Abbiamo parlato con una delle tante band protagoniste dell’underground musicale di Barcellona: una scena estremamente vivace anche lontano dai riflettori del Primavera Sound…
_ di Roberta D’orazio
Si chiamano: Súper Gegant e vengono da Reus, Barcellona. Cantano in catalano e ti piaceranno quasi sicuramente se ascolti i My Bloody Valentine o – restando in Italia – i Cosmetic.
“Finiamo sempre per renderci conto che i migliori concerti sono quelli in cui praticamente riesci a non pensare a niente. Non appena ti lascia andare accade le cosa più bella, ovvero che il pubblico entra in qualche modo nel suono stesso. Ricordo che il secondo concerto dopo l’uscita del primo album è stato proprio nella Sala Begood. Ed è stato fantastico!”
È Claudi dei Súper Gegant a rispondermi, quando chiedo cosa deve succedere, dal punto di vista del musicista, affinché un live possa considerarsi riuscito. Questo stesso sabato, 21 gennaio 2017, lui e gli altri componenti della band, Miquel e Marcel, solcheranno il palco dello stesso locale, piccolo e accogliente, condividendo la scena con i Les Cruet. “Suoniamo insieme per la prima volta” commenta Claudi, “e ci fa molto piacere.”
Non resto indifferente all’idea che un buon concerto possa essere quello in cui il musicista dimentica di pensare. E, nella mia ossessione per i significati nascosti, mi domando – ma taccio – se esiste un filo segreto che lega una tale affermazione al titolo di uno stupendo album che i Súper Gegant hanno pubblicato nell’ottobre 2013 con l’etichetta The Indian Runner.
“Camina i olbida”, ovvero, cammina e dimentica. Camminare è come suonare? Improvvisamente mi ricordo che siamo nel 2017. Da quelle 9 tracce impreziosite dai riverberi di una chitarra per assurdo gioiosa, dalle percussioni imperiali a volte al confine con alcune derive del folk e con una voce sommersa che sfrutta fino in fondo le potenzialità musicali del catalano, sono passati quattro anni. Così inizia il flusso di domande.
Cosa stanno facendo Súper Gegant da allora e che faranno in futuro?
“In questo momento stiamo lavorando al nostro secondo album. Alla fine ci avremo messo un po’ più di tempo del previsto, ma senza dubbio ne sarà valsa la pena. Nel frattempo stiamo suonando in giro, e approfittando di queste occasioni per rodare il materiale nuovo. Quando abbiamo finito di girare il primo disco siamo scomparsi per un bel po ‘ e ora ci piace l’idea di far scaldare i motori poco a poco.”
I testi delle vostre canzoni mi ricordano alcuni poeti crepuscolari italiani (un gruppo di scrittori che rappresentano la risposta locale al decadentismo, ma con forme più intime, con una particolare attenzione alle piccole cose): tutto, a partire dalla routine quotidiana, sembra svanire nell’ombra. Tuttavia, la musica suggerisce una sensazione opposta, con voci e strumenti sembrano uscire dalla nebbia per condurre l’ascoltatore in un mondo ovattato, tra melodie morbide (non so se ho il coraggio di dire allegre). Come nasce tale contrasto e, più in generale, come funziona il processo creativo delle diverse parti che compongono le vostre canzoni?
“Giochiamo con gli opposti in maniera cosciente. Il nostro sound è a volte sporco, ma le parole sono solitamente molto dirette e le stesse melodie disfattiste sono sempre in tonalità maggiore, da qui la sensazione di gioia sottesa di cui parli. In “Camina i oblida” c’era una chiara intenzione di utilizzare i suoni per rafforzare l’umore espresso dalle canzoni in questione. Questo non accadrà nel prossimo disco, non vogliamo ripeterci. E poi adesso abbiamo più fiducia in noi stessi come musicisti e possiamo esprimerci più apertamente.
Il processo creativo di solito inizia con una progressione di accordi e un motivo melodico o da un’idea per un testo. A partire da lì iniziamo a improvvisare molto in sala prove e le canzoni prendono forma nel modo più naturale e spontaneo possibile. A volte ci facciamo prendere un po’ troppo la mano e dobbiamo ricominciare da capo. A volte ci capita invece di arrivare alle prove con un’idea molto definita di un brano. Alla fine c’è sempre un punto del processo in cui sappiamo che abbiamo trovato il modo migliore per dire quello che volevamo dire e ci fermiamo lì.”
Quali altre forme d’arte influenzano il vostro modo di fare musica? Ci sono attori, scrittori e altri artisti che si ispirano come musicisti?
“Naturalmente tutto ciò che hai attorno finisce per influenzare ciò che fai. Siamo circondati da amici pittori, designer, scrittori, musicisti e ballerini e, oltre a nutrirci, tutto questo ci fornisce l’opportunità di vedere il mondo da angolazioni differenti. Come band, a volte preferiamo usare metafore visive o immagini per fare riferimento a un sentimento piuttosto che utilizzare termini puramente musicali. Quando accade questo è sempre un buon segno.”
Avete suonato al Primavera Sound. Cosa mi dite di questa esperienza? Qual è il più grande contributo di un festival di tali dimensioni alla scena locale e quali – se ci sono – gli svantaggi?
“Il Primavera Sound è una grande festa, una gioia, un carnevale… ma sono solo quattro giorni all’anno. Poi ci sono gli altri 361 che ti dividono dal successivo Primavera, durante i quali puoi vedere la reale scena musicale catalana.”
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