Pubblicato da Edizioni Tlon, MAW. Una mostruosa vendetta contro il patriarcato, la prima e attesissima graphic novel dell’acclamato autore Jude Ellison Sady Doyle (firma del celeberrimo saggio Il mostruoso femminile), è una storia cruda, sanguinosa e irruenta, dove la rabbia contro il patriarcato prende – letteralmente – forma e non risparmia nessuno. Intervista a cura di Roberta Scalise.
MAW (diminutivo di Marion Angela Weber), una donna dal passato turbolento e intriso di sofferenza, è condotta dalla sorella Wendy in un ritiro femminista su un’isola remota. Marion è una donna spezzata, ironica e cinica, e Wendy confida che l’esperienza della comune possa aiutare la sorella a ritrovare la comprensione e la fiducia in se stessa. MAW, tuttavia, ha già smesso di credere nell’amore e nella giustizia, e, in una notte spaventosa, l’ennesima violenza la trasformerà in un mostro dalla fame insaziabile.
La vicenda è triste ma, purtroppo, drammaticamente verosimile, comune e condivisibile. Le tavole rendono, poi, perfettamente l’atmosfera tetra e claustrofobica delineata dalla narrazione, incutendo il giusto timore nei lettori e dando forma tangibile alla correlata ribellione che ribolle tra le righe della trama.
Non si può non reagire con disgusto e dolore, di fronte alla storia di MAW. Ed è forse proprio questo l’obiettivo: scuotere le viscere al punto da tramutarci in mostri e lottare con ancora più forza e decisione contro le leggi crudeli del patriarcato.
Ne abbiamo parlato con l’autore statunitense Jude Ellison Sady Doyle.
Quando e come è nata l’esigenza di trasporre la lotta al patriarcato sotto forma di graphic novel? E perché hai sentito la volontà di trasformarlo in una forma visiva?
Ho sempre segretamente desiderato di scrivere fumetti. Conoscevo alcune persone che li scrivevano, ai tempi del college, e io sperimentavo scrivendo sceneggiature, ma non ero un tipo di artista visivo, e la scena all’epoca sembrava molto bianca, etero, cis e maschile, in un modo che mi ha scoraggiato dal provarci. Un giorno, però, un editore di Boom! Studios, Chris Rosa, ha letto la mia newsletter sui film horror – poco prima che uscisse Il Mostruoso Femminile – e mi ha chiesto se avessi mai provato a scrivere un fumetto. Ho avuto la sensazione immediata che questo fosse ciò di cui avevo bisogno, che questo fosse il mio obiettivo nel momento attuale. Quell’estate ho scritto qualcosa come 14 sceneggiature, cercando di raggiungere un livello professionale, e Maw è stata l’ultima che ho scritto. Mi è stato “strappato via” una volta che ero pronto.
Come è iniziata la collaborazione con A.L. Kaplan? Hai avuto l’opportunità di esprimere il tuo punto di vista riguardo ai disegni?
Boom! Studios, il primo editore, aveva lavorato con A.L. Kaplan su diversi progetti precedenti, perlopiù brevi. Evidentemente, avevano notato quanto fosse brillante e volevano provarlo in una serie: sono stato onorato che abbia scelto la mia. È il protagonista di questo progetto in molti modi, e ho imparato moltissimo da lui su come mettere insieme un fumetto e su come semplici scelte di inquadratura possano raccontare una storia o sottolineare un punto. Ogni volta che non facevo una scelta visiva pienamente consapevole, mi faceva tornare indietro e riflettere su ciò che avevo scritto. È stato fantastico collaborare con lui.
«È il sistema a essere mostruoso. Il problema è la massiccia violenza inflitta a tutti noi dal sistema»
A proposito, la maggior parte delle scene sono davvero crude e spaventose, con questa eco del colore nero che ricorre costantemente: che effetto ti ha fatto vedere la tua storia su carta? Credi che certe storie, meglio di altre, debbano essere “viste”? Se è così, perché proprio questa?
