La disobbedienza e l’inquietudine dell’artista torinese in una grande retrospettiva alla GAM. Per una poetica in bilico tra vita e morte, realtà e illusione, erotismo e sofferenza.
di Miriam Corona — Fino al 4 Febbraio 2017 la Galleria d’Arte Moderna di Torino ospita una collezione di circa duecento lavori di Carol Rama, una delle artiste di spicco dello scorso secolo, venuta a mancare nel 2015 all’età di 97 anni. Figlia di una famiglia benestante torinese, trascorre una vita agiata fino alla crisi degli anni ’20, situazione che la trasformerà nell’artista irregolare (a tratti brutale) che oggi, dopo anni di sottovalutazione, conosciamo. Amica del poeta Edoardo Sanguineti, dell’architetto Carlo Mollino, di Man Ray e Andy Warhol, Carol Rama vive un’esistenza dedicata all’arte a trecentosessanta gradi (si dedica a pittura, scultura, incisione, disegno e altre tecniche), arrivando a trasformare l’abitazione di Via Napione in cui ha vissuto fino alla morte in un vero e proprio museo.
«La vita – quella infelice, irosa, groviglio di tormenti, tuttavia colma di passioni e desideri – alla quale Carol Rama non ha mai voluto rinunciare, dissimulandola con una sincerità che l’ha tenuta spesso lontana dai meccanismi convenzionali del mondo dell’arte, ma sempre fedele a se stessa»
ANATOMIA POLITICA – Durante l’adolescenza, da autodidatta, comincia a esprimere attraverso la pittura i profondi disagi derivanti dalle cure psichiatriche della madre – le immagini dei malati psichici e delle mura ospedaliere sono fissate per sempre nella sua mente dodicenne – e dal suicido del padre, un dolore che pregna tutta la sua opera. Sulle pareti rosso vivido degli anfratti del museo, come se ci trovassimo in un ambiente privato e intimo, osserviamo gli acquerelli traboccanti di donne dalle lunghe lingue rosse, talvolta prive degli arti, sdraiate o sedute sopra dei letti, che subiscono il sesso maschile (spesso esagerato fino all’inverosimile), serpenti che si insinuano tra le loro gambe e genitali maschili che abitano dentro delle scarpe.
Questi lavori sono estremamente figurativi ed espliciti, troppo per l’epoca in cui Carol li crea (siamo a cavallo tra gli anni ’30 e ’40), tanto da venire censurati e sequestrati prima dell’inaugurazione della sua mostra d’esordio nel 1945; dedicati principalmente al corpo femminile pensato come un’entità mutilata, violentata, malata e disabile (numerosi sono i riferimenti a sedie a rotelle e a protesi articolari, come in “Nonna Carolina” del 1936), ma nonostante tutto attiva e vitale, rappresentano l’antitesi al corpo ideale concepito dall’ideologia fascista.
L’erotismo gioca un ruolo fondamentale, soprattutto nelle opere della serie “Appassionata”, caratterizzate dall’uso di una tavolozza tipica dell’Espressionismo Fauves con colori intensi per i genitali dei soggetti, a sottolineare la resistenza del corpo alle forze politiche e istituzionali che lo assoggettano.

Anno: 1980
Misure: 35 x 70 cm
Tipologia: collage
Materiale: vinilpelle e gomma su tela
Provenienza: Opera donata dal Premio Nazionale Arti Visive Città di Gallarate nel 1982
ASTRAZIONE ORGANICA – Nell’ambiente principale della mostra troviamo le opere realizzate da Rama nei decenni successivi, in cui utilizza un linguaggio più filtrato e misterioso tramite l’uso di numerosi materiali nei cosiddetti “bricolage” (definiti così da Sanguineti) che traboccano da ogni muro dell’ampia sala bianca, contrasto evidente col carattere travolgente di questi lavori; osservandoli – alcuni di essi sono ordinati in base alle serie di cui fanno parte, come gli “Organismi ancora ben definiti e vulnerabili” e “C’è un altro metodo per finire” – sulle macchie astratte di colore stese sui supporti, troviamo i prodotti più disparati, da cannule di plastica ad artigli di animali, da copertoni di biciclette (il padre ne aveva una fabbrica a Torino) a occhi di bambole.
Una sezione è dedicata all’interesse per la questione del “morbo della mucca pazza”, scoperto agli inizi degli anni ’90, che la riporta all’antropocentrismo e all’arte figurativa degli anni ’30 e ’40, visibile nelle opere che ora somigliano a pale d’altare e disegni simili a scarabocchi realizzati su pentagrammi o fogli tecnici precedentemente stampati.
Una delle opere emblematiche su cui soffermarsi durante la visita è “Movimento e immobilità di Birnam” (1978), realizzata utilizzando la camera d’aria di una bici e della pittura; l’artista unisce la sfera personale a quella mitologica-letteraria (“Birnam” è il nome del bosco in movimento profetizzato dalle tre streghe che segnerà la fine di Macbeth nel dramma Shakespeariano), creando un rapporto tra il desiderio di conformismo, dunque l’illusione e la realtà effettiva: la vita, quella infelice, irosa, groviglio di tormenti, tuttavia colma di passioni e desideri, alla quale Carol Rama non ha mai voluto rinunciare, dissimulandola con una sincerità che l’ha tenuta spesso lontana dai meccanismi convenzionali del mondo dell’arte, ma sempre fedele a se stessa.
