[INTERVISTA] Unlearning: disobbedisci al tuo paradigma culturale

Una famiglia sperimenta un modello di vita alternativo – in bilico tra utopia, primitivismo e sharing economy  –  e realizza uno dei documentari più chiacchierati e controversi dell’anno. Visionari o radical chic? Difficile dare un giudizio univoco e definitivo, ma la visione è caldamente consigliata.


_di Sara Tirrito 

Unlearning – Life begins at the end of your comfort zone è un documentario familydriven realizzato dalla famiglia Basadonne e fondato su un’esperienza di viaggio. Prima di mettersi in aspettativa da vita, famiglia e lavoro, Lucio era un regista libero professionista, Anna un’insegnante in una scuola superiore: entrambi lavoravano 8 ore al giorno senza troppo tempo da dedicare a sé stessi e a Gaia, loro figlia di 5 anni. Stanchi di trasmettere a quest’ultima un modello di vita a loro volta ereditato dai genitori e assunto come inviolabile,  circa due anni fa hanno deciso di mettere in discussione molte delle loro certezze per intraprendere un viaggio di 6 mesi attraverso comunità di uomini, donne e bambini con modelli di convivenza, apprendimento, economia diversi dall’ordinario.

Per attraversare l’Italia, i tre non hanno usato né macchina né alberghi, ma sfruttato ogni possibile forma di sharing economy, scambiando vitto e alloggio con ore di lavoro: dalla pulizia delle stalle allo smontaggio dei tendoni del circo. Time Republik, couchsurfing blablacar le loro principali risorse. Hanno sperimentato ecovillaggi, co-housing, scuola libertaria e home schooling; vissuto con freegans, ingegneri e fricchettoni. Una volta rientrati a Genova le loro vite sono tornate alla normalità, ad essere stravolti erano i loro punti di vista.

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Qual è il bilancio delle proiezioni finora?

“Ogni volta che proiettiamo, se siamo presenti, durano più le domande che la proiezione del film (70 min. ndr). Molte sono paure o consigli pratici. Il film è una sorta di trailer gigantesco che mostra vari modi di vivere e di condividere, tanto che una delle critiche che ci si muove è che è tutto molto superficiale. Siamo consci di questo. Quando abbiamo deciso di montarlo ci siamo chiesti se selezionare due argomenti e approfondirli, poi ci siamo resi conto che sugli ecovillaggi e tutto il resto c’è molto online, allora abbiamo preferito raccontare un’esperienza di viaggio in cui si lasciano le sicurezze, la ripetitività della vita normale e si prova a fidarsi degli altri.

Questa è stata la nostra sfida e all’inizio anche noi avevamo paura, per esempio di andare a dormire da sconosciuti. Alla fine del viaggio eravamo sereni anche se non sapevamo dove saremmo andati a dormire il giorno dopo. Quel che attira di più, soprattutto nelle scuole è dirsi ‘forse posso fare qualcos’altro anziché cercare subito di trovare un lavoro che non esiste. Posso usare un altro tipo di economia.’ Noi non siamo per il ritorno a tipi di economia primitivi, gli estremismi vanno bene nel cinema e nel racconto ma non nella vita. Noi siamo per affiancare altri modelli a quello tradizionale.”

Condividere, fidarsi, disimparare: la strada verso il progresso passa per il “regresso”?

“Ad esempio noi “scambiamo” il nostro film. Se si tratta di proiezioni gratuite, siamo retribuiti con dei prodotti tipici; quando lo proiettiamo nei cinema chiediamo il costo del biglietto. Con la normale economia questo film non si sarebbe potuto fare: le traduzioni, i comunicati stampa, i messaggi audio, tutto questo è stato fatto con la banca del tempo di Time Republic. Nel concreto, ho fatto video e fotografie a gruppi musicali che non avevano budget, loro mi hanno pagato in tempo e con questo tempo, alcune persone all’estero  hanno fatto i sottotitoli;in questo modo abbiamo potuto partecipare ai festival stranieri. Ci sono stati giornalisti che ci hanno fatto i comunicati stampa, social media manager che ci hanno fatto partire con Facebook ecc.

