Un’analisi a 360° sul festival più importante della nostra generazione.
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_di Roberta D’Orazio
Il Parc del Fòrum è un luogo a cui ci si affeziona. Non di certo per la sua bellezza, lontana da canoni estetici idilliaci – si tratta per lo più di un’immensa spianata di cemento e di breccia, con qualche spazio verde, seppure impagabile sia la presenza del mare. Eppure in quei chilometri macinati dalle suole delle scarpe nei giorni del Primavera Sound, ogni anno si trova un motivo per cui tornare. Si tratta, in effetti, di un festival in grado di fidelizzare il proprio pubblico grazie a una proposta vasta e diversificata – “un buffet di concerti”, mi dice Vicky, l’assistente del mio dentista (con tutti i pro e i contro una definizione del genere comporta) mentre cerca di conversare con me avendo visto al mio polso il braccialetto verde della manifestazione, ignorando totalmente il fatto che io non possa risponderle mentre mi visita.
Proprio in nome di tanta vastità e varietà, il mio resoconto dell’edizione 2017 del Primavera Sound non può essere univoco, ma è un racconto a più voci condotto tanto da chi ha partecipato al festival per la prima volta, sia dai veterani che non mancano all’appuntamento annuale, nel tentativo di analizzare da più punti di vista i tasselli del mosaico. Non solo i live dunque, ma i servizi dell’area del festival, la città attorno, il pubblico, i momenti sociali e le sfumature di cui l’universo Primavera Sound si compone.
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Il pubblico
“Fino a 3/4 anni fa era raro trovare gente che parla costantemente, o gente particolarmente molesta, invece ultimamente ci sono eccome.” mi racconta non a torto Federico. Secondo Elena uno dei problemi è “l’ampliamento delle presenze” ma riscontra un dato positivo negli house concert “che riportano a una dimensione più umana e intima del rapporto tra artista/pubblico vagamente paragonabile alla situazione SXSW, il festival ad Austin in cui non esiste un vero e proprio headliner e ogni band suona più volte durante tutta la durata del festival e i live si svolgono in giro per la città nei posti più diversi (si va dal locale che fa concerti abitualmente durante l’anno, alla pizzeria al negozio di abbigliamento), in situazioni mediamente molto piccole/raccolte dove il contatto con il pubblico si fa molto intenso.”
Un contatto, a mio avviso, non sempre valorizzato per ovvie ragioni dai grandi palchi del Primavera (anche se non me la sento di affermare che Mac DeMarco, con il suo show pirotecnico, non abbia flirtato alla grande con i presenti, solo per citare uno dei tanti esempi) ma che diventa preponderante durante il lungo periodo in cui a Barcellona si intensificano le attività collaterali legate al festival, proprio con concerti nei club e nell’ambito di realtà più piccole del tessuto urbano. Altre iniziative che si muovono in questa direzione sono il Primavera a casa teva, ovvero una serie di djset che si svolgono proprio negli appartamenti. Inoltre non è da trascurare, in termini di cura e fidelizzazione della relazione con il pubblico, il fatto che la tessera del Primavera Sound garantisca durante tutto il corso dell’anno l’accesso a dei concerti speciali presso la Sala Apolo e un generoso sconto sui djset del fine settimana: una sinergia che crea ottimi risultati anche nell’ottica dei trend dell’economia collaborativa.
Il pubblico, durante i giorni al Fòrum, è eterogeneo come sempre. Mi manca terribilmente l’uomo vestito da banana che incontro ogni anno. Ci sono dei bambini, non molti – indimenticabile per me fu la piccola che alcuni anni fa faticava a tenersi in piedi eppure ballava senza sosta di fronte al palco di Caetano Veloso. Per loro ci sono i concerti del Minimúsica, ma a quanto pare gli ospiti più giovani del Primavera, accompagnati dai genitori, gradiscono anche il live di Sinkane, tra afrobeat, funk e free jazz. A tal proposito bisogna specificare che il progetto del musicista sudanese ha visto forse la conclusione più triste del Primavera tutto, essendo lui costretto a interrompere l’esecuzione del brano finale, incredibilmente catchy, alcuni secondi dopo averlo iniziato, per questioni legate alle tempistiche, sempre rispettate in maniera ferrea.
