[INTERVISTA] Gravity Records: “Alta fedeltà” sotto la Mole

In occasione dell’imminente inaugurazione della mostra che esporrà i lavori del collettivo “Coraggioiltopo” presso il negozio di vinili Gravity Records, facciamo una chiacchierata con il proprietario Armando Cervetti.

di Serena Gramaglia –  E’ un sabato pomeriggio come tanti. Il cielo su Torino è grigio sporco, l’umidità sembra appiccicarsi addosso e la solita, annoiata pioggia sembra incombere. Eppure qualcosa si muove, e le strade di Vanchiglia lo testimoniano: in via Tarino c’è fermento, Gravity Records ha la porta aperta e buona musica elettronica solletica le orecchie dei passanti. Armando Cervetti, il proprietario, ci accoglie col sorriso. Come sempre. E tra una sigaretta e l’altra parliamo di scelte di vita, di passione, di “alta fedeltà” al vinile e di classifiche.   

Gravity Records è aperto da poco più di un anno, ma di cose ne sono state fatte tante. Sei soddisfatto? Ma soprattutto, cosa facevi prima di avere il negozio? So che sei stato a Londra…


“A Londra sono andato all’età di 24 anni, dal ’94 al ’97, per studiare l’inglese più che altro. Ho fatto lavori inventati sul momento! [ride]. Comunque lì c’era una bella atmosfera, bastava frequentare determinati locali e club per imbattersi in artisti del calibro degli Skunk Anansie o addirittura David Bowie: una volta mi si è seduto accanto ad un concerto di Tricky, all’Odeon Hammersmith. Prendendo posto, mi ha salutato in modo cordiale, mi ha rivolto due parole – era  davvero uno alla mano! Invece prima di aprire Gravity Records ero responsabile di formazione e sviluppo del personale all’Iveco – quindi un lavoro impiegatizio completamente diverso, sempre molto a contatto con le risorse umane però di certo non un lavoro di vendita.”

Insomma, una scommessa molto coraggiosa.


“Sì, è stata una scelta difficile: mollare un contratto a tempo indeterminato con una buona paga, nel 2015, non è una cosa da tutti. Però è anche una scelta che voleva la mia psiche in qualche modo, ne avevo bisogno per riuscire a ritrovare le mie passioni, le cose che mi interessavano. Alla fine l’ufficio ti spegne molto, ti mette in un vortice di alienazione, di abitudine, e perdi anche il contatto con quel che è realmente importante per te, nella tua vita. Secondo me non è tanto importante avere uno stipendio fisso, bensì è importante fare una vita sostenibile, lavorare vicini a casa, con qualcosa che è un hobby e una passione – quindi aprire al mattino contento e felice anziché svegliarmi già incazzato perché devo andare in ufficio… secondo me se ne guadagna molto in salute. Poi è vero che a livello economico ci vai a perdere. Ma sono comunque soddisfatto: il progetto sta prendendo una piega interessante, quello che avevo disegnato sulla carta si sta anche realizzando nella realtà, quindi tutto sta andando nella direzione che volevo, e questa è la cosa principale. Sicuramente ci saranno ancora sviluppi futuri da portare avanti, non finisce di certo qui: non è che dopo un anno dico “Ok, questo è Gravity Records e rimarrà per sempre così”. Ci sarà un’evoluzione, ed essa è in corso anche attualmente.”

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Credits: Nicola Martinetto

Dici spesso che vuoi che Gravity sia un “polo culturale” più che un mero espositore di vinili. Non solo un negozio, quindi, ma anche – e soprattutto – un luogo che incoraggi la cultura e il dialogo. A mio parere, è molto intelligente. Perché la musica è importante, ma lo è ancora di più se diventa un luogo d’incontro, o un’occasione di scoperta. Quali sono quindi le attività collaterali che hai in cantiere? Ci sono altri progetti futuri?


