La Napoli di Eduardo al Teatro Carignano, tra spiriti e ironia

Al Teatro Carignano la compagnia Elledieffe mette in scena Questi fantasmi!, una delle opere più amate di Eduardo, in concomitanza alla proiezione presso il Cinema Massimo della versione cinematografica della commedia, diretta da Renato Castellani.


_di Silvia Ferrannini

Con il debutto nel 1946 di Questi fantasmi  al Teatro Eliseo di Roma una ventata d’aria fresca spirò sopra i palcoscenici italiani. La voracità  di aggiornamento e il desiderio di rinfrescare le scene fece sì che decine e decine di opere straniere avessero la meglio sulle creazioni nostrane. Certo era un bene che la muraglia che da anni isolata il nostro paese dalle sperimentazioni europee si fosse un poco sgretolata: la scrittura teatrale italiana doveva tuttavia trovare nuova linfa. Non solo lo spettacolo citato, ma anche altre commedie ormai più  che celeberrime quali Napoli milionaria!, Filumena Marturano e Mia famiglia e altri piccoli miracoli quali l’acquisto e messa in valore del Teatro San Ferdinando di Napoli Eduardo de Filippo versò un po’ di acqua al fiore disseccato della drammaturgia italiana.

Dopo Natale in casa Cupiello per la regia di Antonio Latella e Il sindaco di Rione Sanità diretto da Mario Martone, il Teatro Stabile di Torino si assicura un altro successo, d’altro canto sempre garantito quando si ripropongono sulle scene le commedie di Eduardo: la mai affettata comicità e il sempreverde, pittoresco e umanissimo dialetto napoletano (che è anche ambiente ed eredità, colore e natura) fa sì che anche al Teatro Carignano Marco Tullio Giordana (la cui regia gli è stata affidata da Carolina Rosi, erede  del patrimonio teatrale di Luca De Filippo) lo spettacolo si prenda molti applausi e consensi. Difficilmente potrebbe essere  altrimenti: quello di Eduardo è un teatro di ottima fattura, sebbene il suo “napoletanismo” ad oggi ha un sapore che tutti conosciamo fin troppo bene. La versione cinematografica del 1967 diretta da Renato Castellani apporta diverse modifiche alla trama originale, ma non modifica il tono farsesco di fondo in quanto nucleo espressivo imprescindibile della poetica del drammaturgo.

Gianfelice Imparato, Marco Tullio Giordana, Carolina Rosi – foto credits: Fabio Lovino

Filologicamente fedele al testo e alle volontà eduardiane, Giordana ricostruisce sul palco un palazzo barocco, unico fondale entro il quale si muoveranno le anime (le indica così  nel testo Eduardo stesso) della storia. E il palazzo, nella sua fatiscente bellezza, è anch’esso anima di una Napoli in pena, sopraffatta (negli anni della stesura del testo) dalla guerra. Non si trovano qui i vicoli vocianti e variopinti che popolano l’immaginario comune: la Storia rischiava di avvilire la nobiltà di una cultura e di una tradizione che Eduardo mette al sicuro di un’abitazione splendida ma…malata.

Il protagonista Pasquale Lojacono (Gianfelice Imparato) si convince di essere benvoluto dagli spiriti che (a quanto dicono i condomini) infestano la casa: infatti trova sempre l’aiutino economico di cui ha bisogno bell’e pronto sul tavolo dell’ingresso…peccato che sia Alfredo (Massimo De Matteo), amante della moglie (Carolina Rosi) a lasciare questi “doni” in modo da poter fare indisturbato  avanti e indietro da casa Lojacono. Il tutto è  furbescamente monitorato dal portiere Raffaele (Nicola Di Pinto) e dal buon professor Santanna,  il cui sguardo è  sempre presente ma…sempre  invisibile (il critico Aldo Giuffrè  arrivò a definirlo “occhio di Dio”).

Se Lojacono ci sia o ci faccia, è  la domanda che nel corso di tutti e tre gli atti lo spettatore inevitabilmente si pone: è  per abiezione o per vera disperazione che il protagonista accetta sempre l’approvvigionamento da parte del generoso ectoplasma?  Non si sa e non lo sapremo mai, probabilmente. Forse però  chiunque altro al posto suo avrebbe fatto altrettanto.

Questo perché, come disse Eduardo stesso:

“Non credo ai fantasmi. Se ci credete, li vedete voi. Io dico che i fantasmi siamo noi; lo siamo quando non vogliamo ammettere che una realtà ci annienta, anzi, ci schiaccia. Ne consegue che per salvare la faccia crediamo in tutto ciò che può  illudere. Ai fantasmi ci crede chi ci vuol credere: e Lojacono ci crede”

Il benessere equivoco che egli accoglie in casa è per lui una risorsa ultraterrena che gli permette così di costruirsi una coscienza civica e una (fasulla) signorilità. Vero anche che se si ama una moglie bella è necessario credere ai fantasmi… ma Lojacono ama altrettanto anche la veste di dignitoso e benestante cittadino che vorrebbe per sé e che risulta, evidentemente, del tutto…fantasmatica. Qui la stoccata al mondo borghese (a cui tuttavia precipuamente Eduardo si rivolgeva) è evidente, ma sempre ben ammantata dall’aura affettuosa della farsa popolaresca: indimenticabile la scena in cui spiega con perizia di dettagli al professor Santanna come preparare un buon caffè. Oscillando coerentemente tra scherzo e serietà, il grande figlio di Scarpetta ci ricorda che  per salvarsi la pelle si è  disposti davvero a credere a tutto… anche a supplicare uno spirito, mentre la moglie ha una valigia in mano sull’uscio di casa.