Infiniti i personaggi bizzarri che si possono incontrare, come ad esempio “il signore spagnolo veramente avanti con l’età (e anche con il tasso alcolico) che mi si è piazzato davanti durante Skepta (in un contesto in cui già io a 31 anni mi sentivo la vecchia zia del resto del pubblico) e ha urlato tutto il tempo, è stato fastidioso e divertentissimo allo stesso tempo”, come racconta Flavia.
Rispetto alle connessioni che si creano con il resto del pubblico, sempre Elena: “È una cosa magica quando alle 3 del mattino della giornata conclusiva ti ritrovi a cantare insieme a sconosciuti, scambiandosi sguardi d’intesa, una canzone di una delle tue band preferite del momento, ti fa davvero ritrovare la pace con il mondo e con gli altri esseri umani.”
Il commento che più amo tra quelli che ho raccolto riguarda un immancabile presenzialista noto ai più come Big Jeff, un signore di Bristol famoso per aver partecipato a sette concerti a settimana per tredici anni, sul quale è stato realizzato uno splendido documentario.
Big Jeff balla dietro di me durante l’esibizione di Iosonouncane, e un fremito di orgoglio percorre la mia spina dorsale.
“Il momento più divertente del festival per me è stato l’abbraccio con lui.” mi dice Missile. Una nota di merito anche al racconto di Pierdomenico, breve ma intenso: “Ho passato il concerto degli Sleep vicino a Big Jeff che si è scaccolato il naso per tutto il tempo.”
I servizi dell’area festival
La stragrande maggioranza degli intervistati concorda sul fatto che i prezzi del cibo e delle bibite siano alti rispetto alla media dei festival, qualcuno obietta sulla qualità, pochi si dicono contenti in tal senso. Le critiche vanno dall’” insolita lentezza ai bar” rispetto alle altre edizioni ai “prezzi forse aumentati rispetto agli anni precedenti” (soprattutto, aggiungo, nella zona gourmet che si trova laddove giaceva un tempo il palco ATP, con un pezzo di “pizza” alla modica somma di 8 euro). Nota di merito ai bagni che soprattutto nella zona ristoro sono eccellenti e sempre puliti, e in generale anche quelli distribuiti in altre aree sono più che decenti.
Non tutti si sono resi conto del fatto che la Firestone offre un servizio navetta poco pubblicizzato (io stessa lo scoprii dopo circa 3 anni di frequentazione del festival) che dalla postazione food porta in pochi minuti ai palchi Mango e Heineken, molto lontani dall’ingresso – raggiungerli a piedi è la principale ragione per cui qualcuno afferma, dati alla mano offerti da una apposita app, di aver percorso 60 km in 3 giorni.
A tal proposito, l’assistente del mio dentista, allo scopo di aggirare due problemi rilevati dagli intervistati, ovvero il prezzo dell’abbonamento (da molti considerato eccessivo) e la distanza tra i palchi, mi propone di affittare un kayak per l’edizione futura, con il quale assistere al programma via mare (possibilità del resto offerta in un certo senso e limitatamente ad alcuni set nell’aria spiaggia, quest’anno migliorata rispetto alle edizioni precedenti).
Per quanto riguarda il servizio di navetta cittadino, molte le lamentele, e in effetti raggiungere di notte altre zone cittadine e non dalla terra di confine tra Sant Adriá de Besos e Barcellona in cui il Fòrum è ubicato può non essere semplice. Per quanto non sia in maniera totale responsabilità diretta dell’organizzazione del festival, che mette a disposizione uno shuttle verso il centro (sempre pienissimo, così come l’autobus notturno della rete urbana), un punto debole sono i trasporti notturni (il giovedì la metro chiude a mezzanotte, troppo presto per andare via, e riapre alle 5, troppo tardi per i residenti che il giorno dopo devono andare a lavorare, mentre il venerdì e il sabato chiude alle 2). Ricordo un anno in cui, grazie a un accordo con TMB (l’azienda di traporto pubblico a Barcellona) la metro fu in servizio la notte intera, per il resto solo grandi lacrime e ore trascorse attendendo un taxi (in generale non caro a Barcellona, ma i cui prezzi raddoppiano nei giorni del Primavera) o cercando maniere alternative per tornare verso casa.
