Una critica alla bramosia di potere per l’atipico adattamento della commedia shakespeariana firmato da Jurij Ferrini, dal taglio quasi cinematografico…
di Giorgia Bollati — 1603. Un lume vacilla su un tavolo consumato e in sottofondo solo il graffiare della penna sul foglio. Shakespeare sta scrivendo Misura per misura, una commedia che commedia non è poi così tanto, un testo sui limiti e sulle derive del potere, sulla lussuria, sulla giustizia e sull’onestà, ma soprattutto un testo che parla delle infinite sfaccettature dell’animo umano, l’ambito che in assoluto l’autore ha esplorato più a fondo.
Dopo centinaia di rappresentazioni, Jurij Ferrini non crea l’ennesimo adattamento, ma fa una celebrazione del genio di Shakespeare, un’ode cantata in onore della sua capacità di trarre spunti (e non solo) dalle opere dei colleghi e rivali e di rimaneggiare materiale preesistente per creare delle opere che parlano un linguaggio universale, comprensibile da chiunque in qualsiasi epoca, immutabile come la natura umana. Dopo aver firmato, per il Teatro Stabile di Torino, la regia di Cyrano de Bergerac (2014) e di L’avaro (2015), Ferrini veste i panni del Duca di Vienna nella commedia dolceamara in scena dal 22 novembre al 18 dicembre 2016 al Teatro Gobetti.
«La natura del peccato risulta coprire il ruolo di protagonista della commedia»
Porta sul palco la tragicità che getta un’ombra su un’esecuzione ironica nella quale il legittimo depositario del potere risulta essere un po’ la caricatura di se stesso, per dimostrarsi alla fine capace di azioni risolute che portano la situazione degenerata a un equilibrio stabile. Ispirata chiaramente al film Romeo+Giulietta di Baz Luhrmann, l’atmosfera è quella dei sobborghi di periferia delle città moderne, tra murales stile Banksy, musiche rock e costumi tanto attuali quanto street, dall’aria tutta americana come si vede dalle tute arancioni dei carcerati. Con il taglio cinematografico dato dall’utilizzo del palcoscenico, gli attori ricostruiscono la vicenda della partenza del Duca che lascia la guida della città all’apparentemente affidabile Vicario Angelo, interpretato da Matteo Alì, figura ambigua che rappresenta la doppiezza e la falsità di chi utilizza il potere per atti di cattiveria gratuita e di egoismo più puro.
A partire da Isabella (interpretata da un’eterea Rebecca Rossetti), novizia sorella del giovane ingiustamente condannato a morte Claudio (Raffaele Musella), per arrivare ai comicissimi Lucio (Angelo Tronca), Pompeo (ruffiano interpretato da un divertente Michele Schiano di Cola) e Schiuma (Marcello Spinetta che veste anche i panni di Frate Pietro e del boia), tutti partecipano al gioco del perseguitato-persecutore, giostrandosi in equilibri di potere in cui ognuno cerca di prevalere sull’altro. La natura del peccato risulta infine coprire il ruolo di protagonista della commedia: ogni personaggio si interroga sulla correttezza del proprio ruolo, sulle aspettative di cui la società lo investe e sulla realtà della giustizia. Emblematica in tal senso appare la toga del giudice, che diventa la palla che tutti si passano l’un l’altro, attribuendosi e privandosi del ruolo di critico del mondo, fino alla frase risolutiva “morte per morte, simile che si specchia nel simile e misura per misura”.
Depositario della saggezza, il Duca è il fulcro del testo, dal quale dipendono le risate e le disillusioni del pubblico e magnetico risulta Jurij Ferrini nella sua interpretazione capace di spogliare l’animo del suo personaggio ed esporlo in tutta la sua nudità di fronte al pubblico. Allo stesso modo, anche Matteo Alì si dimostra in grado di farsi investire dalla fragilità di un persecutore derubato della sua maschera e, nell’atto della confessione, appare schiacciato e quasi curvo al centro del palco che viene invaso dagli altri personaggi.
Unica nota che stride con la delicatezza e la finezza, nonostante la “volgarità” dell’ambientazione, della rappresentazione è la scena di sesso sotto i riflettori: forse poteva essere evitata con qualche escamotage drammaturgico, ma la schiena nuda del Vicario sul corpo di Mariana (interpretata da Sara Drago) appare sotto la luce dei fari fin troppo reale. Particolare la conclusione dell’esecuzione, in cui i nomi degli attori si mescolano ai destini dei personaggio, quasi a mostrare quanto i reali esseri umani siano, in fondo, sullo stesso piano dei personaggi intessuti da Shakespeare, dotati dello stesso spessore di una vita vera. Misura per misura resta, ad ogni modo, un adattamento moderno e brillante per un’opera di genio, in perfetto stile Ferrini.
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