Togetherness: le risate nella quotidianità

Uno dei primi tentativi di HBO di agganciarsi al nuovo mondo delle comedy (di quelle che non fanno ridere). 


_di Gianmaria Tononi

Togetherness è una comedy di nuova generazione, una di quelle che pone lo spettatore seriale davanti all’ambiguità della definizione stretta che da tempo divide le serie TV strettamente tra i due generi: o è comedy o è drama.

È una comedy che non fa ridere, a parte momenti che si guadano bene dal rendere frequenti e che rientrano nel classico schema di battute che si riescono a cogliere solo se si è imparato a conoscere i personaggi fino in fondo.

Creata dai due attori/produttori che sono anche protagonisti, con il fratello di uno dei due (i fratelli Duplass e Steve Zissis, nomi meno altisonanti di quanto dovrebbero), racconta di storie di persone tanto normali da rasentare versioni future di noi stessi con le quali non vorremmo mai avere a che fare, coinvolge lo spettatore in una trama che se descritta toglierebbe la voglia di essere seguita: una coppia che ha passato i trenta da un pezzo si ritrova in un matrimonio ormai in crisi, circondata dalla sorella non-più-così-giovane-ma-ancora-piacente di lei e dal comico dalla carriera mancata migliore amico di lui.

Il tutto ruota su temi semplici, i problemi affrontati non sono mai entusiasmanti anche se le soluzioni trovate a volte regalano guizzi nelle vite dei personaggi di una spontaneità che tutti vorremmo poter mantenere anche se la tragicità della nostra stessa vita ci renderà più statici che mai.

Le chiavi di svolta sono due: i personaggi ed i loro rapporti.  Il padre di famiglia con una gran voglia di capovolgere tutto ed iniziare la sua personale produzione di uno show teatrale (se così si può definire) dedicato al romanzo Dune e la moglie che, nonostante riesca per la maggior parte del tempo a rimanere una santa sacrificata alla famiglia, arriva effettivamente a fare il passo che distrugge qualsiasi equilibrio si fosse creato.

Il migliore amico di lui, comico mancato (all’inizio) con grossi problemi di autostima che si innamora della sorella di lei, wannabe femme fatale che non resiste alla tentazione del crogiolarsi nella propria bellezza nonostante sia formalmente alla ricerca di un compagno con cui accasarsi definitivamente.

Col procedere degli episodi si riesce sempre più ad entrare nella testa dei protagonisti, si riesce a capirli, ci si schiera da un lato o dall’altro senza coerenza. Tutti sbagliano e tutti fanno la scelta perfetta, tutti diventano eroi e antieroi, c’è un continuo scambio di ruoli che lascia lo spettatore con pochi riferimenti canonici.

Le psicologie e i legami reciproci sono costruiti e filati in maniera assolutamente esemplare per rendere questa serie una piccola perla che va capita ed apprezzata per quello che è, cosa non semplice da fare pare (vista la chiusura dopo due stagioni da parte della macchina HBO), e che rappresenta un bel faro nel suo panorama ristretto: non potrà abbacinare come tante produzioni più grandi ma sicuramente non delude uno spettatore che cerca coinvolgimento.

I temi sono sempre leggeri, siamo pur sempre nello schema della comedy, e sarà davvero difficile arrivare a preoccuparsi per le sorti di qualcuno: sono venti minuti di svago che passano veloci e che ci ricordano come piccoli drammi possano cambiare tante vite e come grossi problemi possano essere risolti rubando sabbia di notte.

Pensate a The Wilhelm Scream di James Blake mentre due probabili amanti chiudono una stagione scambiandosi messaggi sotto la porta di una stanza d’hotel con lo spettatore che sa che finiranno per baciarsi e rovinare un matrimonio ma che dovrà aspettare quasi un anno per scoprirlo