Gradita da molti invece la possibilità di guardare la partita su maxi-schermo: “Per quasi un mese ho continuato a ripetere che la finale di Champions League non mi interessava e che mai e poi mai avrei rinunciato ai concerti per una partita di calcio. Quando però ho sentito che la partita si metteva bene per il Real, mi sono attaccato al maxi schermo e non me ne sono andati fino alla fine. Ho pure abbracciato i tifosi di Madrid.” racconta Cristiano.
I live
I miei interlocutori si dividono riguardo alle aspettative generate dal cartellone 2017. I veterani, soprattutto quelli che hanno partecipato all’edizione dell’anno passato (una vera e propria parata di stelle, con Radiohead, PJ Harvey LCD Soundsystem e un’infinità di altre prelibatezze musicali) non nutrivano molta fiducia rispetto a questo rinnovato appuntamento barcellonese, mentre i novizi, anche grazie all’hype generato dai media, sognavano un’esperienza indimenticabile. E tale si è rivelata un po’ per tutti, anche grazie al programma #unexpected, con concerti annunciati giornalmente attraverso la app di cui non si era fatta menzione prima del festival.
Emozionante vedere il secret show acustico degli Arcade Fire al tramonto, il giovedì, con il triangolo industriale di Badalona sullo sfondo e il mare dall’altro lato: il primo dei loro due concerti è citato quasi all’unanimità dalle persone con cui parlo. Tra gli altri nomi ricorrenti, i !!! con la loro dirompente carica energetica (i video presenti sull’internet racconteranno meglio di me l’accaduto) e Mac DeMarco (“il suo concerto è stato uno spettacolo comico” mi dice Cristian). In effetti, quel ragazzo timidino con la chitarra che avevo visto proprio qualche anno fa al Primavera ha ceduto il posto a un vero e proprio animale da palcoscenico, con la complicità dei Whitney che lo accompagnano e gli reggono il gioco. Il suo batterista è completamente nudo, i musicisti assumono pose plastiche e languide, lui risponde splendidamente a innumerevoli dichiarazioni d’amore che volano dalle file del pubblico. Il live è impeccabile, e andare via dopo “My kind of woman” per non perdere almeno una parte dell’esibizione degli Arab Strap è una dolorosa rinuncia.
Apprezzatissimo da molti anche Bon Iver. Elena racconta: “Nonostante la rabbia ancora viva per il tour europeo cancellato senza veri motivi, non ci sono parole per questo concerto. I suoi live sono sempre fantastici, ma forse ha superato se stesso, arrangiamenti assurdi e una band impeccabile. Bella anche la scelta dei pezzi vecchi da suonare, uno in particolare per true fans only.”
Non posso dire di aver ugualmente amato questo live: un inizio scoppiettante, ma l’impossibilità di ascoltare bene causa volumi pur trovandomi in una posizione apparentemente favorevole non mi ha permesso di immergermi totalmente nell’esperienza sonora. Eppure l’artista mi regala una gioia involontaria quando il suo set giunge alla fine e dal palco Mango, proprio di fronte, iniziano maestosi gli Slayer. Nella faccia letteralmente terrorizzata dell’hypster medio io riscopro la gioia del Primavera Sound.
Il metal è sempre stato presente nel cartellone del Primavera (ben ricordo i live dei Meyhem, con teste di animali sul palco, e lo show supremo dei Voivod, il cui frontman ci teneva in pugno, ipnotizzandoci, qualche anno fa) ma proporre come headliner i re indiscussi del thrash metal è una sfida degna di considerazione. Poche le voci scontente, diversi i fan entusiasti, in generale l’opinione prevalente è moderata e perfettamente espressa da Flavia, che trova la diversificazione dei generi in linea con lo spirito del festival: “È anche bello vedere gruppi che magari – come nel mio caso – saresti curiosa di vedere ma non tanto da andare a un concerto e ritrovarseli in lineup.”
Altro nome che ricorre è quello degli Afghan Wighs, a mio avviso l’unico live realmente privo di una qualsiasi pecca. Greg Dulli conserva intatta la propria voce priva di esitazione alcuna, supportato da musicisti (tra cui l’orgoglio nazionale Rodrigo D’Erasmo) che uniscono perizia tecnica, esperienza e capacità di ammaliare ogni singolo componente del pubblico.
