Sulla differenza volgarità e pornografia, sul valore del no e dei desideri.
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_di Roberta D’Orazio
Disclaimer: Quando ho scritto questo articolo, Emma Marrone non aveva ancora ricevuto il Tapiro d’oro da Striscia la Notizia, Staffelli non aveva ancora definito l’accaduto come “uno degli scherzi più divertenti” e la cantante non aveva ancora risposto che, alle molestie, dopo un po’ ci si abitua, fino a trovarle persino gradevoli. Provo cordoglio per la fine della dignità del genere umano. Provo rabbia e dolore. Ovviamente vedo nella consegna del Nobel dell’umiliazione televisiva un gesto che tenta di giustificare l’orrore, con cui si sposta l’attenzione dalla molestia all’accondiscendenza (e alla frivolezza!) della vittima. Una trappola in cui stiamo cadendo tutti, perché la tentazione di gridare che Emma Marrone è una stupida (in un gioco labile di confini con il “se lo è meritato!”) è troppo forte e fa malissimo. Chiedo scusa in anticipo a Nadia Somma de Il Fatto Quotidiano, perché nelle parole che seguono leggerà una critica sul fatto che lei scrivesse che la Marrone era responsabile di non aver bloccato la diffusione di quel contenuto: non si può giudicare la reazione a caldo di una vittima di violenza, rispondevo. Dopo gli ultimi svolgimenti, che trovo assolutamente pilotati dagli autori di quei programmi da quattro soldi, con una certa maestria, sono tentata di darle ragione, di dire che il suo giudizio, affrettato, si è rivelato poi rispondente ai fatti.
Nonostante questo scelgo di non cambiare una sola parola nel mio articolo. Perché voglio sforzarmi di aggrapparmi all’idea che le cose stiano esattamente come le pensavo prima di questa ultima degenerazione, e che una vittima di una qualsiasi violenza sia facilmente manipolabile, e che davanti alle reazioni amplificate dalla televisione possa tardare a comprendere davvero la gravità dell’accaduto. Mi sforzo di non cedere al desiderio di urlare che mi vergogno di Emma Marrone e della sua gestione della faccenda, anche se è quello che sento, e fa male. Che qualcuno le dica che non deve necessariamente dire o fare ciò che gli altri (la rete, i suoi colleghi, le persone che ha accanto!) si aspettano da lei, per complesse che possano essere le conseguenze. Che qualcuno le dica che c’è una sensazione sola di cui deve fidarsi, ovvero lo sgomento che traspariva dal suo volto durante la sua esibizione, e la fermezza con cui ha bloccato la mano di quel laido ballerino.
Emma vittima o complice? È questa la domanda che più mi affligge. Ci sono due piani da separare: Emma è stata ovviamente vittima di una violenza, quella operata dagli autori del programma, dai suoi colleghi e dal ballerino. La questione riguarda la successiva (vera o presunta) manipolazione. Immaginiamo per un momento che ciò che è accaduto non sia accaduto in televisione, ma in una scuola, in una casa, in una palestra. Credo che sia perfettamente condivisibile l’idea che la protagonista possa provare confusione, come qualsiasi persona che subisca qualsiasi forma di violazione, fino a giustificare il malaugurato evento. Ed è vero che ogni donna che non denuncia una violenza si rende responsabile, in una certa misura, di ciò che farà in seguito, ad altre donne, il suo violatore. Ma subitelo voi un abuso, e poi venite a raccontarmi quanto costa uscire da quei meccanismi impastati di silenzio e imbarazzo, con i quali la relazione vittima-carnefice si rovescia agli occhi dell’opinione sociale. Emma avrebbe potuto dire qualcosa di più sensato, avrebbe potuto comportarsi meglio quando Staffelli le ha consegnato il tapiro? Questo è un fatto indiscutibile. Ma la sua reazione è la vera reazione della maggior parte delle persone che subiscono un qualche tipo di abuso. Siamo così abituati al fatto che la televisione ci propini contenuti falsi, che non riusciamo a piangere davanti a qualcosa di schifosamente vero: una donna che difende e giustifica chi ha abusato di lei. Ciò che cambia, nella percezione comune, è la presenza delle telecamere, che investono Emma di una presunta responsabilità. Ed è vero, perché è vero che il messaggio che lei ha diffuso è sbagliato oltre ogni limite. Ma, signore e signori, è esattamente quello che accade anche lontano dai riflettori in casi di questo tipo. La presenza della televisione può essere al massimo un ulteriore fattore di pressione. Gridiamo perché abbiamo fame di verità, e dopo vogliamo vedere solo ciò che ci piacerebbe fosse trasmesso, perché rispondente alla nostra definizione di giustizia? Ci stiamo trasformando in opinionisti del disagio, in cosa siamo diversi dal pubblico pagato di Uomini e Donne?
