La serie prodotta da Lebron James è una non-troppo-comedy ambientata nel mondo del basket professionista (afro)americano, ma non si concentra sulla componente sportiva, indagando invece i meccanismi malati dello show business e scandagliando le zone d’ombra della “White America”.
–
_di Gianmaria Tononi
È prodotta da Lebron James, acclamato King della pallacanestro USA, ed esplora la storia di un campione che riesce ad uscire dai quartieri poveri di Boston proprio grazie al basket: la parte sportiva della serie si esaurisce praticamente qui, rimane un sottofondo del quale essere consapevoli che non guida mai la trama.
Mostra tutto l’ambiente che può circondare il basket professionista: la pressione, i soldi, la competizione, la politica che ruota attorno ad un mondo sempre in bilico tra sport e business.
La situazione è abbastanza classica, la famiglia povera al gran completo si ritrova ricoperta dai soldi del contratto e degli sponsor, complice il figlio-fratello-cugino che spicca dalla folla per le sue qualità cestistiche.
Affrontano la nuova vita portandosi ancorati i vecchi difetti e prendendone di nuovi, arrancando ad adattarsi ad una realtà che poco gli si confà e portandosi addosso il peso (che si fa sempre più leggero al trascorrere degli episodi) a cui fa riferimento il titolo stesso: il superstite, chi riesce ad uscirne, prova uno strano senso di inadeguatezza ed ingiustizia nei confronti di chi non ce l’ha fatta.
«Il dibattito “light skin black vs dark skin black” è estraneo al pubblico bianco e introdurlo tramite un prodotto che viene diffuso come “comedy” è un passo non da poco»
Dal poco raccomandabile quartiere di Boston (Dorchester) alla parte ricca di Atlanta (che rimane una cittadina razzista nel profondo sud statunitense, sebbene a maggioranza afroamericana) la vita cambia parecchio e vale davvero la pena di capire quanto, la serie non si limita mai alle ben poco dinamiche situazioni prevedibili e arriva a toccare argomenti più spinosi di quanto ci si possa aspettare.
Dai temi più scontati si vola all’ironia della la paura da parte dei protagonisti di tenere in mano un’arma da fuoco (poiché afroamericani, ad Atlanta), a momenti più profondi dove si parla di infibulazione, di violenza di genere o della differenza, nell’ottica dei protagonisti, delle sfumature cromatiche del colore della pelle: “light skin black vs dark skin black” è un dibattito estraneo al pubblico bianco e introdurlo tramite un prodotto che viene diffuso con la definizione “comedy” è un passo non da poco.
Tutto è ben costruito per dare uno sguardo ad una nuova parte di mondo e di umanità rimanendo in bilico tra serietà e leggerezza, con una qualità e una profondità che sembrano crescere di stagione in stagione.