L’eleganza umile di Carlo Pittara e della Scuola di Rivara al Museo Accorsi – Ometto

Il Museo Accorsi – Ometto presenta un’esposizione che intende esplorare il percorso artistico dei pittori che, a vario titolo e in tempi anche diversi, frequentarono il “cenacolo” di Rivara, orbitante intorno alla figura di Carlo Pittara.

di Federica Giallombardo  –  La mostra, curata da Giuseppe Luigi Marini e realizzata grazie alla collaborazione con lo Studio Berman di Giuliana Godio, è composta da circa 70 opere provenienti dalle più prestigiose collezioni private italiane, che si sparpagliano tra le sontuose sale del Museo Accorsi-Ometto presentando 12 artisti: i torinesi Giovanni Battista Carpanetto, Adolfo Dalbesio e Antenore Soldi (quest’ultimo di origine fiorentina, ma vissuto a Torino fin da piccolo); i piemontesi Carlo Pittara, Vittorio Avondo, Ernesto Bertea, Federico Pastoris e Francesco Romero; i liguri Ernesto Rayper e Alberto Issel, cui si aggiungono il portoghese Alfredo D’Andrade e lo spagnolo Serafino Avendaño.

È la prima volta – afferma il curatore Giuseppe Luigi Mariniche questi pittori vengono esposti coralmente; ci sono state mostre anni fa dedicate ai liguri (soprattutto Rayper) e agli iberici, ma sono state sempre allestite in Liguria, perché gli stessi artisti che durante la tarda estate e l’autunno dipingevano a Rivara, in primavera andavano a dipingere vicino a Genova, creando la cosiddetta Scuola Grigia, ancora in contatto con la Scuola Piemontese.

Il cenacolo di Rivara fu uno dei più importanti fulcri di movimento artistico – nonché punti di incontro tra pittori diversi per età, indole e nazionalità – durante un’epoca, il tardo Ottocento, segnata dalla ricerca stilistica di una pittura che rappresentasse il reale, trascinandosi ancora i resti del tardo Romanticismo (un esempio è il vedutista svizzero Alexandre Calame) e propendendo verso le novità proposte da paesisti come Barbizon e Corot, incitati anche dal genovese Tammar Luxoro.

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Ernesto Rayper, I due pittori, Olio su tela, Collezione privata, Courtesy Enrico Gallerie d’Arte, Milano

Tutto ebbe inizio quando Carlo Ogliani, ricco banchiere di Rivara, decise di comprare il Castello del comune per concederlo al cognato, Carlo Pittara, permettendo a lui e ai suoi amici incontri e soggiorni dove insieme dipingevano, facevano escursioni – agresti e amorose – e viaggiavano (rigorosamente a piedi; famosa è la foto che ritrae alcuni di loro a Pinerolo, dopo quattro giorni di camminata, in gita per fare una visita a sorpresa all’amico Ernesto Bertea). Da qui nacque la cosiddetta Scuola di Rivara, che rese celebre Pittara all’interno dell’Accademia: negli anni ’60 dell’Ottocento, avvicinarsi al gruppo di Rivara significava tentare di far parte dei maggiori esponenti dell’élite pittorica piemontese, come dimostra la scuola successiva, di cui fu caposcuola Pittara stesso, ovvero quella di Iuvarra.

Nell’orbita di Rivara vi erano artisti molto diversi tra loro: ognuno con le proprie esperienze e le proprie origini, ma accomunati dalla maturazione avvenuta in Piemonte nel periodo della nuova pittura di paesaggio; abbandonando perciò scenari ingraziositi e frivoli e ripiegando consapevolmente nella descrizione realistica della natura mai accomodata, così come essa appariva dal vero. Le battute di caccia sono rappresentate in boschi trascurati (esposte vi sono Caccia alla volpe e Alla caccia, entrambe di Pittara); le sterpaglie sono drammaticamente piegate alle intemperie; i contadini sono “spiati” nelle loro faccende (documentaristiche sono La guardiana delle oche, Pascolo al tramonto e la bellissima Ritorno all’ovile di Pittara) e in generale qualunque soggetto è intento nel modesto svolgimento delle proprie attività (Il calzolaio ambulante, sempre di Pittara, è una ritualità laica osservata da lontano). Il risveglio all’ovile e Le lavandaie di Bertea sono teneramente indifferenti al pubblico; la Passeggiata all’aperto di Avendaño sembra quasi banale per l’aderenza al vero; il magnifico Tramonto sul Tevere di Avondo piange, sì, ma non per lui (tanto meno per noi).

