Ma quanto cazzo amiamo BoJack Horseman?

Un cavallo di razza nel mondo dell’animazione americana, che scava dentro l’essere umani in maniera sorprendentemente profonda come la spirale di autodistruzione in cui il protagonista ci trascina tra una risata e l’altra.

di Nicola Bovio  –  In mezzo ai moltissimi attori che cercano di sfondare nella Babilonia di Hollywood ce n’è uno che ce l’ha fatta. Ed è un cavallo. Infatti nel mondo della serie animata prodotta da Netflix, umani e animali antropomorfi vivono fianco a fianco come se nulla fosse. 

Nonostante la celebrità arrivata con Horsinaround, una mediocre sitcom popolare negli anni ’90, Bojack non è felice. È un cinquantenne senza famiglia irrimediabilmente legato al suo passato, non è mai più riuscito a partecipare ad un film o ad uno show di successo ed ha un solo obiettivo professionale: interpretare Secretariat, il suo idolo di gioventù. Attorno a lui gravitano la sua agente gatto, il suo amico/rivale cane e sua moglie, il suo editore pinguino e Todd, suo migliore e maltrattatissimo amico. Nell’ennesimo tentativo di risollevare la carriera dell’equino, l’agente di Bojack lo convince a farsi affiancare da una ghostwriter che scriva la sua autobiografia. Da questa forzata collaborazione inizia il viaggio di Bojack dentro sé stesso, i suoi limiti e la sua incapacità di tenersi strette le persone più care.

Di recente abbiamo visto la figura dell’attore vivisezionata in profondità per mostrare la persona che sta sotto di essa in due lungometraggi di registi affermati come Somewhere di Sofia Coppola e Maps to the stars di David Cronenberg (o, in parte, anche Birdman di Iñárritu). Eppure Bojack Horseman riesce a scavare in modo molto più efficiente per portare in superficie quelle ansie, quelle paure e quelle debolezze che non sono tipiche degli attori, e nemmeno dei cavalli, ma proprie di qualunque essere umano. Lo stile di vita esagerato del protagonista lo porta a passare serate, ma anche intere giornate, con la mente offuscata dall’abuso di alcol e droghe. 

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Solitamente siamo abituati al fatto che scene del genere abbiano un tono puramente comico, ma non è così. Il divertimento esasperato è per Bojack un evidente bisogno di riempire un vuoto interiore che diventa sempre più grande con il passare del tempo. È un “uomo” che ha bisogno di aiuto da parte di tutte le persone che lo circondano e che gli vogliono bene, ma è anche un individuo cocciuto, arrogante e totalmente incapace di farsi aiutare da coloro che ha vicino e che, anzi, porta ad allontanare coi suoi comportamenti sempre sopra le righe. Intendiamoci, stiamo parlando sempre di una serie comica per cui le risate ci sono e le piccole gag che giocano sul fatto che personaggi non umani mostrano comportamenti propri della loro natura animale sono davvero fantastiche, e nel mondo già molto popolato delle serie animate per adulti, Bojack Horseman riesce a distinguersi. 

Non lo si deve paragonare all’umorismo triviale ma efficace dei Griffin, né a quello arguto e più raffinato dei Simpson o alla strepitosa via di mezzo propria di South Park, in quanto il vero punto di forza è la profondità con cui sono trattati i rapporti interpersonali e i comportamenti del protagonista. Nulla di quello che fa è senza conseguenze, ma anzi queste spesso sono disastrose e provocano una dolorosa empatia. Dolorosa perché dove ci riconosciamo di più sono proprio i pensieri e i sentimenti che Bojack cerca di allontanare con gli eccessi, come quell’eterna insoddisfazione che lo accompagna costantemente, il senso di solitudine e quella paura del tempo che passa in maniera inesorabile

La vita dell’ex protagonista di HorsinAround è amara come un bicchiere di Petrus, in un susseguirsi di risalite e cadute che hanno via via un impatto sempre più profondo nell’animo dell’attore cavallo. E andando avanti con il tempo ci si chiede se ci sia effettivamente speranza per questo rifiuto del mondo dello spettacolo da cui è stato fagocitato e poi risputato a pezzi.

Tra i prodotti originali di Netflix, Bojack Horseman è senza dubbio uno di quelli più interessanti. La sua cinica miscela di commedia e dramma è qualcosa che ancora mancava nel panorama dell’animazione seriale ed è il vero punto forte di questo splendido cartone di sicuro più adatto agli adulti che ai ragazzini.