“Una collaborazione importante è stata quella con Radio Flash, già giunta in realtà alla seconda stagione: tutti i mercoledì trasmettiamo da qui, con Giorgio Valletta, una delle sue puntate in diretta dalle 18.30 alle 19.30. Io stesso conduco una trasmissione, “Bassifondi”, tutti i giovedì sera dalle 22.45 a mezzanotte. Con Giorgio Valletta cerchiamo il più possibile di invitare degli ospiti che facciano un intervento live e un’intervista, in modo che la gente possa venire nel negozio di dischi, ascoltare musica e una trasmissione dal vivo, e anche interagire con la trasmissione stessa! Questo è una sorta di “bar dello sport”, ma musicale – e senza il bar: oggi i luoghi di aggregazione ci sono nell’ambito sportivo, ma per quanto riguarda l’ambito musicale molto spesso la musica sembra un po’ farsi esclusivamente nei luoghi in cui si beve: nei club, nelle discoteche, nei party, e così via…è una scelta di marketing, ma sembra quasi che la musica sia sostenibile solo se c’è l’alcol che fa da cassa. Nella realtà, secondo me è bello se ci sono dei posti in cui si respira, si parla di musica, la si racconta, e dove non per forza di cose sei obbligato a prendere due consumazioni. Io sono nato in una generazione in cui questo tipo di cose c’erano un po’ di più rispetto ad oggi: i negozi di dischi erano dei luoghi in cui andavi per passarvi il pomeriggio, compravi un disco, o magari anche no… però parlavi col tipo del negozio, ascoltavi le nuove uscite e quando potevi permettertelo, ti compravi anche un disco. E vedo che molti giovani, oggi, stanno facendo questo con Gravity Records, forse più che in altri spazi o negozi di dischi a Torino, dove vai esclusivamente per comprare della musica.
Di progetti futuri ce ne sono molti in cantiere. In parte questa iniziativa delle mostre [TRACK] vuole dare un tocco diverso alle pareti, in modo tale che, quando spulci tra i dischi, se alzi gli occhi si possano vedere delle cose belle. Di recente un artista mi ha portato un paio di sue opere dicendomi “queste tienile tu, almeno la gente le vede”. E non ha nemmeno voluto che mettessi il cartellino col suo nome o il prezzo: me le ha date semplicemente perché pensava che potessero stare bene qua in negozio. Questo mi ha inorgoglito molto, trovo che questa cosa sia figa perché va veramente oltre il concetto commerciale.”

Parlando di Torino, secondo te come si pone la “torinesità” alla musica? Willie Peyote, in merito all’“Educazione Sabauda”, dice in un’intervista che “Torino lascia un imprinting, un’identità. Quell’andi, quell’umore un po’ grigio solo se lo vedi da fuori. Torino si fa i cazzi suoi, non fa nulla per farsi conoscere, devi andarci tu. Se lo vuoi è disponibile, gentile, ma non ti chiede, non si impone”. Sei d’accordo? E quale tipo di clientela bazzica di più nel tuo negozio?


“Sì, in parte condivido con quanto dice Willie Peyote. Torino si fa i cazzi suoi, è underground – lo dicono in tanti – è meno patinata di altre realtà: da me viene spesso molta della gente che fa parte della Torino musicale ormai, a comprare o a chiacchierare, però lo fanno sempre in modo molto “sommesso” per così dire, senza atteggiamenti da star.”

A proposito, per te chi sono gli artisti torinesi “underground” più promettenti, interessanti?


“Io sono molto vicino alla scena elettronica, e ci sono molti artisti torinesi che promettono bene: la scena di Torino è molto in fermento. Da Boston 168, che sono usciti anche su diverse etichette importanti nell’ambito techno e acid come ad esempio Attic Music e Odd Even – quindi etichette che propongono musica a livello europeo in modo importante – e che al momento stanno suonando parecchio in giro in Europa. Però ovviamente rimangono un qualcosa di nicchia, molto underground. Ma anche gli stessi Niagara, che sono venuti l’altro giorno a fare un live qui in negozio; il loro è un progetto di respiro forse più internazionale che nazionale o torinese, hanno una produzione attraverso una label straniera. Fanno concerti anche qui in giro, certo, però forse vendono i loro dischi più all’estero che in Italia. Per citarne altri: i NoizyKnobs, un duo che fa techno, stanno uscendo su molte etichette interessanti. Ma gli artisti promettenti a Torino sono davvero molti, al punto che comunque non riuscirei ad elencarli tutti così a memoria!”

