Tanti film interessanti e addirittura la voglia di “provare a fare qualcosa di nuovo”?
di Davide Mela – Il 2016 è l’anno dell’horror… e non ce n’eravamo quasi accorti? Ma come: proprio nello stesso periodo in cui il secondo capitolo di The Conjuring sta facendo un sacco di soldi al botteghino? No, il punto non è quello. E non sto neanche per parlavi di The Conjuring, che a dirvela tutta mi interessa molto poco, se non per la presenza di quella simpatica canaglia di Patrick Wilson. Il primo film era un horror “scolastico” ma ben fatto, e non ho ancora visto il secondo quindi non ne posso parlare con cognizione di causa.
Il punto è che sono usciti un sacco di bei film dell’orrore nel primo semestre di quest’anno: tra roba decisamente più indie e un paio di titoli mainstream, il 2016 si sta confermando come l’anno cinematografico più votato al genere che ricordi da diverso tempo.
Non dico che siano tutti capolavori, e nemmeno “tutti belli”, ma sono sicuramente tutti film interessanti, per un motivo o per l’altro. L’elemento forse più intrigante dell’elenco che sto per farvi è la presenza massiccia di uno spirito che va verso il “provare a fare qualcosa di nuovo”, vagamente inteso: tra esperimenti di stile più o meno fini a sé stessi come Hush e un bromance drammatico mascherato da horror psicologico come in They Look Like People, il 2016 sembra imporsi per la freschezza degli interpreti del genere. Primo e indiscusso protagonista è quel piccolo, grande film-maker di nome Jeremy Saulnier, che dopo il mezzo capolavoro che era Blue Ruin tira fuori un quasi-capolavoro dall’esecuzione perfetta come The Green Room. Basterebbe questo titolo per imporre il 2016 come uno degli anni più interessanti per il cinema horror contemporaneo.
Ecco la carrellata dell’orrore. Aspettando il buon vecchio Rob Zombie e il suo “31″…
La sorpresona: The Invitation, di Karyn Kusama
The Invitation è forse il mio film preferito visto quest’anno, parlando a livello di gusto e sensibilità personale. Da un punto di vista oggettivo, non è il film dell’anno e neanche il migliore di questa lista. Ma a una certa, chissene dell’oggettività: The Invitation è una bomba.
Provvisto della struttura del più classico dei Mumblegore, ovvero di quel particolare sotto-genere dell’horror che si è imposto nel cinema indipendente degli ultimi anni e che in pratica si può riassumere nel principio del “Non succede nulla, ma quel nulla fa tantissima paura”, The Invitation è una cottura a fuoco lento di tensione e angoscia che culmina in un finale estremamente soddisfacente. Il film parte da un concept che personalmente mi terrorizza molto spesso nella vita quotidiana, ovvero le cene tra vecchi amici che non si vedono da tanto tempo, e gioca in maniera sottile su un’impercettibile linea di separazione che distingue l’imbarazzo della conversazione forzata alla sensazione che ci sia qualcosa di profondamente sbagliato che sta per succedere… ma che non sembra succedere mai.
Lo spin-off: 10 Cloverfield Lane, di Dan Trachtenberg
Tecnicamente, 10 Cloverfield Lane non è proprio un horror: è un divertentissimo film di genere con elementi horror, che prende tre personaggi e li intrappola all’interno di uno spazio delimitato.
Sulla carta, il film è ambientato nello stesso universo (o quantomeno, è parte della stessa “antologia sci-fi”) di Cloverfield di Matt Reeves di qualche anno fa. Ne condivide l’ingegno produttivo, in gran parte rappresentato dal signor J.J. “sono il re di Hollywood” Abrams, e lo spirito da film che gioca sugli elementi più tradizionali del Monster Movie. In questo caso, i veri mostri sono gli esseri umani e la vera paura si costruisce attraverso la tensione dell’imbottigliamento forzato di tre personaggi all’interno di un bunker che dovrebbe proteggerli dall’orrore all’esterno, ma che rischia di produrre al suo interno un orrore molto più umano e concreto. Diretto splendidamente, 10 Cloverfield Lane ha tutta la furbizia di scrittura di un prodotto Bad Robot e, nel suo piccolo, è un divertente gioiellino.
