Una commedia visionaria e a suo modo filosofica, in cui si cela una sottile tristezza. La coppia Jessica Woodworth e Peter Brosens ci propone un road movie piuttosto bizzarro, il viaggio surreale di un re disorientato ma determinato.
di Melania Fantastico – Il Re alla sbando convive con la sensazione di esser una marionetta controllata dal volere del palazzo e rassegnato dalla triste sensazione di esser stato solo una comparsa nella scena politica, senza mai aver lasciato una vera traccia. Si decide di incaricare un regista inglese, Duncan LIoyd, di documentare il viaggio del re in Turchia, così da poter influenzare positivamente la pubblica opinione e ridare slancio all’immagine della monarchia.
“Un re che voleva tornare a casa con le giuste parole in tasca”
Giunti in Turchia, vengono a conoscenza di una notizia imprevista: la Vallonia chiede l’indipendenza dal Belgio. Il suo “impero” rischia di sgretolarsi. Ed è proprio qui che inizia la rocambolesca avventura del Re allo Sbando (il titolo originale prevede un più ortodosso “King of the Belgians”). Dalla Turchia al Belgio, con ogni mezzo (di fortuna) necessario.
Attraverso la tecnica del mockumentary si affrontano diverse tematiche: il tema del viaggio, come forma di apprendimento e purificazione; il concetto di libertà, sia fisica che spirituale; la scoperta di culture e usanze entrando in contatto con gente umile; il concetto di confine; i cliché che si hanno sulle varie nazioni, positivi o negativi. Il viaggio dei nostri “eroi” si intreccia di ostacoli ed imprevisti rendendo il film dinamico e divertente.
Con tale scelta ritmica, il regista non lascia spazio alle comparse, che restano personaggi ai margini, ma simbolici. Si cerca di trasmettere i pensieri dei personaggi non attraverso la stesura di dialoghi ricercati, piuttosto attraverso i loro volti: pittoreschi ed incupiti in una analisi introspettiva. Un umorismo sottile e composto.
La fotografia asseconda la natura del film: mutevole ed antitetica. I colori si trasformano gradualmente: nel mattino vi sono tonalità grigie e fredde; mentre durante la sera colori più caldi ed avvolgenti.
L’inquadratura più interessante è nella la scena in cui vi è un gruppo di donne con vesti colorate e vivace, tipiche del loro paese, le quali ci cantano canzoni popolari comuniste incorniciate da un monumento grigio e austero sullo sfondo. I registi alternano riprese apparentemente pseudo-amatoriali oblique orientate verso destra o verso sinistra ad altre inquadrature molto più studiate e raffinate.
La colonna sonora rispetta la dualità e la paradossalità di questo film: varia di continuo rispettando il passo fisico dei nostri personaggi, valorizzando i posti in cui essi sbarcano. In altre scene sono cupe, drammatiche e profonde per esaltare il senso di perdizione sia interiore che fisica.
Il Re allo Sbando troverà la sua dimensione? Sicuramente capirà che la felicità non consiste nel raggiungimento dei propri obiettivi, nel potere o nelle ricchezze ma è presente nei piccoli traguardi della quotidianità. Una rinascita documentata dalle doppie riprese del film (quella fittizia e meta-cinematografica utilizzata come espediente narrativo e quella reale di Woodworth e Brosens).