C’è un libro, “Alta Fedeltà” di Nick Hornby, il cui protagonista è un proprietario di un negozio di vinili e audiocassette. C’è un passaggio nel quale sostiene che “il feticista musicale non è diverso da quello porno, mi vergognerei di sfruttarli se non fossi anche io in quel gruppo”. Ti ci rivedi? Ti ritieni un maniaco del collezionismo?

“No, non mi ritengo un collezionista, anzi non penso che Gravity sia un negozio per collezionisti! Ritengo comunque che sia molto vera questa definizione di Nick Hornby, perché c’è una fetta di persone – il classico angolo “collector” – che va fuori di testa per cose che sono esclusivamente appannaggio loro. Ho dei collezionisti come clienti, che vengono, cercano e magari trovano anche la chicca. Ma personalmente, non mi ritengo un collezionista perché la prima cosa che faccio è aprire il disco e metterlo sul piatto. Il collezionista non lo fa, lo tiene sigillato! E in tal modo penso che cessi un po’ il bello della musica. A me piace il supporto – il vinile – ma se un giorno ci sarà un supporto migliore ben venga, basta che non ci raccontino palle come hanno fatto con il cd. Non sono nemmeno quello che compra due copie di una roba per tenerne una sigillata e una da ascoltare. Mi piace la musica, il disco consumato non mi dà fastidio, non mi dà fastidio il bordino che non si legge più perché è stato usato, credo che sia normale in un oggetto.”

Il protagonista di “Alta Fedeltà” ha l’abitudine di fare classifiche per qualsiasi cosa. Quindi la domandina odiosa è d’obbligo: i 5 album che ti hanno cambiato la vita, facendoti appassionare alla musica?


“Dipende: Bowie ad esempio mi ha cambiato la vita, però non quando è uscito, perché io l’ho scoperto solo successivamente! Quando ho ascoltato un suo album avevo 17-18 anni, perciò era già una cosa “vintage”. Se invece penso proprio ai dischi che sono andato a comprare, sono andato a casa, li ho ascoltati e ho pensato che mi avrebbero cambiato la vita, allora sarebbero altri probabilmente. Tra cui:

  • Thriller – Michael Jackson
  • Nervermind – Nirvana
  • War – U2
  • Linger Ficken’ Good… And Other Barnyard Oddities – Revolting Cocks
  • Music for the Jilted Generation – Prodigy

Ma altri ascolti fondamentali sono stati anche l’omonimo dei Rage Against the Machine, o i Nine Inch Nails, quindi il filone industrial. Anche i Beastie Boys oppure “Autobhan” dei Kraftwerk ! Poi se vado indietro negli anni ’80 esce fuori anche roba indicibile, che però mi ha cambiato la vita in un certo senso. Alla fine più che il disco in sè, conta anche la situazione in cui lo hai scoperto: quando c’è stato Thriller avevo 10 anni, ed erano dei pezzoni!”

Cosa vendi di più ultimamente e quali sono le etichette a tuo parare più interessanti, da tendere d’occhio?


“Vendo molta minimal techno, molta house, molta Detroit, anche molta techno scura, abbastanza elettronica, molti 12 pollici per dj. Tra le etichette che stanno andando per la maggiore c’è la FUSE o gli East End Dubs. Ma anche Perlon, la techno più scura della MORD oppure le berlinesi OSTGUT TON e FIGURE. “

Per finire, sogni nel cassetto: pensando in grande, se potessi scegliere chi vorresti venisse a suonare live in negozio?


“Posso dire che tutti quelli che sono venuti a suonare erano il mio sogno nel cassetto! Non so, forse DJ Shadow, visto che lui con i vinili ci sa veramente fare – sarebbe una cosa veramente old school!”

Dopo aver ancora curiosato tra i vinili, lasciamo Gravity Records con il sorriso. Passa un ciclista, suonando il campanello della bici a ritmo dei bassi provenienti dal negozio… “Ormai via Tarino è così” commenta Armando. E a noi, così, piace sempre di più.

(09/06/2016)

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