Tutto questo è stato fatto con lo scambio: non avrei mai avuto i soldi per farlo, come non avrei avuto i soldi per stare 20 giorni in Puglia, ma usando delle alternative ci si può spostare. Il nostro non vuol essere un documentario estremo, dove alla fine dormiamo in un fosso perché non dobbiamo spendere; vuole essere una proposta per chi si dice stanco della propria vita e vorrebbe scoprire qualcos’altro. La domanda che di solito ricorre più spesso è cosa facciamo adesso. Il pubblico vorrebbe che noi fossimo cambiati. In realtà forse un po’ siamo cambiati ma il messaggio del film vuol essere un po’ quello della scritta che lo chiude

Potrebbero volerci anni per convincerti a cambiare e poi potrebbero volerci anni per agire di conseguenza. Spero solo ti rimanga il tempo sufficiente. John Michael Abelar questa è la lettura.”

Un viaggio come il vostro è soggetto a facili critiche. Vi è mai capitato di dovere spiegare di non essere dei radical chic in cerca di ‘nuovi stimoli’?

“Certo. All’inizio del film si legge su un muro la scritta L’unico radical chic buono è un radical chic morto. È un gioco su questo, sulle categorie. Molti ci dicono che è un insulto alla povertà; altri dicono che non possono fare quel che abbiamo fatto noi perché sono liberi professionisti. Beh, anche io sono un libero professionista, basta organizzarsi. In molti ci chiedono se ci è successo qualcosa di brutto, in fondo ci siamo fidati di perfetti estranei. In realtà no, a parte la stanchezza.”

Noi non siamo per il ritorno a tipi di economia primitivi, gli estremismi vanno bene nel cinema e nel racconto ma non nella vita. Siamo per affiancare altri modelli a quello tradizionale.

Qual era il sistema sanitario adottato dagli ecovillaggi?

“Ogni ecovillaggio ha le sue regole e quelli con regole troppo rigide non sono veri ecovillaggi. Quello che colpisce di più è il discorso del parto (che si svolge nel villaggio e in genere in modo naturale ndr) che può essere letto chiedendosi ‘se poi succede qualcosa?’. In realtà se uno vuole la macchina avrà la macchina, e in ogni caso c’è un’ostetrica presente. Alcune comunità adottano la medicina alternativa, in altri posti si usa la medicina tradizionale e si pagano le tasse. Ogni posto è a modo suo.La grossa differenza che ho notato è che per chi vive in maniera molto naturale, anche il rapporto con la malattia e con la morte cambia. Se una persona decide di vivere in modo naturale e prende la piena responsabilità della sua vita e di quello che succede: ci sta anche che si ammali, che invecchi prima, che non abbia nessuno a cui delegare la colpa – come si potrebbe fare con un ospedale o una cura sbagliata. È un’assunzione di responsabilità: c’è chi lo fa in maniera più piena e chi meno, ma non c’è una ricetta”.

 C’era un sistema di tutela e prevenzione per i bambini come la vaccinazione negli ecovillaggi?

“Generalmente – però parlo per stereotipi – sono persone che non vaccinano i bambini. Ovviamente non è vietato fare vaccinare i bambini, però in generale sono sicuramente meno i bambini vaccinati che i non vaccinati, ma anche questa non è una regola.”

Gli ecovillaggi evoluti non sono disconnessi dalla società, cercano sempre di migliorare il modello e di interfacciarsi con esso.

Nel documentario ci sono dei modelli di vita un po’ al limite dell’anarchia. Uno dei vostri intervistati attribuiva a questo tipo di ambiente la capacità di offrire ai figli un panorama di confronto e di crescita più ampio. A me però è venuto in mente un discorso di De andrè (fruibile qui) secondo cui stare soli è un antidoto per rapportarsi meglio con il circostante.
Qual è stata la vostra impressione riguardo all’armonia che si può creare fra gli abitanti di un ecovillaggio?

