Dopo aver fatto balotta sui palchi di tutta Italia nell’ultimo anno di tour, Whitemary torna in Piemonte per una data estiva all’Artico festival di Bra, in compagnia di OKGIORGIO. La musica di Biancamaria Scoccia aka Whitemary unisce un’anima electro tribale, un background alt-jazz ed una vena cantautorale post-romantica ed introspettiva. Il risultato è una sorta di confessione sul dancefloor e al contempo un rituale collettivo scandito dai synth. In attesa di ritrovarci sotto cassa nelle prossime date (spoiler: alcune anche all’estero), ci siamo fatti raccontare meglio l’evoluzione del suo progetto e dell’ultimo acclamato disco “New Bianchini”: una sequela irresistibile di cavalcate rave-pop sulla scia di sciamani come Cosmo o Meg… Intervista a cura di Lorenzo Giannetti.
Ciao Bianca, come sta andando “la vita in tour”? Un tour lunghissimo partito mesi fa quando io stesso ti ho vista live all’Hiroshima di Torino.
Il tour procede molto bene. Ho iniziato in realtà l’estate scorsa con New Bianchini Soundsystem, in cui ho suonato tutto il disco in anteprima da sola con i miei synth. E ora mi sto godendo a pieno la formazione in trio, con due batterie ibride tutte suonate dal vivo. Sarò ospite per la prima volta in festival e città in cui non ero mai stata e l’aria di novità mi fa sempre bene! Tornerò in Piemonte proprio per Artico Festival a Bra.

Proprio in quella data torinese era palpabile un’emozione particolare/speciale, quella dei “battesimi” in un certo senso, delle prime volte. Non ho più scordato che a fine concerto dicesti un “Sono contenta” che si vedeva proprio sgorgare dal cuore. Salto quantico: a
metà agosto suonerai allo Sziget di Budapest, un riconoscimento prestigioso che arriva per gli artisti che spaccano in ottica internazionale. Che salto! Come stai vivendo le tappe di questo percorso? Ti eri immaginata le cose così a livello di modalità e tempistiche? Cosa ti sta “investendo” di più?
Portare il live all’estero è uno dei pochi obiettivi che mi sono data ultimamente, e sono una tipa che pianifica davvero poco. Iniziare a battezzare questo desiderio con lo Sziget mi emoziona particolarmente, ma trasportare il mio live è molto complicato. Abbiamo un set up di batterie particolare e la maggior parte dei miei synth non si possono richiedere nelle venue, quindi sto cercando di rendere di nuovo più compatto il set up.
A proposito di percorsi mi piace sempre chiedere come nascono le collaborazioni con etichetta ed eventualmente management: quale è stata la scintilla che ha fatto innescare il rapporto con 42 Records e DNA? E come si sviluppano questi rapporti?
Il mio primo ep l’ho fatto uscire da sola, caricandolo su distrokid, perchè avevo un’urgenza emotiva di farlo uscire. Forse anche perchè non avevo grandi aspettative, anche se pensavo ad alcune etichette che avrei voluto contattare e 42 era una di queste. Alla fine mi hanno trovato loro, con il passaparola! 42 e Dna lavorano spesso insieme ed è stato davvero come allargare una famiglia. Sono molto contenta delle persone con cui lavoro
perchè so che apprezzano davvero quello che faccio, mi danno tantissimo supporto ma anche stimoli per crescere.
6 minuti del New Bianchini Soundsystem, ripresi a Studio Miriam per Figura Session, powered 42Records e DnaConcerti
Un rapporto secondo me molto speciale tu ce l’hai anche coi tuoi synth, che in concerto ti ho visto trattare quasi come delle persone, i classici oggetti a cui “da un nome”. Che mi dici di questo aspetto e in generale della tua “attrezzatura” e dei tuoi strumenti? So tra
l’altro che hai anche un background jazz quindi magari ne hai/usi altri che non ho visto sul palco!
Non gli ho mai dato un nome ma per me sono come componenti della band, infatti spesso li ringrazio e chiedo di fargli un applauso! Sono la prima fonte di ispirazione ed ognuno di loro ha una voce unica. Ne ho anche altri in studio e sono sempre alla ricerca di nuovi…
Allargo la domanda: anche il tuo assetto live è interessante, con questi synthoni al centro e gli altri attorno. Mi racconti un po’ chi ti accompagna sul palco e come è nata la Whitemary band? Compresi la componente dei “balletti”…
Per me era importantissimo cercare di far capire cosa succede sul palco al pubblico, per farli immergere ancora di più in quel turbine di suoni. Quindi i synth li volevo centrali a vista, e le due batterie sono quasi sospese, sollevate in aria. Davide Savarese e Sergio Tentella sono due batteristi molto creativi (potete sentire il loro progetto pitch3s) e hanno creato questo set up che gli permette di suonare tutte le batterie dal vivo. Il live è molto fisico e quindi non possono mancare balletti come in un dancefloor scatenato.
Mi pare che la tua musica unisca il clubbing più estatico ad una sorta di psichedelia jazzy: una jam session da dancefloor che diventa flusso di (in)coscienza e infine – si spera – rituale collettivo. Di questo rituale collettivo cosa ti sta tornando? Mi spiego meglio: le canzoni che hai composto in studio, in solitaria, le hai sentite in qualche modo “trasformate” – anche proprio nella tua percezione – dall’interazione con gli altri?
È esattamente quello che sta succedendo live dopo live. Le mie canzoni racchiudono grande introspezione di angoli bui e oscuri. Nel momento di scrittura e registrazione non c’è un aria di festa in me. Ma sul palco tutto si trasforma e non sono io a cambiarle ma il pubblico. Il significato dei brani è sempre quello ma la risposta emotiva collettiva è completamente diversa.
Un senso di comunità che devo dire si respira anche a Bra durante Artico Festival, dove spero di cantare nuovamente le tue canzoni sottocassa! A presto!