Quello fatto con due euro: They Look Like People, di Perry Blackshear
La maggior parte dei film che ruotano attorno ad un protagonista con problemi mentali si limitano a mostrare le possibili conseguenze del disturbo del protagonista sulle persone attorno a lui. They Look Like People parte da queste premesse per imbastire un thriller di atmosfera ricco di ansia, interrogativi e il dubbio lancinante che vi siano elementi sovrannaturali all’interno di una follia che sembra quasi lucida e consapevole.
I demoni stanno per colonizzare la Terra o è tutto nella mia testa? They Look Like People è quasi didascalico nello svolgimento, ma ha un cuore grosso così e si concede il tempo e lo spazio per approfondire un rapporto di amicizia per nulla scontato e ordinario, fino a inquietare profondamente lo spettatore nonostante una evidente (quasi dichiarata) povertà di mezzi a disposizione. Il risultato finale è un prodotto che fa genuinamente paura e soprattutto è capace di metterti a disagio, tecnicamente interessante e mai scontato.
Quello gotico e tradizionale: The Boy, di William Brent Bell
Quando vidi per la prima volta il trailer di The Boy, pensai: “Finalmente un film che dice qualcosa di nuovo sul topos del bambolotto creepy”. Quindi esultai, perché se c’è una cosa da sapere su di me è che sono un grande appassionato di bambolotti creepy. Non nel senso che li colleziono, ma nel senso che mi diverte vedere i film in cui sono presenti. Ebbene, la grande domanda è: “The Boy riesce davvero a dire qualcosa di nuovo in materia?” La risposta è: “Mah. Più o meno”.
Il film è un interessante omaggio all’horror più classico, quasi citazionista di atmosfere alla gotiche alla Hammer. La protagonista è una ragazza americana che si trova a fare la babysitter di un bambolotto creepy; ne conseguono cose inquietanti che succedono e la sempre crescente convinzione che il bambolotto sia vivo. Il film è riuscito a metà, nel senso che il suo svolgimento alterna cose buone ad altre piuttosto ridicole, ma azzecca qualche momento e un po’ di sana atmosfera da horror inglese vecchia maniera.
Quello d’autore: The Witch, di Robert Eggers
Forse il più bello ed acclamato tra gli horror duri e puri citati finora, The Witch è in giro da un po’ nel circuito dei festival e sono riuscito a recuperarlo in una piovosa serata primaverile di quest’anno. Raramente mi è capitato di avere così tanta paura, autentica paura, nel guardare un film. The Witch mi ha fatto provare sensazioni simili a quando vidi L’Esorcista per la prima volta e, senza spingerci a scomodare capolavori della storia del cinema, condivide con il film di Friedkin uno spirito di reale costruzione della tensione attraverso la cura per i dettagli, per la mitologia nella quale si muove la storia e per il modo di raccontare un evento tanto semplice quanto disperatamente terrificante.
La ricostruzione storica dell’America di frontiera dell’800 è semplicemente eccezionale, e la fotografia riesce a creare imponenti dipinti in movimento che esaltano la suggestione dell’oscurità e la sensazione di essere isolati e circondati da forze inesplicabili. Se The Invitation mi ha lasciato di più a livello esclusivamente personale, The Witch è oggettivamente uno di quei 2-3 film assolutamente imperdibili del 2016.
Il quasi-capolavoro: The Green Room, di Jeremy Saulnier
Come accennato prima, The Green Room è un’altra autentica rivelazione di questo primo semestre cinematografico. È un film duro, semplice, brutale: in altre parole è “dritto”, nel senso che con ambizione modesta ma una gigantesca consapevolezza del mezzo, dice quello che deve dire e lo mette in scena con una grandissima capacità di costruire la tensione e fare esplodere il gioco del gatto con il topo che i carnefici mettono in atto nei confronti delle vittime.
In The Green Room, una band punk di provincia si ritrova chiusa per sbaglio all’interno di un locale di neo-nazi che vorrebbero ucciderli in maniera bruttissima. Nel cast, il compianto Anton Yelchin è bravissimo così come Imogen “Ho un cognome molto divertente” Poots e soprattutto quel grandissimo interprete che è Patrick Stewart nei panni di un cattivo sotto le righe e quasi “banale”.
Nel complesso, il film è uno di quei pugni nello stomaco di tensione nervosa e climax ascendente di violenza che ti godi dall’inizio alla fine, con un ritmo serratissimo e un’intensità più unica che rara nel cinema moderno.