“Stare insieme è molto più difficile che ritirarsi in una casa in Sardegna come fece De andrè. C’è una cosa molto bella che nel documentario dice Massimiliano, uno degli intervistati “stiamo imparando a sopportarci a vicenda”. Chi vive insieme agli altri – e questa è una cosa di cui sono convinto – sta facendo qualcosa di molto importante per l’umanità e per se stesso. Perché noi siamo molto egoisti, quindi il dire ‘condivido con gli altri’ vuol dire ‘vado verso un modello diverso, più sostenibile’. È chiaro che vivere insieme è difficile perché si litiga, allora si ha bisogno di un mediatore, banalmente. Però credo che re-imparare a vivere insieme sia una cosa fondamentale per fare un passo avanti per la nostra evoluzione.

Per esempio la scuola libertaria: dei bambini si mettono in cerchio e decidono cosa imparare e se il giorno prima c’è stato un conflitto, si dice facciamo il giro del bastone e cerchiamo di capire cos’è successo è un’evoluzione – questo ovviamente è un parere personale – della maestra che chiede  al bambino di portare il diario’. Chi vive in un villaggio, chi ti ospita e in cambio vuole che gli coltivi l’orto, fa parte di un modello che avevano i nostri nonni e che noi abbiamo perso e stiamo recuperando in una maniera ancora più bella, perché per i nostri nonni non era una scelta: erano nati in quelle condizioni e non poteva fare niente di diverso. Molti pensano che queste persone non contribuiscano al progresso globale, io penso che stiano facendo molto di più di di chi li giudica praticando un modello di consumo elevato. Non credo che sia migliore chi agisce da dentro il sistema rispetto a chi agisce da fuori. L’insegnante dentro la scuola o il politico, sono persone che fanno cose diverse e sono entrambi due esempi da portare avanti. L’importante è fare qualcosa. Ci sono molti ecovillaggi in cui alcune persone lavorano da fuori e portano in comunità la struttura del denaro, li metteranno nella cassa collettiva, mentre gli altri lavorano dentro al villaggio. Gli ecovillaggi evoluti non sono disconnessi dalla società, cercano sempre di migliorare il modello e di interfacciarsi con esso.”

Riguardo alla educazione libertaria, alla domanda :

“Immagina di dover iniziare la scuola, quale sarebbe la tua paura?” una bambina che non va a scuola ha risposto: “Il fatto che la libertà se ne è andata.”

Affidare ai bambini la facoltà di scegliere cosa imparare è qualcosa di molto delicato. Non credi che possa essere anche limitante?

“Gaia adesso ha 7 anni. Quando siamo tornati ha cominciato la scuola pubblica, che ha fatto per un anno e con buoni risultati. Dato che aveva visto tutto questo però aveva deciso di voler provare anche l’home-schooling e poi decidere cosa fare. Abbiamo iniziato con l’home schooling ma l’unica cosa che faceva era dire che si annoiava. A Genova c’è una scuola libertaria Officina del crescere, abbiamo provato a mandarla lì e poi è diventata la sua scuola. Adesso sta pensando a cosa vorrà fare l’anno prossimo. Quello che cambia è che crei per tuo figlio un modello differente.”

Com’è organizzata la scuola libertaria? Quali sono le attività?

Gaia: “Si arriva alle 9.00 poi si fa un’ora di gioco e alle 10.00 si fa il cerchio, dove decidiamo cosa fare il pomeriggio e la mattina stessa. Alla scuolina (=scuola libertaria ndr) decidi tu cosa fare e poi ci sono delle attività al pomeriggio, mentre alla scuola pubblica decidono le maestre. Ci sono poi anche dei laboratori: la mia mamma fa il laboratorio di disegno, mio papà quello di stop motion, poi c’è quello della matematica del Montessori, inglese, musica (…) ogni giorno c’è un laboratorio e il venerdì si va via a mezzogiorno. Ognuno di noi ha un quadernino con un argomento. Per esempio io stavo studiando i minerali e mi sono fatta un quaderno , mi compro i minerali e poi qualche volta gioco, qualche volta sto con l’educatrice e studio i minerali, andiamo in biblioteca, cerchiamo nei libri il minerale che mi interessa, lo disegno sul quaderno; leggo sul libro cosa c’è scritto su quel minerale e poi lo scrivo.”