Se la morte intellettuale che ci propinano consiste nell’applicazione di un format dell’orrore, la rivoluzione non può che essere un gioioso e complesso paradosso. Quello che scelgo per me: prendere posizione, ma cercare di sospendere il giudizio. È complicatissimo, ma da quando una rivoluzione si è fatta in modo semplice? La mia lentezza nel riuscire a conseguire l’obiettivo che mi pongo sarà la mia fiera opposizione alla velocità e all’immediatezza televisiva, di cui ci stiamo ammalando tutti. Desidero provare a sospendere ancora una volta il giudizio, affinché il mio accorato e affrettato grido di paradossale disprezzo verso le parole di Emma a Striscia la Notizia non diventino un precedente, e perché si sappia che no, non penso che una donna incapace di opporsi a una violenza, di quella violenza sia complice. La differenza tra Emma e una qualsiasi ragazzina derisa dai compagni di classe è che Emma è stata investita dalla responsabilità del messaggio televisivo – riuscite a immaginarlo, in una situazione del genere? Le emozioni – la confusione, l’imbarazzo, la pressione della società maschilista – sono invece probabilmente le stesse.
Se riusciamo a empatizzare solo quando è facile farlo, in cosa facciamo la differenza?
In cosa siamo meno violenti degli altri?
Con immenso dolore,Roberta.
Lontana, per mia fortuna, dalle orrorifiche proposte della televisione italiana, comprendo con un certo sgomento che non sarò mai del tutto al riparo dal degrado in cui la mia terra natia sa proporsi come eccellenza quando una mia collega inglese mi racconta di aver letto la notizia di uno scherzo basato su un crimine sessuale mandato in onda durante un programma popolare. Si tratta, apprendo, di un vergognoso passaggio di Amici della regina del consumismo emotivo Maria De Filippi in cui un ballerino, complice degli autori e di tutti i presenti che erano consapevoli di ciò che stava accadendo, tocca in maniera che definirò eufemisticamente inappropriata Emma Marrone durante un’esibizione. La cantante rifiuta queste “attenzioni” da parte del performer, in maniera molto chiara, sia verbalmente che con i gesti. Lui prosegue, mentre gli altri giudici del programma, uomini quanto donne, ridono fragorosamente.
Siamo davanti al punto più basso e pericoloso dell’intrattenimento televisivo.
Tanta è la rabbia, insostenibile la potenza del disgusto, altrettante le amare riflessioni che ne conseguono, mentre tra brividi di raccapriccio e contenendo a stento i conati di vomito guardo il video e percorro i sentieri del web per ricordarmi quali sono le ragioni per cui desidero spesso porre una distanza ferrea tra me e molti rappresentanti del genere umano, opinionisti dell’ultima ora.
La prima cosa che mi fa arrabbiare sono i commenti sulla reazione di Emma.
