Jón Kalman Stefánsson e gli abissi di un’anima islandese

“I pesci non hanno gambe”: un’intensa, lenta ed emozionante saga familiare che sfida spazio e tempo.

di Carla Paolo  –  Ari è un uomo adulto. La sua vita ha preso una piega triste e nostalgica da quando l’Islanda è diventata per lui un luogo asfissiante in cui è difficile respirare. La dolorosa separazione dalla moglie e dai figli lo costringono a trasferirsi a Copenaghen per ricominciare da capo, tenendosi lontano dall’Islanda e dalle sofferenze. Ora torna nella terra natia, a Keflavík, la città che non esiste, per accompagnare il padre nei suoi ultimi giorni di vita.

Ari è un adolescente. Si approccia per la prima volta alla vita, al lavoro e al sesso. Si innamora di una ragazza che lavora insieme a lui, ma la sua timidezza e la sua insicurezza saranno causa di un rimpianto che si trascinerà aggrappato all’anima per tutta la vita. Ari ancora non è nato, non sono ancora nati nemmeno i suoi genitori, i suoi nonni si sono appena conosciuti. La loro storia, la storia delle origini di Ari, si trascina in un tempo lontano fatto di freddo, di mare, di solitudine, di uomini possenti e di donne fragili.

Si tratta di una saga familiare divisa in tre tempi: la storia degli antenati di Ari, il protagonista; Ari nel presente, costretto a ritornare nel luogo del dolore per assistere il padre morente: tornando in Islanda, è costretto a fare i conti con il suo passato, in particolare con il periodo dell’adolescenza, riportando a galla ricordi che aveva tentato di nascondere negli abissi oscuri della memoria, ma che tornano a pulsare come ferite aperte.

Una delle particolarità del romanzo è il territorio islandese: i paesaggi ed il clima sono parte integrante della narrazione, la neve, il vento ed il mare ne sono quasi protagonisti.

“A Keflavík ci sono tre punti cardinali; il vento, il mare e l’eterno.”

I personaggi sono totalmente immersi e amalgamati con l’ambiente così caratterizzante quale quello islandese sa essere. Gli stati d’animo dei personaggi sono spesso coerenti con il tipo di ambiente descritto, così cupi e freddi da non lasciare scampo alla vita. Importante è anche la componente storica: ognuno dei tre tempi raccontati è ben incastrato in un determinato periodo storico dell’isola: gli antenati di Ari sono collocati nella prima metà degli anni novanta del novecento, ben due generazioni prima rispetto a quella del protagonista, quando il legame dell’uomo con il mare era ancora fondamentale. L’adolescenza di Ari si situa negli anni ottanta del novecento, nel periodo di colonizzazione dell’isola da parte degli americani. Il periodo attuale invece è ambientato ai giorni nostri, in un’Islanda ormai quasi del tutto occidentalizzata.

Altro protagonista del romanzo che prende il suo spazio in modo subdolo ma prepotente è la morte: si relaziona in modo quasi umano con i personaggi, è sempre in agguato e segue con attenzione la vita degli antenati di Ari, facendo sentire la sua presenza attraverso elementi naturali che si mostrano ai personaggi in tutta la loro spettrale e oscura bellezza. “La vita, si dice da qualche parte, è un raggio di luce che graffia il buio, poi sparisce.” Spontanea e sempre poetica è la riflessione sulla vita attraversata da continuo dolore e pesantezza. Ogni situazione vissuta, ogni dolore che emerge, ogni esperienza passata e presente, sono tutte occasioni che l’autore non si lascia sfuggire e sfrutta per regalare al lettore riflessioni attente sull’esistenza dell’uomo e sull’effimera ricerca della felicità.

La prosa lirica di Stefánsson regala un ruolo di grande importanza alle parole, attuando un dialogo costante con i personaggi, con gli ambienti narrativi e con il lettore stesso: è l’unico modo per non perdersi e non lasciarsi andare alla crudeltà della vita e alla morte. “La vita cresce dalle parole, la morte dimora nel silenzio. Per questo dobbiamo continuare a scrivere, a raccontare, a mormorare versi di poesie e imprecazioni e così tenere lontana la morte, per un po’.”

L’autore usa la scrittura ed il dialogo come uno scudo, riflette su tutto ciò che accade e, attraverso i protagonisti della narrazione, lascia emergere le sue considerazioni sulla vita quasi come un flusso di coscienza, ma in modo più regolamentato e ricercato, avvicinandosi alla sensibilità della poesia. Ne risulta una storia piena e prorompente, che abbraccia diversi secoli e sfida la capacità della memoria di rievocare ricordi lontani e taglienti come il vento freddo d’Islanda e sulla forza necessaria per sopravvivere ad entrambi, alla spietata rigidità del clima e ai ricordi.

“Ricorda con me, che un uomo dev’essere provvisto di due cose per mantenersi abbastanza saldo sulle proprie gambe, per camminare a testa alta, per conservare lo scintillio dello sguardo, il vigore del cuore, la musica del sangue – una schiena forte e lacrime.”

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Jón Kalman Stefánsson I pesci non hanno gambe pp. 448, 19€ Iperborea, maggio 2015