Lucio: “Ognuno di loro approfondisce un argomento nel corso dell’anno e da quell’argomento loro tirano fuori tutto quindi dai minerali imparano: scrittura, disegno, chimica, geografia. L’obiettivo è quello di partire da una formazione che non è adulto-centrica ma di collaborazione anche fra i genitori per cercare di proporre un modello diverso. Ogni genitore ha una funzione. Noi facciamo i laboratori, altri si occupano della parte amministrativa, poi ci sono 3 educatori che si alternano e la base di lavoro è il metodo Montessori.

Ogni anno ci sono gli obiettivi minimi cioè quelli ministeriali (leggere, scrivere, fare le divisioni) quelli sono rispettati da tutti, il resto  è libero perché per fortuna in Italia vige la libertà di insegnamento quindi ognuno porterà quelli che sono gli argomenti che ha fatto. È chiaro che il modo di apprendere è diverso: ognuno approfondisce un argomento invece che avere un’infarinatura di tanti: cambia proprio il modo di apprendere ed è più responsabile. Una volta mi ha colpito che sono venuti a trovare Gaia degli amichetti della scuola pubblica: lei ha proposto di fare una ricerca (quando Gaia è a scuola gioca perché ci sono gli altri bambini, quando è a casa studia perché è da sola) loro non volevano farla perché erano stati a scuola fino a poche ore prima. Cambia proprio il rapporto con lo studio, non so dirti se è meglio o peggio ma sicuramente le apre dei canali in più.”

Se tu una scelta la fai per denaro generalmente viene bypassata dal pensiero comune, se invece la fai per sperimentare spesso viene presa come una scelta egoistica.

Allontanare il proprio nucleo famigliare dalla città vuol dire comunque scegliere al posto dei propri figli. La vostra intervistata, Amanda, diceva: “Ho deciso di scommettee 10 anni della mia e della loro vita”. È molto coraggioso ma può essere altrettanto egoistico?

“È sempre così. È egoista anche stare fuori da casa per 8 ore di lavoro. I nostri figli subiranno sempre e comunque le nostre scelte, ma è chiaro che se i genitori che stanno bene sono felici trasmetteranno questo stare bene ai bambini. Da Amanda le cose funzionavano perché loro stavano facendo, hanno preso in mano la loro vita e avuto il coraggio di cambiare. Anche io sono stato un grande egoista a prendere Gaia e sballottarla da una parte all’altra per 6 mesi di viaggio senza lavorare. Se l’avessi presa per andare a fare la regia di un film a Dubai sarebbe stato giusto? Se fai sacrifici perché lavori tutto il giorno, va bene perché stai lavorando, invece se come Amanda lasci tutto per mostrare un altro tipo di vita ai tuoi figli sei un egoista. Se tu una scelta la fai per denaro generalmente viene bypassata dal pensiero comune, se invece la fai per sperimentare e “scommettere” spesso viene presa come una scelta egoistica.  Questo secondo me è molto importante.”

Disimparare vuol dire lasciare le certezze che abbiamo imparato dai nostri genitori.  Non cancellarli. Metterli un attimo da parte per poi tornare e capire se quello che hai attuato per osmosi era realmente quello che ti apparteneva come persona o meno.

Nel vostro viaggio avete scoperto Ecosol, un condominio ecosostenibile a Fidenza. Potreste spiegare cos’è ? Credete sia un modello riproducibile in scala più ampia?

“Ecosol è molto intelligente perché è un esempio di co-housing. Sono 16 famiglie che si sono messe insieme, hanno costruito l’ambiente che volevano negli spazi che volevano, completamente indipendente dal punto di vista energetico perché è tutto coperto da pannelli solari. Producono corrente durante il giorno quando tutti sono a lavorare e la sera quella che hanno è meno di quella che hanno prodotto e venduto, quindi riescono (hanno tutto elettrico) a rendere il condominio autosufficiente. La cosa interessante anche è che loro sono 16 famiglie che stanno insieme e molte hanno la cassa comune.Tornando al discorso sugli stereotipi, non sono fricchettoni, sono persone ‘normali’: ingegneri, imprenditori etc (…) C’era una persona che aveva molti soldi e ha pagato per altre 5 famiglie che non pagano il mutuo; l’ingegnere ha detto “non posso mettere il denaro ma posso progettarlo”.

