Videogiochi indie che abbiamo consumato nel 2016 (all’insegna della nostalgia)

Dedicato a tutti voi che sentite di aver lasciato una parte del vostro cuore in quegli affascinanti titoli a 8 – 16 bit, che nonostante la loro semplicità (o forse proprio per quella) vi facevano tanto sognare.

Prima di Charles Baudelaire, il termine nostalgia veniva ricondotto a quello stato di dolore (dal greco -algia) per il ritorno (nostos) di stati d’animo e ricordi dell’infanzia, o più generalmente del passato.

di Matteo Billia — Se desiderate passare delle vacanze natalizie all’insegna della nostalgia, qui di seguito alcuni titoli di quest’anno che vi riporteranno indietro ai mitici anni Novanta. Seguendo quindi una tendenza che ultimamente è di moda, da molto tempo gli sviluppatori di videogiochi si rifanno a un genere che è tramontato a causa del progresso tecnologico, e che, teoricamente, mai più avrà motivo di tornare. Il mondo dei videogame, neofita dell’arte, nel caso di cui stiamo parlando cita se stesso. L’evoluzione del medium è stata così rapida e ricca di prodotti e avvenimenti importanti, da scrivere nel corso di pochi decenni una storia in cui è facile perdersi.

Ecco così una breve lista di titoli di quest’anno che, secondo il modesto parere di chi scrive, sono la dimostrazione che per realizzare un ottimo prodotto, l’avanguardia tecnologica non sia fondamentale.

Owlboy

Concepito nel 2008 da Simon Anderson, Owlboy è un’avventura “hi-bit” caratterizzata da un’ottima narrazione, una varietà di situazioni che rendono perfetta la longevità di un prodotto che vi terrà incollati al monitor per diverse ore, grazie ad una meccanica di gioco continuamente arricchita e una colonna sonora eccezionale. Il gameplay è solido, e si basa sulla collaborazione continua tra il protagonista (un piccolo gufo muto con pochissime abilità), e i suoi numerosi compagni di viaggio, il cui numero cresce nel corso dell’avventura, e che è possibile chiamare a sé il qualsiasi momento grazie a un magico oggetto che permette il teletrasporto. Il tutto può sembrare un po’ macchinoso, ma il sistema, per quanto complesso, si svela collaudato alla perfezione e mirato alla varietà di possibili soluzioni agli ostacoli di gioco. Il messaggio è chiaro: senza collaborazione non esiste progresso. Soprattutto se si tratta di dover salvare il mondo da una forza schiacciante come il temibile Malestrom e il suo seguito di pirati artificiali che seminano il terrore solcando il cielo sui loro vascelli volanti, e che nascondono una realtà terrificante riguardo la loro natura, e quella del mondo di gioco stesso. Resi partecipi della loro potenza distruttiva intraprenderemo un lungo viaggio pieno di colpi di scena e personaggi memorabili, nel tentativo di fermarli per sempre.

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Devil Daggers

Ispirato graficamente agli sparatutto degli anni Novanta, vi vede al centro di un’arena abissale,  immersa in un’oscurità spaventosa, armati di daghe magiche che sparerete letteralmente dalla vostra mano per sconfiggere orde di demoni velocissimi. Si stratta di un shmup (shoot them up) in prima persona, frenetico, dove sebbene la meccanica di base possa sembrare molto semplice, la strategia da adottare per l’abbattimento dei nemici è complessa: occorrerà infatti dar loro una certa priorità in base alla tipologia, alla velocità, e al livello di aggressività. Eliminando ad esempio i più pericolosi, poi i più veloci e lasciandovi alle spalle i più lenti. Non c’è bisogno di dire che ad ogni Game Over si ricomincia da capo, instaurando un livello di sfida molto stimolante, anche se frustrante (gli high scores della classifica di Steam, consistono in una decina di minuti di sopravvivenza al massimo). Nel giro di pochissimo tempo vi sembrerà di aver ucciso più mostri di quanti ne potreste eliminare nel più frenetico degli sparatutto in circolazione. Il design delle creature sembra uscito da uno dei peggiori incubi di H. R. Giger, e la sofisticatezza dell’atmosfera lo rende un titolo molto affascinante anche dal punto di vista artistico. Consigliato a chi ama le sfide impossibili.

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Stardew Valley

Annoiati dalla solita routine e dalla vita di ufficio, decidete di aprire il testamento che vostro nonno vi diede in punto di morte. Questo consiste in niente di meno che una proprietà in disuso a Stardew Valley, felice cittadina immersa nella natura, e rendendovi conto di aver perso di vista le cose importanti della vita, deciderete di mollare tutto e iniziare una nuova vita all’insegna del duro lavoro, e della semplice vita di campagna. Programmato, scritto e disegnato da Eric Barone, che ne ha curato anche la colonna sonora, Stardew Valley risulta essere un piccolo gioiello ispirato ai titoli 16 bit dell’arte videoludica. Arrivati alla magione, imparerete sulla vostra pelle cosa significa coltivare orti, spaccare pietre e legna,  pescare e non rimanere a corto di soldi. Il tutto gestendo il vostro livello di energia che si va esaurendo, per recuperare il quale vi basterà mangiare e dormire. Mantenere buoni rapporti sociali con gli altri abitanti del villaggio sarà utile a ricevere ricompense e aiuti, e potrete perfino decidere di sposarvi se lo desiderate, facendo regali per la vostra/o amata/o.

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Undertale

Non può non venire in mente un altro titolo nostalgico dell’anno scorso, considerato da alcuni come il miglior gioco dell’anno: Undertale di Toby Fox è un capolavoro assoluto in cui la grafica a 8 bit non vi impedirà di commuovervi per una trama coinvolgente, ricca di colpi di scena e personaggi memorabili. Il character design e la colonna sonora sono i punti di forza di questo titolo, e riescono a suscitare un grande trasporto emotivo nei confronti della storia.

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Ci troviamo quindi di fronte a opere semplici, ma che corrispondono a una precisa visione del mondo. Una delle caratteristiche fondamentali di titoli di questo tipo, è infatti la forte impronta stilistica che i singoli creatori riescono a imprimere su ogni aspetto estetico, musicale e di gameplay. Quale altra definizione, può meglio rappresentare quella di un’opera d’arte?