Infine, sempre a proposito di orgoglio nazionalista, quasi tutti mi parlano di Iosonouncane. Alcuni concordano sul livello tecnico non eccellente, ma anche sulla bellezza del vedere Incani in un contesto tanto importante. La band lo supporta nella costruzione metodica e ossessiva di scenari oscuri, le percussioni tribali sono coinvolgenti e costringono il corpo a scuotersi, li total black del vestiario dei musicisti ben riflette il minimalismo espressionista. Quando inizia “Mandria” penso che se il brano durasse per giorni interi non avrei assolutamente nulla da obiettare.
L’immagine di Barcellona
Il Primavera Sound rappresenta uno splendido esempio di come la cultura possa ampiamente contribuire al commercio, con gli immensi numeri in termini di presenze che registra ogni anno. Non solo: per quanto la capitale catalana abbia in generale un rapporto complesso, d’amore e odio – sentimenti entrambi fortissimi per ragioni difficili da sviscerare in questa sede – con il turismo, l’immagine vivible ed economica che Barcellona trasmette a chi viene a visitarla è del tutto positiva e brillante. Chi frequenta il festival da anni ha già ben chiari molti ristoranti di riferimento (la Bombeta e la Xampanyeria, entrambi alla Barceloneta, sono i più conosciuti, ma qualcuno cita “un’osteria di tapas a Sants”, zona meno nota ma eccellente in termini di quantità-qualità-prezzo del cibo). Il quartiere più gettonato è il Born, per la combinazione tra posizione centralissima, a partire dalla quale si possono visitare anche il magnificente Barrio Gotico e il caotico Raval, e la vicinanza alla linea gialla della metro che porta direttamente al Fórum. In generale pochi si avventurano fuori dal centro, solo Cristian mi parla di Grácia, il vero cuore pulsante della città, un paesino protetto dalle poderose braccia della metropoli, e Matteo mi racconta di Selva de Mar, nel distretto industriale del Poblenou, sulle rive di una spiaggia che non ha nulla a che vedere con la dimensione turistica della Barceloneta, oltre a trovarsi in una posizione ideale per raggiungere il Fòrum (e per riposare senza rumori molesti durante la notte).
Molti parlano dei Musei, dal Picasso al MACBA, e il caso fortuito ha voluto che proprio nei giorni del festival si potesse approfittare per visitare l’eccellente mostra su David Bowie.
A conclusione di questa epopea collettiva, domando a chi si è prestato alle mie domande se l’intenzione è quella di tornare l’anno prossimo. La risposta positiva è quasi unanime.
Dolce e amara la considerazione finale di Fabio: “Saranno 4,5 anni che dicevo “quest’anno vado” e non l’ho mai fatto prima di quest’anno. Ne è valsa assolutamente la pena e l’allegria. Un po’ triste da dire ma al di là delle tradizioni, certe situazioni in Italia non sono replicabili, ne avevo già la conferma ma questo festival ha rafforzato ancora di più, se possibile, la mia convinzione. Poi ai concerti vado volentieri e mi trovo bene eh, ma la cultura dei festival in Italia mi sembra stia sempre più scomparendo (ed è un peccato, perché non l’ho realmente vissuta quella stagione e ho fatto a malapena in tempo ad intercettarne la coda finale).”
Flavia invece parla in toni entusiastici di quello che definisce l’”effetto Primavera”: “C’è un qualcosa di magico in questo festival, che va oltre l’offerta musicale, e che nessuno sembra essere in grado di spiegare – ma chi c’è stato, lo percepisce. L’unica delle mie amiche che era alla sua prima edizione quest’anno, era furiosa per Frank Ocean e quasi le era passata la voglia di venire. Dopo la prima giornata era estasiata, alla fine del dj set di Coco il sabato piangeva e aveva già cambiato idea.”
Ps. Un saluto speciale alla mia dentista, habitué della manifestazione che ha quest’anno potuto seguire solo fuori dai cancelli, che mi ha teneramente apostrofata chiamandomi “cabrona” (termine che non tradurrò per questioni di fascia oraria protetta) quando le ho spiegato che ero andata al festival come addetta ai lavori.
“Roberta, non c’è modo di far aprire uno stand per curare le carie all’interno del Fòrum?”
Per me è la sua la più bella espressione del desiderio di presenziare al Primavera, sempre e comunque.