[REPORT] Sorge: le voci del passato si aggrovigliano nella rete del presente

L’ennesimo cambio di pelle di Emidio Clementi nel progetto condiviso con Marco Caldera. Abbiamo seguito la tappa bolognese al Tpo, all’interno della programmazione del BilBolBul festival: non farsi suggestionare è stato impossibile.

di Yannick Aiani  –  Si chiama Teatro Polivalente Occupato, ma ieri sera – tra i testi di Sorge, l’alcol e le luci soffuse – abbiamo creduto di trovarci in un fumoso locale americano del secolo scorso: quelli, per intenderci, dove Tom Waits gracchiava canzoni da un pianoforte all’angolo e dove, ancor prima di lui, Ginsberg saliva su qualche palco di fortuna per declamare poesie. Merito di Emidio Clementi e della sua innegabile capacità di trasformare i locali in cui suona nei luoghi evocati dalle canzoni. A fare ciò, basterebbe solamente la sua presenza fisica, con l’ormai abituale completo nero, cappello e bolo tie appuntata sulla camicia bianca; saluta all’inizio e alla fine, parla poco e cerca costantemente con lo sguardo qualcuno tra il pubblico, picchia sulla tastiera e con la mano libera agita l’indice verso di noi. Mentre Marco Caldera cura le basi elettroniche, sullo sfondo delle figure tratteggiate da Marino Neri – uomini a volte animaleschi, a volte angelici – il frontman dei Massimo Volume evoca, in un sabba poetico, Villon, Lowell, Strand ed altre figure più o meno note del passato, mentre nello scenario di Sorge i pezzi di Sinatra e Coltrane girano ancora sul piatto.

La discografia a cui si può attingere risulta chiaramente limitata (sono ad oggi 12 le canzoni registrate nel progetto) e, come pronosticato, viene prosciugata nel giro di un’ora e mezza: c’è spazio per i due nuovi singoli (“La sera” e “Cronaca da un motel”), per le dichiarazioni d’intenti (“Accetto tutto”) e per qualche rimembranza del tour di Notturno Americano (“Hancock 96” e “Nuccini”). A metà scaletta – eseguita sostanzialmente seguendo la tracklist de La Guerra di domani – fa la sua comparsa Francesca Bono, i cui vocalizzi accompagnano per tre canzoni le evocazioni di Clementi. Nella straniante comunione col pianoforte e le basi di Caldera, l’autore marchigiano unisce suggestioni poetiche affondate nel passato con la quotidianità del presente, mescola ricordi di sbronze e torbidi ritratti di famiglia con gli ammonimenti mantrici dei poeti (“Noi facciamo ciò che siamo); quasi a ricordarci, in qualche modo, che il groviglio della nostra esistenza non distingue tra cultura alta e desideri bassi, che gli sparuti ricordi del passato si intersecano continuamente con le azioni del presente, più di quanto siamo disposti ad ammettere. E, alla fine di tutto, forse è proprio la sua onnicomprensività, la sua volontà di mettere in versi anche i momenti che paiono meno significanti, a farci apprezzare particolarmente la poetica di Clementi.

Gallery a cur di Alise Blandini