Autobiografia di tutti: Fernanda Pivano entra nel mondo di Gertrude Stein

Guardare il mondo attraverso gli occhi di Gertrude Stein: la nuova edizione Nottetempo di “Autobiografia di tutti” celebra il centenario della nascita di Fernanda Pivano con una sua sontuosa traduzione dell’opera della Stein. 


_di Carla Paolo

Prima di quest’ultima edizione di Nottetempo, “Autobiografia di tutti” era stata pubblicata solo nel 1976 da La Tartaruga edizioni e curata da Laura Lepetit e da Fernanda Pivano, che si occupò della revisione e dell’adattamento della sua stessa traduzione. Fino ad oggi, quest’opera di Gertrude Stein è stata praticamente introvabile. Nottetempo ha dedicato al centenario di Fernanda Pivano questa nuova edizione che contiene due sue prefazioni: un estratto dell’edizione del 1947 e quella del 1976.

In queste pagine Pivano racconta la sua avventura con la scrittrice americana, di come è stata attratta dal fascino della sua scrittura e di come si sia buttata a capofitto nel lavoro di traduzione, restandone rapita e venendo del tutto assorbita:

“Così cominciai a lavorare sulla Stein, onde sempre più lunghe in un mare che finì per diventare un oceano, diluvi di citazioni, inondazioni di appunti, da qualsiasi parte sfiorassi il problema precipitavo in abissi di temi da esplorare, di personaggi da accostare, di volumi da studiare, su quegli anni di rivoluzione e trasformazione quando cambiò la faccia del mondo mentre cambiava l’arte e la scienza, il costume e la storia”

In entrambe le introduzioni Pivano parla di Gertrude Stein con grande amicizia e stima. Durante il periodo in cui era impegnata con il lavoro di traduzione dell’opera, si recò a Parigi per conoscere Alice Toklas, compagna di Stein, e si affezionò terribilmente a “questa minuscola donna fragile come un mucchietto di ossa e forte come indomabile acciaio”. Alice, che per tutta la vita aveva scelto di essere accanto a Gertrude, che per tutta la vita le è stata di sostegno, sia nella quotidianità che nella scrittura, con lei condivise praticamente tutto. Insieme, Pivano e Toklas, riportano in superficie i ricordi legati a Stein, quel suo modo di essere ribelle e il suo amore sfrenato per la vita, per tutto ciò “che vive e si trasforma”.

In “Autobiografia di tutti” Gertrude Stein mette per iscritto le memorie dei suoi spostamenti e racconta il cambiamento: il cambiamento di un’epoca attraverso i suoi viaggi tra America ed Europa, in continua esplorazione del mondo e dell’arte, attraverso i molteplici incontri e la miriade di personaggi famosi, attraverso le descrizioni dei suoi cani, dei luoghi che passano davanti ai suoi occhi, grandi città con i loro traffici e tranquille campagne, i dialoghi con i suoi amici pittori.

“Autobiografia di tutti” pullula di vita, è un torrente in piena. Questa ennesima autobiografia, però, ha un carattere diverso rispetto alle altre sue più famose: “Autobiografia di Alice B. Toklas” per la stessa Stein si avvicina di più a una conversazione, mentre “C’era una volta gli americani” è praticamente la storia di tutti, in cui ogni individuo è parte di un gruppo in cui viene inserito e per questo identificato. “Autobiografia di tutti”, invece, parla del rapporto del singolo individuo solo con sé stesso: è l’autobiografia in cui ognuno viene visto e descritto a prescindere dalle connessioni di un individuo con l’altro.

Queste connessioni non esistono, ed è l’autrice stessa a spiegarlo:

“Dal momento che la terra è tutta coperta non vi sono veri rapporti fra nessuno e così se questa Autobiografia di tutti deve essere l’autobiografia di ognuno non è per essere una connessione tra l’uno e l’altro perchè ora non ce n’è”.

Le memorie a cui fa riferimento in quest’opera risalgono al 1936 e sono ricche di meditazioni e ragionamenti con cui l’autrice indaga tanto il mondo circostante, quanto sé stessa. Ricordando un aneddoto risalente a quando era ancora ragazza, racconta di essere arrivata a capire cosa fosse davvero importante per lei: l’immaginazione è alla base del suo processo di scrittura, scrive che “bisogna essere in grado di immaginare qualcosa per sapere se esiste” e sempre resterà coerente a questa sua dichiarazione, alla quale si attiene per raccontare, descrivere, scrivere solo “su ciò che esiste”.

La sua attenzione, in “Autobiografia di tutti”, si concentra infatti sulla realtà che la circonda e sui cambiamenti che questa porta con sé: quello della Stein è uno sguardo attento a cogliere i cambiamenti della sua epoca, un mondo che si trasforma in seguito alla guerra e ai processi di industrializzazione. Descrive quindi tutto ciò che vede: ogni singola persona con cui viene in contatto, i dialoghi che intrattiene con la gente, i posti che visita, le loro particolarità, parla dei suoi affezionatissimi cani e poi tutto viene amalgamato dalle intense riflessioni sulla vita, sull’arte, sul genio, su sé stessa.

Quanto ai luoghi, le descrizioni divengono profonde e poetiche quando racconta il ritorno in America: “E poi naturalmente c’è l’aria. E quell’aria è dovunque, dovunque in America, non c’è cielo, c’è l’aria e questo costituisce la religione e il vagabondaggio e l’architettura”. Lo sguardo è ciò che guida da sempre Gertrude nella sua esplorazione del mondo ed è lei a confermarlo quando dice che “gli occhi mi hanno sempre detto molto di più che le orecchie”.

blank
Horst P.Horst, Portrait of Gertrude Stein Wearing Balmain Suit, 1946

Da qui forse, da questa consapevolezza sensoriale, viene il profondo legame con l’arte, in particolar modo con la rivoluzionaria pittura di Picasso, con il quale stringerà una preziosa amicizia. Come l’artista applica il cubismo nella sua pittura, allo stesso modo Stein si dedica ad una scrittura “cubista”, scomposta, che procede seguendo regole proprie, che risulta ostica e oscura agli occhi di molti lettori.

In “Autobiografia di tutti” parla anche di questo, della sua scrittura, spesso tanto contestata e altre volte così sorprendentemente apprezzata, soprattutto dal grande pubblico. A proposito di questo l’autrice giunge alle proprie conclusioni: quando molti le chiedono come sia possibile che una scrittrice con uno stile così incomprensibile ai più riscuota tanto successo, Gertrude Stein risponde molto francamente spiegando che la questione è racchiusa nel fatto che tutti sono portati a stancarsi nel momento in cui sentono di capire, mentre si divertono e sono attratti da tutto quello che non riescono a comprendere. La dichiarazione di poetica di quella che Pivano definisce “una delle figure più coerenti della storia letteraria di tutti i tempi” è talmente trasparente da non aver bisogno di ulteriori spiegazioni:

“Ciò che scrivo è chiaro come il fango, ma il fango si posa e l’acqua chiara vi scorre sopra e scompare, forse questa è la ragione ma veramente non c’è ragione tranne che la terra è rotonda e nessuno conosce i limiti dell’universo cioè la sola cosa sugli uomini e le donne che sia interessante”.