Sleaford Mods: il punk dopo di te

Il duo inglese, reduce dal successo di critica del loro ultimo album “English Tapas”, porta il suo “caos ordinato” sul palco del Santeria Social Club.

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_di Filippo Santin

Difficile, davvero difficile, riuscire a inquadrare gli Sleaford Mods. Insomma, che genere fanno, ad esempio? Punk, rap, spoken word… Potremmo andare avanti per qualche minuto senza riuscire a trovare una definizione certa. L’epoca in cui viviamo, ad ogni modo, è quella della contaminazione, dove ogni cosa si mescola ad un’altra, vicina o anche lontana. Se la pensiamo così, allora, possiamo dire che gli Sleaford Mods saranno pur difficili da inquadrare, ma forse proprio per questo sono uno specchio fedele dei tempi in cui viviamo. E lo si poteva notare anche dando un’occhiata al pubblico presente al Santeria Club, sabato 27 maggio, per la tappa milanese del loro tour: dava l’idea infatti di essere abbastanza eterogeneo, unendo il punk della vecchia guardia, così come il trentenne vestito “urban”, o la normalissima ragazza universitaria, tanto per dire.

Poco dopo il live di apertura si palesano sul palco Andrew Fearn e Jason Williamson, quest’ultimo con la sua tipica espressione corrucciata. Entrano in scena tranquillamente, come due amici che varcano la soglia del loro pub di fiducia; gli Sleaford Mods, d’altronde, sembrano essere l’antitesi di qualsiasi divismo snob. Rappresentano piuttosto la classe media, riuscendo comunque a portarla ad un livello di fascino superiore, elevandola con una sorta di teatralità. Teatralità, appunto: mentre canta Jason, con le sue movenze nervose, ricorda quasi un saltimbanco. O più che altro uno stand-up comedian. I motivi sono vari: innanzitutto, più che canto – se non per certi ritornelli ripetuti ossessivamente – il suo somiglia ad uno spoken word, non direi nemmeno rap; e poi ad accompagnarlo non c’è una vera e propria band, ma soltanto Andrew, che un po’ in disparte seleziona i beat usando soltanto un laptop coperto di adesivi. In qualche maniera Jason mi ha ricordato l’Henry Rollins post Black Flag/Rollins Band, diventato appunto uno stand up comedian, ma che anche senza chitarre di sottofondo ha conservato quella stessa vitalità ed intensità punk.

Non bisogna però pensare che gli Sleaford Mods sottovalutino l’aspetto musicale. Semplicemente, il loro minimalismo fa sì che la voce la faccia da padrona, e Jason la usa bene, proprio come un teatrante, con il suo caratteristico accento inglese e il suo scandire le parole ipnoticamente. Questo aspetto mi ricorda da vicino il grime, genere che condivide le stesse particolarità, ma su beat elettronici da 140 bpm.

Tornando nello specifico del concerto di sabato, bisogna dire che ci ha messo un po’ prima di “ingranare la marcia”. Non è semplice farsi prendere subito da un tappeto musicale così ridotto all’osso. Ma non appena si comincia a prendere il ritmo, mentre Jason spara una parola dopo l’altra come un mitra, allora non si riesce più a stare fermi.

Ed è proprio lui verso metà concerto a riconoscere che si è creata una gran connessione con chi è sotto il palco – al punto che, ad un tratto, le mani di qualcuno porgeranno persino una bottiglia di Amaro del Capo, che Andrew sorseggerà ringraziando. Come si diceva all’inizio, l’atmosfera sembra proprio quella del pub, dove tutti magari, dopo l’ennesima birra, si abbracciano per cantare cori da stadio. Un entusiasmo collettivo che verso la fine porterà anche a del pogo.

Grondante di sudore – come gran parte dei presenti – Jason si nasconde con il suo compare dietro le quinte. Ma la gente grida che ne vuole ancora, ed è per questo che i due tornano sul palco, incendiando altri venti minuti. Concludendo, il concerto degli Sleaford Mods era “fatto bene” e ha fatto bene, allo stesso tempo: perché nell’era in cui tutti su internet possono fingere di essere altro, c’è bisogno di qualcuno che si allontani dallo stupido divismo, che ricominci a connettersi davvero con chi lo ascolta e che non si faccia mai spaventare dall’idea di sperimentare, sperimentare sul serio, fregandosene di qualsiasi critica.

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