Abbiamo intervistato la direttrice artistica della Fondazione ARIA per capire come sia possibile non solo lavorare sul territorio, ma “fare territorio”…
di Martina Lolli – Il 14 maggio 2016 è stato inaugurato in Abruzzo il progetto No Man’s Land promosso e organizzato della Fondazione ARIA di Pescara. Si tratta di un’installazione site-specific concepita dal celebre architetto Yona Friendman e dall’artista Jean-Baptiste Decavèle in una porzione di territorio quasi incontaminata a Loreto Aprutino. Questa operazione ha sancito il passaggio di tale territorio da privato a pubblico, costituendo un unicum nel panorama della Land Art nazionale.
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Abbiamo intervistato Cecilia Casorati, docente dell’Accademia di Belle Arti di Roma e dal 2015 direttrice artistica della Fondazione ARIA, che ci ha raccontato come questa “terra di nessuno” sia suolo di sperimentazione sociale e culturale per posare le basi alla coscienza storica di un luogo inteso nel suo senso più lato, un luogo che parla di noi in quanto spazio abitabile non solo da corpi e oggetti ma anche da pensieri, un’architettura fatta di e per le idee.
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Com’è nato il progetto No Man’s Land e con quali intenzioni?
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“In realtà, quando mi hanno chiamato, il progetto iniziale era quello di realizzare una serie di lavori diversi con una utilità pubblica e altri ancora, invece, come più dei luoghi per pensare. Il progetto doveva lasciare, una volta terminato il mio compito, almeno dei punti nel territorio che potessero essere da stimolo per farne altri. Nello stesso periodo ho lavorato con il presidente dell’Associazione per l’Arte Contemporanea Zerynthia, Mario Pieroni, e gli ho raccontato del progetto. Nel frattempo ho incontrato quasi per caso i realizzatori de “La montagne de Venise”, sempre concepita da Friedman, ed è stato naturale chiamare anche Jean-Baptiste Decavèle a pronunciarsi su questa unione fra imprenditori e arte.
Mario Pieroni ha poi deciso di mettere a disposizione un suo pezzo di terra e si è pensato fosse interessante dare vita lì al progetto. L’idea di Friedman era inizialmente quella di incentrarlo sulla memoria intesa come volano per il futuro, poi ha preso piede l’idea con la Fondazione di fare di un bene privato un bene pubblico, che forse è una cosa completamente nuova, cioè l’idea che qualcosa venga ceduto attraverso l’arte. Infatti nascerà la fondazione No man’s land che sarà virtualmente proprietaria di una non proprietà con l’idea di poterne fare un modello sociale. Friedman ha lavorato su questa base e ha pensato, come prima cosa, di partire dalla natura e ridare alla natura un luogo che era suo con un intervento spaziale.”
Mario Pieroni ha poi deciso di mettere a disposizione un suo pezzo di terra e si è pensato fosse interessante dare vita lì al progetto. L’idea di Friedman era inizialmente quella di incentrarlo sulla memoria intesa come volano per il futuro, poi ha preso piede l’idea con la Fondazione di fare di un bene privato un bene pubblico, che forse è una cosa completamente nuova, cioè l’idea che qualcosa venga ceduto attraverso l’arte. Infatti nascerà la fondazione No man’s land che sarà virtualmente proprietaria di una non proprietà con l’idea di poterne fare un modello sociale. Friedman ha lavorato su questa base e ha pensato, come prima cosa, di partire dalla natura e ridare alla natura un luogo che era suo con un intervento spaziale.”
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«La tua generazione e le altre sono invece cresciute pensando che queste cose fossero normali, ma non lo sono affatto: per l’arte è normale il modo di pensare di Friedman, il modo di pensare qualcosa che non per forza abbia una sua realizzabilità ma che piuttosto serve a pensare»
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Era necessario un architetto per strutturare (più che riqualificare) un paesaggio…
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“Innanzitutto abbiamo anche un artista, Jean-BaptisteDecavèle, che lavora con Yona Friedman da diversi anni. In più Friedman è una figura particolare: ha una formazione da architetto ma ha fatto quasi mai nulla come architetture. Secondo me c’è bisogno di una simile attitudine in questo momento: tutto è diventato prodotto ma talmente prodotto che quasi non si pensa più, addirittura, che sia un prodotto. Io faccio parte di una generazione al limite tra le cose che succedevano e la speranza ancora viva che queste cose non accadessero.
La tua generazione e le altre sono invece cresciute pensando che queste cose fossero normali, ma non lo sono affatto: per l’arte è normale il modo di pensare di Friedman, il modo di pensare qualcosa che non per forza abbia una sua realizzabilità ma che piuttosto serve a pensare. Perché quello che ci manca è avere un tempo per pensare e se lo abbiamo poi le cose vengono fuori spontaneamente. Se si entra dentro la struttura di bamboo lì capisci che ti puoi prendere del tempo – fossero pure 5 minuti – per pensare delle cose che probabilmente poi servono anche per fare.”
La tua generazione e le altre sono invece cresciute pensando che queste cose fossero normali, ma non lo sono affatto: per l’arte è normale il modo di pensare di Friedman, il modo di pensare qualcosa che non per forza abbia una sua realizzabilità ma che piuttosto serve a pensare. Perché quello che ci manca è avere un tempo per pensare e se lo abbiamo poi le cose vengono fuori spontaneamente. Se si entra dentro la struttura di bamboo lì capisci che ti puoi prendere del tempo – fossero pure 5 minuti – per pensare delle cose che probabilmente poi servono anche per fare.”