Leggo in un articolo su Il Fatto Quotidiano Nadia Somma, attivista presso il Centro Antioviolenza Demetra, che “la stessa Emma Marrone che non si è ribellata alla propagazione di un messaggio gravissimo e profondamente diseducativo come l’invito a ridere di una violenza (di cui peraltro lei stessa era stata oggetto)”.
«È stato già detto altrove, e meglio di quanto sappia farlo io, che un messaggio del genere divulgato attraverso una trasmissione seguita perlopiù da giovanissimi raggiunge livelli di pericolosità indicibili, legittimando tanto l’idea che sia normale toccare una persona che non lo desidera, sia che la reazione sociale sia quella di riderci su»
Posso essere in buona parte d’accordo, e trovo che il resto dell’articolo, che invito a leggere, sia assolutamente impeccabile. Tuttavia una persona impegnata in prima linea nella lotta alle violenze saprà che le reazioni a caldo delle vittime non sempre sono ben calibrate, complice lo shock, il contesto, e una forma di ricatto del pudore a cui, soprattutto noi donne, veniamo abituate sin da piccole. Le tempistiche per l’elaborazione di una simile questione non sono uguali per tutti. È facile per me dire che in quel momento avrei raso al suolo lo studio di Amici, ma io non ero Emma Marrone. Non ho visto io le risa delle mie colleghe, non ho sentito io quel malessere e quell’imbarazzo, quantomeno non in quel contesto.
La reazione di Emma è inoltre ben chiara ed è un netto rifiuto, per cui è vero che in un mondo ideale, in cui l’emotività non interferisce con l’azione, avrebbe dovuto vietare la messa in onda dello “scherzo”, ma non mi sento in diritto di giudicare il contrario data la complessità emozionale che quanto accaduto deve aver generato in un tempo tanto breve. Si possono tardare anni a elaborare una violenza di qualsiasi tipologia, non riesco a capire – ma sono pronta ad aprirmi a un qualsiasi dialogo a riguardo – come un’attivista del calibro della Somma possa pensare qualcosa di differente a riguardo, pur comprendendo che il contesto televisivo possa aver fornito alla Marrone una possibilità andata per il momento perduta (io stessa mi aspetto un suo commento successive sulla faccenda, a dire il vero) di diffondere un contromessaggio fondamentale rispetto al fatto che in nessuna delle galassie conosciute è lecito ridere di un abuso.
Mi asterrò dal commentare quanto letto in altre sedi rispetto a una presunta reazione eccessiva di Emma, e invoco la chiusura immediata di testate giornalistiche di infimo livello che sbandierano titoli come “Emma Marrone spopola sul web con un video molto ‘particolare’” in cui si afferma che “l’idea che hanno avuto alcuni autori del talent di mettere in difficoltà la neo coach dei ‘bianchi’ con un ballerino troppo affettuoso, pare essersi rivelata vincente; il filmato dello scherzo alla pugliese, infatti, è in vetta alle tendenze di Twitter.” Un concentrato di putrefazione intellettuale che apre le porte a un altro capitolo del degrado: la violenza condivisa sui social.
Dopo il selfie successivo allo stupro durante una vacanza, e mentre si diffondono come peste nera i video di ragazzini che condividono tra le storie di Facebook azioni di gruppo violente verso coetanei, mi domando quale sia la differenza tra contenuti di questo tipo e quanto accaduto durante il programma di Maria De Filippi. Non voglio arrivare a un processo alle intenzioni ma il dolore per quanto visto è tanto da indurmi malignamente a pensare che possa esserci una correlazione voluta tra questo nuovo trend dell’esibizionismo (e del corrispondente voyerismo) per il reality show dell’abuso sessuale e lo scherzo tramato alle spalle di Emma, e che non si tratti di una semplice leggerezza.
