Il Giardino degli Artisti: l’Impressionismo americano tra pittura e politica

Un nuovo sguardo sull’impressionismo nel docu-film distribuito da Nexo Digital. 

_di Federica Giallombardo

Il film (titolo originale: The Artist’s Garden: American Impressionism), diretto da Phil Grabsky e distribuito da Nexo Digital (uscita nei cinema: martedì 9 maggio 2017), si apre con la mostra The Artist’s Garden: American Impressionism and the Garden Movement, 1887-1920 della Pennsylvania Academy of the Fine Arts di Philadelphia e prosegue, attraverso la visione delle opere della mostra, con una affascinante retrospettiva pittorica e sociale che racconta la genesi e lo sviluppo dell’impressionismo americano il suo stretto rapporto con il Garden Movement. Il tutto accompagnato dalle voci di giovani curatrici e storiche dell’arte; donne che hanno collaborato a rendere la critica d’arte statunitense più consapevole della forte influenza femminile nella pittura come nella politica americana.
 
Nell’immaginario comune, quando si pensa all’impressionismo giungono in maniera fulminea alla mente Parigi, Giverny i giardini e le ninfee di Monet. Spesso si aggiungono, più o meno giustamente, Manet, Renoir, Degas, Boudin, Pissarro, Bazille; e, nel migliore dei casi, balenano nella memoria alcuni nomi di pittori-satelliti esordienti nella Parigi del 1860/1870. Sempre squadernando i registri della memoria, si sa che il fervore culturale impressionista si è allargato a macchia d’olio toccando anche l’Italia, dove artisti come Tranquillo Cremona e Giuseppe De Nittis sono stati, se non dalla poetica, quantomeno influenzati dall’andamento delle pennellate.
Oltre i confini europei, però, pochi sanno che l’atteggiamento impressionista è approdato negli Stati Uniti, dove è stato apprezzato, imitato e completamente adattato e interiorizzato in un periodo (i primi anni del ‘900) in cui l’America prendeva la rincorsa verso l’ascesa economico-industriale che ha successivamente recato incisivi cambiamenti sociali e politici – nonché una crisi degli stessi.
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John Singer Sargent, 1921-1922, On the Verandah (Ironbound Island, Maine)
La storia dell’impressionismo americano comincia dove si era conclusa l’epopea di Monet, ovvero dal giardino: i semi giungono direttamente dalla Francia nel 1886, quando il mercante d’arte francese Paul Durand-Ruel organizzò un’esposizione composta da circa trecento quadri impressionisti a New York; le radici assorbirono la novità impressionista direttamente dalle tele dei grandi innovatori e molti artisti americani compirono dei veri e propri pellegrinaggi in Europa attraversando tappe principali come Giverny. Dopo di che, la società americana riuscì a plasmare la pittura impressionista francese, traslitterandola in modo tale da renderla più sensibile al fenomeno del giardinaggio e allo stesso tempo giustificando la necessità/moda del giardino. Per “giardinaggio” non si intende solamente l’estetica degli spazi verdi, ricchi di piante esotiche, fiori rari e percorsi sorprendenti associati a una visione intimista della natura; ma anche un innesto di denuncia sociale e politica (Garden Movement) in risposta alla precipitosa metamorfosi provocata dall’industrializzazione e dalla crescente e incontrollata urbanizzazione, che spingeva la classe media a cercare rifugio al confine con le periferie.

«Il giardino degli artisti – L’impressionismo americano elude e dimentica il meccanismo di categorizzazione e di comparti stagni tipico della manualistica e propone una visione interessante per la chiarezza e l’armonia tra descrizione e contemplazione dell’immagine»

Berthe Morisot, Grain Field 1875

I germogli più verdeggianti nacquero nelle botteghe allestite da due grandi donne dello scorso secolo sia per cultura che per pensiero politico rifondatore che demoliva le categorie stereotipate in favore dei diritti delle donne (soprattutto di quelle della middle class, stimate nei salotti e nei circoli ma ancora private del diritto di voto). La prima fu Miss Florence Grisworld, che accolse nella sua sontuosa villa a Old Lyme (Connecticut) gli artisti Henry Ward Ranger (1858-1916) e Willard Metcalf (1858-1925), entrambi sedotti dai riflessi dell’acqua, dalle spiagge soleggiate e dai chiaroscuri delle paludi (ma di Metcalf si possono ammirare anche molte tele dedicate allo studio della neve, con luci e soprattutto ombre “innovative” come in Winter in New Hampshire, 1913).

