Il museo riesce nella difficile ma essenziale missione di interessare e coinvolgere il pubblico verso un argomento troppo spesso ritenuto “per specialisti” come l’archeologia: ci auguriamo possa essere d’esempio.
di Alessandro Berti – Il museo archeologico di Saint-Martin-de-Corléans in Aosta, aperto dopo quasi dieci anni dall’inizio dei lavori (il 24 giugno 2016), risulta per molti aspetti sorprendente. In primo luogo la struttura assolutamente atipica nel panorama urbano, volutamente contemporanea in netto contrasto con la piccola chiesa medievale adiacente. Essa inoltre funge da copertura per l’area dello scavo, così da proteggerla dagli agenti atmosferici, oltre ad ospitare il percorso museale relativo ai reperti lì ritrovati.
All’ingresso i visitatori sono condotti in un viaggio virtuale indietro nel tempo, lungo una rampa che conduce a 6 metri sotto il piano stradale, dove nel 1969 dei lavori edili per la costruzione di alcuni condomini ebbero l’esito del tutto inaspettato di scoprire uno dei più antichi esempi di area sacra neolitica d’Europa.
Al termine della rampa il colpo d’occhio è notevole, poiché si viene direttamente a contatto con la maestosità dello scavo (si tratta di circa 10.000 m2 in parte ancora da indagare) e delle strutture in esso riportate alla luce: pozzi rituali, buche per l’alloggiamento di pali, segni di aratura, steli, menhir e dolmen. L’esperienza viene resa quasi mistica dall’illuminazione dell’intera area, che simula l’alternanza giorno/notte con luci calde e luci fredde.
Il percorso museale si articola intorno all’area di scavo e ripercorre le tappe cronologiche del sito, in uso per quasi 2500 anni, dal V fino all’inizio del II millennio a. C., con successive riprese nei secoli successivi.
I primissimi segni lasciati dall’uomo furono dei semplici solchi paralleli nel terreno, chiamati “arature”, che in questo sito appaiono chiaramente, evento piuttosto raro per la natura stessa delle tracce lasciate. Successivamente vengono scavati una quindicina di pozzi piuttosto larghi e profondi (fino a 2 m), che contenevano tracce di semi, ossa animali, cereali, strumenti, elementi tipici di riti apotropaici. Il terzo intervento nell’area megalitica, databile tra la fine del IV e l’inizio del II millennio a. C. è l’inalzamento di pali lignei, infissi in buche scavate nel suolo e anch’esse riempite con semi (se ne contano 24 per il momento).
È molto probabile che questi pali fossero scolpiti con figure antropomorfe, così come le successive steli di pietra, che costituiscono il quarto elemento che si aggiunge ai precedenti. Le steli sono sicuramente uno degli elementi più spettacolari del sito, e occupano una vasta sezione del museo. Esse infatti sono disposte seguendo l’allineamento originale, riprodotto fuori dal sito archeologico nello spazio espositivo. Si possono così ammirare da vicino le steli, la maggior parte di forma antropomorfa e scolpite, in modo da rappresentare il vestiario e i corredi di quel periodo. Difficile dire chi raffigurassero, probabilmente si trattava di divinità, di eroi o di antenati. Dalla metà del III millennio il sito venne utilizzato anche con funzione funeraria, ed è in questo periodo che viene eretto l’imponente dolmen (una camera creata usando enormi monoliti come pareti) al centro dello scavo, all’interno del quale sono stati ritrovati numerosi resti umani con relativi corredi.
Il museo, molto moderno come concezione, ha la capacità di essere esaustivo e chiaro in ogni aspetto relativo allo scavo archeologico, oltre ad essere estremamente accattivante proprio per la grande sapienza con cui vengono presentati i reperti, dall’illuminazione alla notevole varietà di soluzioni espositive (come ad esempio inserire delle teche in pilastri cilindrici rappresentanti i pali lignei).
Il percorso si conclude su una balconata sovrastante l’intera area di scavo. La conclusione della visita quindi riporta il visitatore all’esperienza iniziale, tuttavia resa ora completamente comprensibile e leggibile dalla conoscenza acquisita. Il museo dunque riesce nella difficile ma essenziale missione di interessare e coinvolgere il pubblico verso un argomento troppo spesso ritenuto “per specialisti” come l’archeologia, in questo caso preistorica. In una città come Aosta, nella quale vi sono monumenti antichissimi di tutto rilievo, questo obiettivo non viene spesso raggiunto. L’esperienza di Saint-Martin-de-Corléans si augura possa essere d’esempio.