È stato già detto altrove, e meglio di quanto sappia farlo io, che un messaggio del genere divulgato attraverso una trasmissione seguita perlopiù da giovanissimi raggiunge livelli di pericolosità indicibili, legittimando tanto l’idea che sia normale toccare una persona che non lo desidera, sia che la reazione sociale sia quella di riderci su. Ovviamente a questo punto della mia disquisizione attendo al varco il coloro di coloro che diranno:
“ma quello che è successo ad Emma non è paragonabile a uno stupro!”
ovvero di quelli che non capiscono
l’impossibilità di misurare la violenza con un metro, perché violenza è tutto ciò che accade oltre i miei “No”, in qualsiasi ambito, non solo quello sessuale.
Parlo da donna, ma sono certa che il medesimo discorso è applicabile ad altre categorie: ci insegnano sin da piccole a dire di sì. Ad essere consenzienti, non importa ciò che sentiamo davvero. La rabbia è un peccato capitale, non si addice ad un’indole femminile. Il rifiuto non è concesso a chi dovrebbe obbedire compiacere accettare.
La negazione – e non parlo solo per quanto riguarda il sesso – rispetto alle aspettative che gli altri ripongono su di noi, rispetto a ciò che la società o la comunità in cui viviamo vorrebbe o si aspetta che noi facessimo è vista come un atto irrispettoso del quale lamentarsi o, appunto, ridere con scherno.
Non vivremo in una società civile fino a quando l’importanza del No, la sua dirompente poetica della sottrazione, non verrà compresa.
È il mio No a dare valore a tutte quelle situazioni in cui invece consapevolmente scelgo di dire Sì.
Sì, ti desidero. Sì, uscirò con te stasera. Sì, faremo l’amore fino a perdere i sensi. Sì, sì, sì, e ancora sì.
È il mio No a differenziarmi da una bambola gonfiabile, o un animale che agisce solo per istinto.
Volgarità non è la pornografia, non è una donna che indossa la minigonna, non è qualcuno che mostra volontariamente la propria nudità, volgarità è tutto ciò che non è consenziente, che pone due individui su due livelli differenti e crea condizioni di debolezza.
Emma Marrone è colpevole di aver reagito nella maniera in cui ha reagito nella stessa misura in cui merito uno stupro per il solo fatto di indossare un abito che non nasconde la mia sensualità. Perché su questo si basa l’omertà della violenza, come sanno tutti coloro che l’hanno subita. Sul non dover dire. Non dover parlare. Perché siamo in fondo colpevoli.
Colpevoli di cosa? Colpevoli di essere belle. Colpevoli di essere attraenti. Colpevoli di essere come Eva nel giardino dell’Eden, invitanti. Colpevoli, spesso, di rivendicare una libera scelta che non ci è consentita, in un mondo in cui l’immagine femminile è mercificazione e l’unica opposizione possibile sembrerebbe quella di rinunciare alla propria sessualità per non confondersi con il delirio orgiastico delle pubblicità o dei talent show.
Io non voglio rinunciare. Voglio desiderare, ancora e ancora. E non per questo voglio che si pensi che il mio corpo sia una fonte da cui attingere a piacimento. Rifiuto l’atto fondante del maschilismo, con cui il mio corpo nasce dalle costole di un uomo. Io sono io, e questi sono i miei fottuti e invalicabili confini, a meno che non sia io a decidere quando e come lasciare che qualcuno li oltrepassi.
Non voglio far parte di un mondo che insegna a una ragazzina o a un ragazzino che la reazione della maggior parte delle persone che stanno attorno rideranno o prenderanno poco sul serio o faranno di tutto per occulare la valorosa confessione di una violenza subita, anche se questa purtroppo è l’abominevole verità dei fatti, alla quale tuttavia possiamo sottrarci, dicendo No, no e ancora No.
“Chiedo la forza del tirarsi indietro
la forza d’ogni rinunciante, la forza
d’ogni digiunante e vegliante
la forza somma del non fare
del non dire del non avere del non sapere.
La forza del non, è quella che chiedo.
Non non non: che parola splendida
questo non.”
— M. Gualtieri