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Durante un dibattito sull’argomento lei ha parlato della natura come fenomeno eterno e cangiante allo stesso tempo e del fatto che in essa si annidi una spiritualità al di là di qualsiasi religione. Noto che in questo momento l’arte, specialmente in Abruzzo, fa leva sulla spiritualità come una maniera per riappropriarsi del territorio. Come si è lavorato sul territorio in questo progetto?
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“Secondo me è interessante l’inverso, piuttosto: non lavorare sul territorio, ma “fare territorio” e l’arte fa il suo territorio per richiamare un qualcosa che non abbia un limite geografico poiché chiudere in un limite geografico è la cosa più sbagliata. Noi non partiamo dal territorio, ma dall’arte, e se partiamo dall’arte è lei che costruisce un territorio. Io penso che ciò porti alla possibilità che realmente un territorio abbia uno sviluppo culturale contemporaneo e solo così potremmo riappropriarci anche della storia. In realtà noi la storia ce l’abbiamo già, ma la comprendiamo a fondo grazie a questo sviluppo culturale che deve essere costante. È una cosa semplice: un territorio lo fai bene se non parti da quello, ma se parti dal pensiero di cosa puoi farci per poi venire necessariamente contaminato da esso. C’è un bellissimo libro di J. Hillman, “L’anima dei luoghi”, dove si evince che ogni luogo ne ha una e la sua spiritualità è nel fatto che in quel momento senti l’anima del luogo che non sentiresti, ad esempio, se Friedman non avesse fatto questo intervento. E in questo modo percepisci lo spazio non solo come limite fisico – qualcosa che ti dà la possibilità di orientarti, che è comunque importante – ma lo senti anche come concetto. Laddove fra il tuo spazio e lo spazio esterno non esiste alcun confine, secondo me è questo il senso della spiritualità. Il limite dell’Italia è che vai in ogni luogo e in ogni luogo c’è l’esaltazione dello stesso, così queste cose ce le portiamo dietro. Ma non dovrebbe essere così: non dovremmo mai riferirci a un territorio specifico perché si impara qualcosa solo se pensi che fai parte di un mondo – di un universo – non di una provincia.”
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Oggi siamo soliti parlare spesso di tempo, come se vivessimo solo nelle dimensione temporale. Ma viviamo soprattutto nello spazio, fisico e mentale, e lei mi dice che può essere tramutato in tempo per pensare…
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“Lo spazio è il più enigmatico dei due perché non si misura soltanto ma è anche geometrico e deve a ciò la sua complessità. Il tempo abbiamo cercato di dominarlo e oggi siamo arrivati a portarcelo dietro. Con lo spazio non riusciamo a farlo, non esiste un orologio per quantificarlo e addirittura sembra qualcosa di ancora inesplorato: concettualmente ci sono spazi che non vedremo mai, mentre il tempo lo esperiamo tutti più o meno allo stesso modo e ci sembra di essere capaci di gestirlo. In mezzo alla natura è tutto diverso: tanta arte ha ragionato su questo, lo stesso Penone non ha fatto altro che lavorare su ciò per capire che ci sono tempi differenti. Però l’idea di tempi differenti sottintende comunque che il tempo finisce e che è finito, come, ad esempio, l’impossibilità di percepire interamente il tempo di una quercia contrariamente a quello di un cane, più breve. Lo spazio è tutta un’altra cosa: esso ha in sé anche la nozione di perdersi e di “deriva”, ciò di cui abbiamo bisogno oggi.”
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Come hanno partecipato gli studenti dell’Accademia di Roma e dell’Aquila al progetto?
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“Hanno aiutato molto, insieme ai ragazzi della Facltà di Architettura di Pescara e delle scuole d’arte della provincia di Chieti. Sono stati un po’ manodopera, se vogliamo, ma hanno avuto la possibilità di vivere diversi giorni a stretto contatto con Decavèle, in una sorta di workshop in cui è stato possibile avere un scambio proficuo con l’artista.
L’incontro NOW New Operation Wave è partito in maniera giocosa e nasce anche dalla volontà di restituire l’esperienza agli altri, in una sorta di rete fra le scuole curatoriali di Brera e dell’Accademia di Roma.”
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A proposito della neonata Fondazione No Man’s Land, come proseguirà la sua attività?
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“Questa Fondazione è una cosa del tutto nuova, formata dai soggetti che hanno collaborato alla realizzazione del progetto e di cui il presidente è Friedman. L’idea è di provare a esportare il modello della trasformazione di beni privati in beni pubblici. Si è aperta da poco una possibilità in Argentina; cosa succederà in quei luoghi non lo sappiamo ancora, potrà riguardare o meno l’arte di Friedman, ma sarà comunque restituire la terra a sé stessa. Diventerà un’operazione politica. Friedman stesso ha detto una cosa molto bella quando l’abbiamo incontrato: “Tutti parlano di arte politica ed è vero, ma rimangono parole e basta”. C’è bisogno di fare! Lui, ad esempio, sta progettando abitazioni per i rifugiati che si possano costruire con pochi mezzi e in poco tempo, ma potrebbero nascere anche altre cose. Una cosa fondamentale è riportare in auge l’idea della gratuità del pensiero.”

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No Man’s Land
Yona Friedman e Jean-Baptiste Decavèle
Fondazione ARIA
Loreto Aprutino (Pe)
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http://www.fondazionearia.it/progetti/nomansland/
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Tutte le foto per gentile concessione di Fabio Cameli.