[REPORT] Odisseo: ascolta te stesso per imparare a dubitare

Il viaggio di Odisseo incanta oltre il tempo, oltre la storia, oltre la cultura. Perché è esso stesso culla di cultura. Khora Teatro ne ha curato una versione rivoluzionaria senza perdere una goccia dell’essenza omerica: “Odissea da Omero a Derek Walcott”. 

di Raffaella Ceres  –  Odissea da Omero a Derek Walcott, portato in scena al Teatro Vittoria di Roma, è una piéce che merita un’analisi attenta e che meriterebbe di essere annoverato fra quegli spettacoli che ogni professore lungimirante dovrebbe proporre ai propri studenti.  Poco più di un’ora per entrare nel cuore del poema omerico fra le cui parafrasi sono passati probabilmente molti di noi. Poco più di un’ora  per far vibrare la potenza del tormento fra il bisogno di andare lontano ed il voler (ri)tornare, fra il desiderio di conoscenza e la tranquillità del quotidiano, del familiare o del riconoscibile.

Porto sicuro o mare in tempesta? Cosa sceglie l’uomo, cosa sceglie l’eroe?

Il messaggio dirompente che apre lo spettacolo arriva senza paura di scuotere gli animi: di chi è il destino? Degli dei che accompagneranno le gesta dell’eroe fra gli Achei oppure è di colui che compie le scelte? L’Odissea curata dall’attenta regia di Vincenzo Manna e Daniele Muratore offre agli spettatori  nuovi spunti di riflessione per leggere il poema che è considerato uno dei testi fondamentali della cultura classica occidentale e che  viene tuttora comunemente letto in tutto il mondo sia nella versione originale che attraverso le numerose traduzioni. L’obiettivo principale di questa attenta versione a curata da Khora Teatro era quella di rivolgersi alla contemporaneità partendo dal classico. Capovolgere l’ordinario per renderlo straordinario.

Penelope diventa così una donna scandalosamente passionale, ancorata ad una promessa coniugale difficile e dolorosa. Bella ed ammaliatrice. Una donna forte che cresce suo figlio da sola ed ha bisogno di sentire il suo essere femmina vivo e persino leggero. Telemaco è figlio tenace e delicato. Un figlio che parte alla ricerca di notizie di questo padre che tutti cantano come leggendario ma che lui ricorda appena. Telemaco è il figlio di tutti i figli, rappresenta la metafora della genitorialità che è guida in una società confusa. Circe è regina del paese dei balocchi dove il piacere è fine se stesso ma che non dimentica di saper ancora amare.

«Che cos’è l’uomo? Un bambino che dubita»

La casa: prigione oppure porto sicuro. Intensa la riflessione che viene facilitata dal tema del viaggio quasi apparentemente giunto al termine del vecchio Odisseo. Siamo noi a cedere ai nostri mostri. Siamo noi a decidere quando siamo pronti per vincerli.
Fra le scene più intense merita di essere annoverata  la lunga discussione fra Ulisse e Polifemo. Una scena destrutturata quanto perfettamente classica. Le sirene, il viaggio negli inferi, l’approdo ad Itaca ed il ruolo così ben definito di Atena.

Perché Odisseo esce vittorioso alla fine del suo lungo viaggio? Perché è il primo a dubitare, a rendere meno importante quel che rappresentano le profezie. Non è forse una rivoluzione questa? Avremmo oggi lo stesso coraggio? La scenografia ricorda la gabbia entro la quale la fantasia ed il pensiero vengono imbrigliati e che pure grazie a questa preziosa messa in scena permettono allo spettatore di toccare quasi con mano il regno di Itaca. La regia è incalzante, non ci sono sbavature fra testi complessi e musiche coinvolgenti. I giovani artisti in scena meritano un sincero ringraziamento per aver dato voce  ad un’opera così imponente  con professionalità ed una bellezza scenica che raramente si possono applaudire.

Spettacoli come quello di Odissea da Omero a Derek Walcottsono quegli spettacoli che omaggiano la cultura provocando la curiosità, favorendo il non-appiattimento sociale. Questo è il Teatro che guarda ai giovani, forse facendo torcere il naso ai perbenisti del teatro classico e sono esattamente quegli spettacoli coraggiosi dei quali il nostro tempo ha bisogno per non continuare a perdere tempo.