da lì è possibile ammirare, affacciandosi dalla terrazza, l’imponente bovindo angolare che riporta le tipiche decorazioni liberty a volute e spire costruite in pietra da Gussoni. Nel cortile interno invece, sono ancora presenti le scuderie che ad oggi risultano quasi irriconoscibili a causa dei numerosi interventi di ristrutturazione, utilizzabile come sala per convegni e conferenze.
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Ex Birrificio Metzger
Via Gabriele Bogetto 4/G
Si continua sotto il segno di Fenoglio che realizza il birrificio Metzger nei primi dei ‘900 nel cuore di San Donato, azienda che disseterà i torinesi per decenni, soprattutto in tempi di guerra, con lo slogan di “chi beve birra campa cent’anni”. La produzione, incentrata su una birra bionda ed una scura, raggiunge la sua massima notorietà grazie alle campagne pubblicitarie dell’artista futurista Nicolaj Diulgheroff, che segna il passaggio definitivo del marchio grafico dalla leziosità dello stile liberty alla minimalista “M” rossa maiuscola. La birra Metzger diventa così la bevanda emblema del futurismo, alla quale artisti come Filla e Balla si riferiscono tramite le denominazioni “Brodo solare” e “aerovivanda”.
Nel 1970 il marchio scompare, assorbito dal gruppo Dreher, e lo stabilimento chiude ufficialmente nel 1975. Attualmente ospita il Centro di Cultura Contemporanea, associazione che mette a disposizione gli spazi del birrificio per attività eterogenee; il fornello popolare, una cucina dotata di tutto l’essenziale per cucinare o rifornirsi di acqua e altre bevande; un’ampia sala conviviale con tavoli, sedie, due grandi letti in legno massello e una vasca azzurra a zampe di leone con tanto di doccia incorporata; dormitori con bagno privato incluso, arredati in minuscole stanze ma con soluzioni di design funzionali; una sala da ballo, sede della scuola di danza di Oxana Kichenko, ballerina di uno dei teatri più importanti di Mosca, il Bolshoi, conosciuto principalmente per avere i migliori ballerini classici al mondo; sul tetto, un ampio spazio verrà adibito a orto e spazio vivo grazie al progetto Flat Garden che si occupa di rivalutare gli spazi urbani trasformandoli in giardini pensili aperti al pubblico; un ultimo ambiente, il cui soffitto è costellato da appendiabiti sotto forma di sculture mobili, ospita sedute di meditazione, favorito dalla posizione del sole che filtra sia al suo sorgere che al suo tramonto attraverso le due finestre ai lati opposti della sala.
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Scultura Fiori
Via Rosolino Pilo, 21
Non sempre le composizioni floreali sono semplici contorni da matrimonio o regali impersonali; ne è un esempio l’atelier (o sarebbe meglio dire galleria d’arte) Scultura Fiori di Maria Cecilia Serafino, fiorista che non si definisce una venditrice di fiori, bensì “traduce sentimenti e immagini donando emozioni”. Allestito in una villetta dei primi del novecento, l’atelier è un’oasi di raccoglimento e di immersione nella natura e nelle composizioni realizzate: dal riutilizzo delle volute di ferro dei vecchi lampioni ora adibiti a porta vasi, a vimini intrecciati fino a creare dei nidi a grandezza umana, fino ancora ad abiti e scarpe composti da fiori secchi e foglie e veri e propri oggetti di design in ferro, stagno ed altri elementi naturali. Maria Cecilia condisce ogni suo lavoro con una passione che dura da decenni e che non si riversa solo su composizioni da ammirare in negozio, ma anche su vere e proprie installazioni scenografiche che dialogano con l’architettura, che sia di una chiesa o un teatro, sempre nel rispetto reciproco della natura. L’atelier, il cui cortile interno si divide tra serre e spazi aperti, occasionalmente diventa anche location per corsi, mostre, presentazioni di libri ed eventi per chi gradisce un’atmosfera floreale a tutto tondo nel pieno della città.
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Casa Ozanam
Via Foligno 14
In pieno Borgo Vittoria, Casa Ozanam è un complesso di edifici destinato ad attività sociali organizzate da varie associazioni. Il progetto, originario di Nicolaj Diulgheroff, architetto e designer futurista (lo stesso del manifesto Metzger) conferiva allo stabile la forma di una macchina-nave, successivamente diventate luogo di produzione delle lamiere SIMBI nel 1938. Le strutture si sviluppano intorno ad uno spazioso cortile centrale, sul quale si affaccia il dehor del ristorante “Le Fonderie Ozanam”, gestito dalla cooperativa sociale Meeting Service che realizza piatti con ingredienti a km0.
Un km0 letteralmente riuscito; sul tetto delle ex fonderie infatti cresce un orto che occupa 150 mq di spazio, insieme ad una zona dedicata specificatamente all’apicoltura. Accessibile dal cortile tramite una scala, l’OrtoAlto è un’opportunità per garantire prodotti freschi e di qualità al pubblico, creare uno spazio verde all’interno del quartiere e intraprendere un percorso lavorativo. Esso è diventato un vero e proprio giardino condiviso, sia per adulti che bambini, protagonista di laboratori periodici dedicati all’orticoltura, alla cucina e al riciclo creativo. Casa Ozanam si impegna in una gestione coinvolta, rivolta alla sostenibilità futura e al rafforzamento della collaborazione tra il quartiere urbano e i suoi fruitori.
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Ex Incet
Via Francesco Cigna 96/17
Da fabbrica di cavi elettrici a centro polifunzionale: il complesso industriale dell’Incet oggi è uno degli spazi che punta all’innovazione sociale all’interno del programma di riqualificazione Urban Barriera. Nonostante i vari bombardamenti subiti durante la seconda guerra mondiale, il progetto ha voluto conservare la struttura originale degli edifici che rappresenta ad oggi un esempio significativo dell’architettura industriale del primo Novecento. Numerosi gli interventi di smaltimento e riconversione per garantire la messa in sicurezza dal punto di vista ambientale, durati circa cinque anni, fino alla creazione di enti sociali attualmente attivi come l’Open Incet un innovation center che si propone di sensibilizzare il contesto negli ambiti digitali, valorizzare il territorio torinese e supportare connessioni e collaborazioni per creare delle valide comunità per scambi di idee.
Recentemente un’area viene utilizzata dall’Accademia Albertina di Belle Arti per gli studenti di scenografia teatrale, cinematografica e televisiva, luogo selezionato (conteso con l’infine escluso Palazzo Barolo) per instaurare un discorso mirato alla riqualificazione del quartiere insieme al Museo Ettore Fico e i Marcido dell’omonima compagnia teatrale. A breve si insedierà nella manica est del complesso l’Impact Hub, spalla per l’organizzazione di eventi e coworking all’interno dell’Incet, che alimenterà le già presenti realtà innovative quali Izmade, collettivo che opera nell’eco-design autoprodotto, Rokivo, studio di design e molti altri.
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In copertina: PALAZZO DEL LAVORO, VIA VENTIMIGLIA 221