“La musica underground non è roba per pigri”: Omar S al Bunker per We Play The Music We Love

We Play The Music We Love porta a Torino uno dei figli prediletti di quella Detroit sporca ed underground che fa rima con techno: Omar S e la sua tech-house da fuoriclasse saranno al Bunker il prossimo 24 febbraio.

di Annalisa Di Rosa  –  Omar S, The Best. Nel senso di migliore? Può darsi. Alla consolle è un fascio trascinante di nervi e tendini che si muovono all’unisono col dancefloor, una furia nera stile nessun prigioniero. The Best però è anche il titolo del suo ultimo disco, pubblicato nel 2016 per la sua label, la FXHE: 11 tracce in cui è disegnata la topografia di quella Detroit ormai nota a tutti per essere la culla delle infinite declinazioni della musica techno. E per il suo essere una città sporca, dura, selvaggia, incastrata tra il groove e i fasti della Motown, le lamiere della Ford, il flow morbido dei primi vagiti del soul e gli angoli tagliati a vivo del jazz.

Nel caso di Omar S si parla di tech-house, quella da fuoriclasse, da tiratore scelto, da asso vincente. In “The Best”, le collab a 24 carati con Norm Talley, Kyle Hall e, tra gli altri, Big Strick alla voce, fanno il resto. La questione si può riassumere, per citare proprio Strick, con “this is Detroit”.

Già, questa è Detroit e non la spieghi; questa è Detroit e questo è uno dei suoi figli prediletti, uno che ha fondato la FXHE perché non voleva sprecare i suoi soldi dietro distributors con cui “non andava d’accordo, uno che di giorno lavora alla Ford e che usa le Ford per fare gare automobilistiche, uno ferocemente indipendente da sempre. Omar S è uno che pensa che la musica underground – o più in generale l’essere underground – non sia roba per pigri. Starci dentro per lui significa “scoprire cosa è buono da fare schifo, cosa è diverso dal fottuto mainstream”. Non a caso è l’engineer preferito di Theo Parrish, un altro gigante che ha fatto del suono crudo e “raw”, la sua cifra stilistica.

Non ha tempo da perdere dietro le cazzate, Omar S. Non guarda al passato ma non ascolta praticamente niente che sia contemporaneo. Usa vecchie drum machine con cui arriva alle ossa della dance music, non ha tempo da sprecare su ossessive ricerche di pattern perfetti e lucidati con l’aceto. Non ha neanche quasi voglia di lavorare per la sua stessa etichetta: le mail, gli ordini, la distribuzione per lui sono tutte bullshit. “Solo i cocchi di mamma pensano agli artwork, chi cazzo guarda gli artwork dei dischi sul dancefloor?: quello che conta è sporcarsi le mani, correre, allenarsi come uno Yoda della deep, suonare, sudare e colpire duro il fottuto mainstream.