“La scuola di Rivara si distinse per una particolarissima commistione di semplicità e abbellimento, rappresentando sfondi borghesi e soggetti umili non tanto nell’aspetto quanto nell’umana ripetitività delle situazioni e dei sentimenti condivisi”

In seguito ai pellegrinaggi, prima in Svizzera e poi in Francia (dove era partita la rivoluzione della pittura di paesaggio dalla scuola di Barbizon, che vantava esponenti come Corot e Courbet), gli artisti diventavano portavoce della nuova formula stilistica, assimilata senza negare la propria personalità – come si evince dalle opere esposte. Il prestigio fu repentino: il verde di Rivara divenne proverbiale (si veda il Bosco di Rayper) e, anche grazie ad Antonio Fontanesi, tutti i pittori vennero instradati verso la moderna rielaborazione della natura.

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Carlo Pittara, Un pomeriggio sulle rive della Senna, 1884, Olio su tela. Collezione privata

Nel 1873-77 la Scuola si disgregò per diverse cause: la morte di Rayper a soli 33 anni fu un trauma insuperabile per il gruppo, poiché era considerato uno dei suoi capostipiti; alcuni pittori dovettero lasciare il Piemonte per lavoro (lo stesso Pittara si recò a Roma); altri subirono il fascino della pittura macchiaiola (come sembra fare già da prima D’Andrade in opere come Rivara), abbandonando la visione di Rivara. Un tentato ritorno si ebbe nel 1880, quando Pittara intessette contatti con Boldini: ormai la pittura concepita era un’altra, gentile e adornata, scenografica, romanzata; diversa dall’elementarità delle scene quotidiane e genuine dei pascoli e delle stradine di paese.

Eppure, anche in questo caso, la scuola di Rivara si distinse per una particolarissima commistione di semplicità e abbellimento, rappresentando sfondi borghesi e soggetti umili non tanto nell’aspetto quanto nell’umana ripetitività delle situazioni e dei sentimenti condivisi.

Insomma, Pittara e i suoi seguaci avvicinano Boldini (e De Nittis di conseguenza) al genere “piemontese”, evitando i facili effetti e cercando i sentimenti reali nelle situazioni più complici; avvicinano i boudoir, i ninnoli e le piume alle stanze spoglie, agli aratri e alle campagne. Le scene sono eleganti ma mai spettacolari; un esempio è il quadro di Pittara Un pomeriggio sulle rive della Senna, dove le protagoniste non sono nobildonne acconciate ma ragazze umili, simili alle caterinette piemontesi, sedute all’esterno di un ristorante che sembra improvvisato.

Questo atteggiamento influenzò artisti considerati fuori dalla vera e propria Scuola piemontese, come Romero e Carpanetto: la pittura è più narrativa, ispirata alle scene di vita elegante dell’ultimo Pittara. Ne sono l’emblema le opere di Carpanetto: Critici gentili, Fiori raccolti; in particolare Intimità, la più alta dimostrazione del tedio conquistatore delle situazioni drammatiche centellinate nella vita vissuta giorno per giorno, eroiche nella staticità polverosa (lo stesso “polveroso” utilizzato per descrivere i famosi cavalli di Pittara) e nell’illustre monotonia del ciclo dei sentimenti – il litigio, lo sdegno, il presunto chiarimento. Il conforto delle cose vere, ingenue e dolcemente dimesse ricorda l’atteggiamento tipico anche in Gozzano: le ultime opere sembrano quindi uscite dalla soffitta di Nonna Speranza, ancora umide di antichità e dignitosissime nella loro pacata bellezza.

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Carlo Pittara, Pascolo al tramonto, Olio su tela. Collezione privata, Courtesy Studio Berman, Torino

Infine, una considerazione che pare più un monito pedantesco ma necessario: spesso le opere paesiste e vedutiste piemontesi vengono sottovalutate dal pubblico, quasi considerate monotone o superate da altro tipo di arte; in realtà, per ovvie ragioni, si vive un tempo che è debitore di stilemi e tendenze pittoriche che in quei tempi furono “innovativi”. Non si possono comprendere i grandi di oggi senza comprendere i maestri del passato; di contro, se si comprendono le opere di oggi, la sensibilità deve per forza essere in grado di affinarsi al punto da ritrovare dell’inedito nell’antico.

Fermarsi alla superficie di un paesaggio o di una scena campestre pare un delitto alla forma del Bello che ha condotto molti altri a un cambiamento, se non addirittura a un’evoluzione intesa come miglioramento; è quindi fondamentale imparare a osservare per ritrovarsi e a intendere un barlume di noi nell’ammirazione profonda delle cose.

Il museo Accorsi-Ometto avvicina perciò i giovani in maniera severamente materna, seguendo un percorso che, già dalla precedente mostra su Gastaldi, vuole educare alla profondità della visione attuale, decadente e nitida, senza tralasciare un affascinante velo di nostalgia.

Carlo Pittara e la Scuola di Rivara. Un momento magico dell’Ottocento pedemontano.

Museo di Arti Decorative Accorsi-Ometto (via Po 55, Torino)

Dal 22 settembre 2016 al 15 gennaio 2017

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*Opera in copertina: Giovanni Battista Carpanetto, Intimità, 1892, Olio su tavola. Collezione privata