La seconda, la poetessa Celia Thaxter, mise a disposizione la sua dimora per ospitare artisti come Sarah Orne, Nathaniel Hawthorne, John Whittier, Henry Wadsworth Longfellow e in particolare uno dei più grandi e celebri impressionisti americani, Childe Hassam (il pittore e incisore delle donne alla finestra, di quello spazio indefinito e simbolico degli usci di casa, delle verande al tramonto tagliate dall’ombra delle grondaie; uno spazio squisitamente confinale, che rimanda alla dualità virtuosa femminile e che conserva una carica empatica tutt’oggi), rendendo così Appledore Island un luogo di incontro di pittori talentuosi e menti eccelse; questi si ritrovavano in veranda o in salotto a parlare di tecnica pittorica, di letteratura e di politica mentre si dilettavano in giochi di carte o di “caricature” (solevano infatti far passare un foglio dove ognuno doveva disegnare un tratto caratteristico che formasse, alla fine del giro della tavolata, la caricatura di una persona).
Altre donne, oltre alla Grisworld e a Celia, impiegarono l’idea del giardino come spazio politico: Mary Cassatt (artista della Pennsylvania famosa per essere stata un’allieva e cara amica di Degas) e Berthe Morisot (una coltissima pittrice francese dedicata quasi completamente alla ritrattistica femminile) aspiravano, attraverso le iniziative e le professioni attinenti al giardinaggio, ad avere una voce sempre più influente nell’ambito dei diritti civili e dell’emancipazione. Le brillanti intellettuali dell’impressionismo americano si possono così entusiasticamente considerare, cautamente e con le dovute virgolette, le prime “femministe” del ‘900.

The Repose, John Singer Sargent, 1911
Accanto al “movimento del giardino”, celeberrimi sono i Ten American Painters, ovvero dieci pittori (Childe Hassam, Julian Alden Weir, John Henry Twachtman, Robert Lewis Reid, Willard Leroy Metcalf, Frank Weston Benson, Edmund Charles Tarbell, Thomas Wilmer Dewing, Joseph DeCamp ed Edward Emerson Simmons) che nel 1897 diedero vita a un’associazione che era dedita sì alla pittura en plein air dei modelli francesi, ma che dipingeva come Monet con le ninfee ciò che si poteva osservare all’interno degli spazi urbani: parchi, porti, strade, vicoli, fabbriche in attività disseminati per New York, Chicago e Boston; i soggetti, ora più grigi e scialbi, rappresentavano la nuova società che subiva umilmente il declino della natura in favore di un nuovo mondo di smog e caos. Questi dieci artisti sono stati citati troppo poco dalla critica moderna e rivalutati per la loro importanza nello sviluppo dell’arte americana dalla critica contemporanea; oggi infatti sono considerati, a buon ragione, tra i padri della pittura statunitense.

Altri artisti noti (e passati in rassegna nel documentario) sono: Philip Leslie Hale, figura a tutto tondo nel panorama culturale dell’epoca in quanto scrittore, insegnante ed eccelso pittore (dipinse, tra le sue opere, The Crimson Rambler, la tela scelta per la locandina del documentario, che rappresenta una delle varietà botaniche più in voga all’epoca nonché, come già Hassam, una donna seduta al limite di una veranda che, dai colori e dalle sfumature, risulta più ideale che reale) e John Singer Sargent (ritrattista autodefinitosi “intimista”).
Berthe Morisot, Julie Daydreaming 1894
Se si pensa a un film documentario che abbia come finalità la didattica dell’arte, la prima idea è quella che possa ripetere pedantemente nozioni, nomi e date in un turbinio di elenchi che possono non solo confondere lo spettatore – è infatti quasi una certezza che quanto più si cerca di mettere ordine tra le categorie e tecniche comuni di artisti, tanto più sfugge la sensibilità di questi ultimi – ma addirittura tediarlo o indispettirlo. Il giardino degli artisti – L’impressionismo americano invece elude e dimentica il meccanismo di categorizzazione e di comparti stagni tipico della manualistica – tanto più se si parla di un concetto così amplio e sovrabbondante come “impressionismo” – e propone una visione interessante per la chiarezza e l’armonia tra descrizione e contemplazione dell’immagine. Il testo critico si suddivide in contestualizzazione storica, interviste a critici e curatori e commento delle singole opere; le immagini scortano ogni frase in maniera diretta e limpida, senza però cadere nella semplice videoriproduzione.
È, insomma, il frutto di tecnica cinematografica, narrazione descrittiva e interpretazione sensibile all’intertestualità e alla comparazione; è un prodotto riuscito, da poter intendere sia come ottima alternativa formativa per i meno esperti e sia come momento di approfondimento e riflessione per chi si è già addentrato nel giardino impressionista.
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Flora Priestley, 1889 – John Singer Sargent