Ognuno ha messo un valore aggiunto e sono riusciti  a costruire questo condominio che in soldoni ha un prezzo al metro quadro di un palazzo di periferia, però se lo sono costruiti come volevano, negli spazi che volevano e con le persone che amavano e senza pagare un euro di bolletta. Perché questo non si fa? Io potrei dirti “tu hai 16 famiglie di amici con cui riusciresti a fare un progetto del genere?” No, perché principalmente il problema è lo stesso: non siamo in grado di metterci insieme e investire su noi stessi. Questo progetto è durato anni: all’inizio erano in 20, di questi ne sono rimasti 8, allora ne hanno cercati altri, si è rifatto un gruppo, uno se n’è andato, hanno avuto problemi col costruttore (…) è un’epopea costruirsi le cose. Essere indipendente è molto più faticoso che affidarsi agli altri. Però se le cose non ti vanno è molto meglio che essere dipendenti e lamentarsi che le cose vanno male.

L’esempio della famiglia austriaca freegan che vedeva la decrescita come principio di responsabilizzazione sociale.  Siete andati in Austria nel vostro viaggio?

“Li abbiamo incontrati al Rainbow ma siamo andati in Austria perché in Italia non è del tutto consentito prendere le cose dalla spazzatura: sono di proprietà dell’azienda dei rifiuti. In Austria invece qualsiasi cosa che butti uno se ne può appropriare, quindi per motivi legali abbiam deciso di farlo in Austria. Loro hanno dalla terra, cercano di consumare il meno possibile, quello che non riescono ad avere dalla terra lo cercano altrove cercando di consumare il meno possibile. Quello che mi piace di questa parte è che lui va in macchina e non ha problemi a dirlo e questo secondo me è una cosa molto forte perché non puoi essere puro al cento percento, indipendente da tutto e da tutti: l’importante è ammettere i propri limiti e fare la propria piccola parte.”

Nel vostro documentario c’erano molti stranieri.  Perché hanno scelto l’Italia?

“Mi spiegava un irlandese che era stato in Islanda e diceva in nessun posto nel mondo posso permettermi di stare 9 mesi all’anno all’aria aperta, a contatto con la natura come in Puglia. Semplicemente questo: che l’Italia è meravigliosa, il clima è fantastico, la terra è generosa.”

Cos’ha voluto dire decrescere e disimparare?

“Per noi decrescere vuol dire fare un periodo di prova piuttosto estremo, rientrare alla normalità e capire quali sono le cose che davvero ti mancano. Un esempio stupido ma vero è la lavatrice. Però il fatto di avere tanto consumo, tanti spazi, tanti oggetti, puoi piano piano imparare a rivalutare. Disimparare vuol dire lasciare le certezze che abbiamo imparato dai nostri genitori.  Non cancellarli. Metterli un attimo da parte per poi tornare e capire se quello che hai attuato per osmosi era realmente quello che ti apparteneva come persona o meno. Questo è il nostro viaggio alla fine, quello che proviamo a raccontare.”

In questo momento siete più consapevoli della vita?

“Le cose sono due: siamo molto confusi perché è come aver mangiato un elefante e dover digerirlo, dobbiamo capire cosa ci piace davvero, e poi la coscienza delle cose che ti danno fastidio. Prima avere certi bisogni, lavorare un tot di ore al giorno, lo facevi ed era così. Prendi la scuola: mia madre mi diceva sempre ‘Vai a scuola perché altrimenti vengono i carabinieri e portano via la mamma’, sapere che non è così ma che puoi fare anche in un altro modo e che puoi farlo in tutto, dalla scuola al cibo all’energia e che effettivamente sei libero di scegliere, cambia. Reimparare a fidarsi negli altri, reimparare ad ascoltarsi perché quando sei in viaggio non hai diecimila distrazioni. Tornare ad ascoltarsi l’uno con l’altro e dare il giusto valore agli altri che non è facile quando vivi alla velocità della luce.”

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Unlearning è attualmente in tour in tutta Italia. Le date delle proiezioni sono disponibili qui.

Per portare il film nella propria città è sufficiente contattare Lucio, Anna e Gaia tramite i loro canali ufficiali.
Sito ufficiale: www.unlearning.it
Pagina facebook: Unlearning
Canale vimeo: Unlearning

 

 

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