Ho scritto una prima bozza che era ancora più cruenta! Ho dovuto tornare indietro e attenuare parte della violenza per renderla appetibile. Negli Stati Uniti, le persone tendono a considerare l’orrore “socialmente consapevole” come una sorta di addomesticamento, e l’orrore “tagliente” tende a essere fortemente misogino e a sfruttare immagini di sofferenza o vittimizzazione sessuale delle donne. Volevo fare qualcosa che confondesse quel binario, per creare un horror socialmente consapevole che fosse duro e brutale come qualsiasi cosa tu abbia mai visto. Uno dei modi in cui lo facciamo, come hai notato, è l’oscurità. Questa è una storia sulla vittimizzazione sessuale, sullo stupro, ma non vi mostriamo lo stupro, perché questo vi pone fuori dalla prospettiva della vittima. È incosciente quando succede, quindi vedi l’oscurità. Vedi quello che vede lei. Utilizza le immagini – o meglio la mancanza di immagini – per fare una dichiarazione forte su quale prospettiva conta, con chi dovremmo identificarci. Sono davvero orgoglioso di quella decisione. Penso che sia uno degli elementi più forti del libro.
Chi sono le “MAW” del nostro tempo? E come possono trasformarsi in “mostri” – magari senza uccidere nessuno –, senza il timore di essere piegate, messe a tacere, minacciate, o peggio? Quali sono i veri mostri della nostra epoca?
Questo è qualcosa su cui torno spesso nei miei scritti: anche i sistemi molto violenti, come il patriarcato, hanno bisogno che tu accetti la loro violenza come normale e inevitabile. Quindi è molto più facile patologizzare la persona che si fa male, che si lamenta, che protesta. I sopravvissuti che nominano i loro aggressori vengono spesso criticati nei tribunali, sulla stampa, agli occhi del pubblico. Si sono trasformati in mostri nella nostra immaginazione. Ma è il sistema a essere mostruoso. Il problema è la massiccia violenza inflitta a tutti noi dal sistema: queste singole persone, perlopiù donne, stanno semplicemente dicendo la verità su ciò che fa quel sistema.
«Voglio vivere in un costante stato di curiosità su come funziona il genere e su come questo differisce dal modo in cui ci viene DETTO che funziona»
Come possiamo trovare il coraggio di lottare, in un mondo pieno di violenza, femminicidi e abusi? In una società che sembra indifferente a tutto questo e non prende sul serio le denunce e, nella maggior parte dei casi, lascia da sole le donne e la comunità LGBT? Come possiamo trasmettere la nostra rabbia ed essere finalmente ascoltati?
Dobbiamo ascoltarci a vicenda. Il patriarcato prospera nel silenzio, nel dirti che i tuoi problemi sono “personali” e individuali. Si basa sulla vergogna, sull’idea che sei l’unica persona a provare dolore e che sei anormale o disadattato o anche solo una persona cattiva – un mostro – se ti opponi a essere trattato male. È solo quando cominciamo tutti a parlare e a sentirci a vicenda che possiamo capire: siamo normali. Siamo umani. È il patriarcato che è innaturale e disumano. Se sei arrabbiato, se sei depresso, se provi dolore, in realtà stai avendo una reazione umana perfettamente normale all’essere oppresso, e quando finalmente sei in grado di rifiutare l’idea che ci sia qualcosa di sbagliato in te, per scaricare la vergogna dove dovrebbe essere, ossia sull’oppressore, allora il vero cambiamento diventa possibile.
In conclusione, qual è la tua personale forma di ribellione e battaglia? E che cosa suggerisci di fare, in questo momento storico?
Penso che, per me, la mia ribellione sia duplice. Innanzitutto, non voglio mai accettare nulla del patriarcato o del binario di genere come “naturale”. Voglio vivere in un costante stato di curiosità su come funziona il genere e su come questo differisce dal modo in cui ci viene DETTO che funziona. Voglio continuare a dire la verità ovunque e ogni volta che posso. Per lavorare come giornalista o scrittore di saggistica, devi avere un profondo interesse per la verità, e ho ancora quella convinzione da I vestiti nuovi dell’imperatore, secondo cui il modo migliore per interrompere un’ingiustizia è darle un nome. Vivo anche più nel futuro, ora che ho una figlia. Non sto più rifacendo il mondo per me stesso: sto creando il mondo per lei, e le mie scelte contano, perché hanno un impatto sul suo futuro e su quello degli altri bambini della sua età. Essere presente come genitore e pensare a come il patriarcato e le merdose idee antiche sulla “paternità” abbiano la possibilità di danneggiare mia figlia – per assicurarsi che il danno arrecato a me e alla mia generazione non venga fatto a lei e alla sua – sembra una battaglia molto degna per me.