Kurosawa e Fukasaku: ossessione per la forma e collasso sociale

Recuperiamo due ottime pellicole orientali proiettate nelle sezioni “Onde” e “Cose che verranno” del Torino Film Festival. Due ottimi esempi di cinema orientale contemporaneo, dove si fondono introspezione, mistero, violenza e ironia. 

_di Jacopo Lanotte  

“Daguerreotype” di Kiyoshi Kurosawa

Nelle case d’un tempo ai margini della grande capitale francese, si animano spiriti inquietanti e vecchie ossessioni mai sopite. Così il dramma tragico di una famiglia borghese si consuma richiamandosi ad uno stile e ad un’introspezione fortemente nipponica. Il regista è infatti un giapponese che sceglie la Francia come luogo d’elezione. Il protagonista, ex-fotografo legato passionalmente al “Dagherrotipo” (uno strumento considerabile oggi di tortura, che obbligava le modelle ottocentesche a posare in lunghe sessioni fotografiche) costringe la giovane figlia, succube a incarnare il ruolo della madre suicidatasi tempo addietro. Ma gli aspetti inquietanti si fondono in una delle caratteristiche proprie del cinema giapponese: la compenetrazione spesso misteriosa tra sogno e realtà, dove la soglia sul mondo maligno degli spiriti sembra sempre attraversabile. Film riuscito nei suoi dettagli e in questa comparazione culturale franco-nipponica. Per la presenza di uomini spietati interessante il ruolo dell’apprendista di Olivier Gourmet (l’ex-fotografo) che se da principio sembra essere la buona speranza di una gioventù libera da legami malvagi e in realtà il carnefice e l’avvoltoio più spietato.

daguerrotype_le-secret-de-la-chambre-noire

“Battle Royale” di Kinji Fukasaku

Battle Royale è un film epocale. Quasi come un tour de force drammatico la settimana del festival volge al termine. Siamo qui di fronte ad un capolavoro del cinema giapponese degli ultimi 20 anni (il film esce in Giappone nel 2000 e fa letteralmente esplodere l’entusiasmo nazionale), che sa essere ancora oggi attuale e commovente. Perché se inizialmente veniamo calati in un futuro distopico di orrori, tragedie famigliari (il film si apre con la scoperta del protagonista, del suicidio del padre in casa. Uno dei tanti esempi della frustrazione esasperante in cui vivono i lavoratori giapponesi ancora oggi) e crisi economica, man mano la pellicola acquista umanità realizzata appieno nell’immagine finale, su un’ondata di speranza quasi impensabile all’inizio. Fukasaku ha saputo cogliere con estrema ironia (di quella alta e quasi mai scontata, si eccettuino alcune esibizioni di violenza gratuita che particolarmente ama un certo pubblico, soprattutto in madre patria) quella società sull’orlo del collasso, rendendo il futuro, in cui la vicenda è ambientata, non così distante come parrebbe, dalla situazione allora attuale. L’isola nel sud del Giappone dà comunque un taglio fantastico, che alleggerisce il peso tragico della trama (un gruppo di liceali viene selezionato e mandato a scannarsi a vicenda su un isola deserta, secondo le direttive del governo giapponese). Ciò non toglie, la fortissima carica emotiva inscenata, come detto impeccabile. Un Takeshi Kitano in forma smagliante.

concept