Quello del Thru Collected è il live italiano da non perdere quest’estate

Il tour del collettivo “Thruco” inizia il 29 giugno all’Artico Festival di Bra in Piemonte. Ci siamo innamorati del loro melting pot di cantautorato ed elettronica, folklore e futuro. Articolo a cura di Lorenzo Giannetti.

Il Thru Collected è una realtà piuttosto difficile da catalogare nel panorama italiano e allo stesso tempo una delle più riconoscibili e dirompenti emersa dal circuito underground negli ultimi anni. Un collettivo di artisti dal background differente – c’è chi canta, chi scrive, chi produce, chi si occupa delle visual e così via – accomunati da un’attitudine votata all’indipendenza e alla contaminazione. Quasi tutte provenienti da Napoli e dintorni, le tante anime che compongono il “Thruco” convergono in un progetto ispirato quanto spiazzante: una sorta di cortocircuito tra cantautorato e club culture, sensibilità emo e derive trap, folklore mediterraneo ed IDM in lo-fi.

Sono giovanissimi ma sembrano avere la potenzialità per andare ad occupare un posto di rilievo tra i concerti indimenticabili di quest’estate: il tour partirà dal Piemonte, il 29 giugno all’Artico Festival di Bra (QUI tutto il programma del festival). Li abbiamo intercettati al telefono in questo momento di stasi e contemporaneamente di grande fermento: la quiete prima delle tempesta, o meglio prima del “Grande Fulmine“, per citare il loro ultimo disco.

* * *

Dico subito in chat ad Alice e Lucky lapolo di aver visto il Thru Collected dal vivo qualche mese all’Hiroshima Mon Amour di Torino in occasione del loro primo tour nei club italiani e di essere rimasto davvero colpito dalla particolare energia di quella serata.

Monitoravo già da un po’ le le evoluzioni del collettivo, così affascinante nel suo essere sfuggente e multiforme, non omologato alle asfissianti dinamiche di produzione e promozione con cui siamo quotidianamente bombardati. Sulla scia dell’ondata hyper pop napoletana forgiata dagli Specchiopaura e dalle loro produzioni electro-punk dai contorni psichedelici, il battesimo discografico del Thru intitolato Discomoneta e poi il successivo Il Grande Fulmine sono arrivati come una boccata d’aria fresca per il Made in Italy: germogli imprevisti affiorati nel cimitero di artisti it-pop e trap già in versione revival di se stessi.

Un viaggio e un vero e proprio universo narrativo, musicale e visivo che per coordinate e intensità a me ha ricordato lo tsunami emotivo dei  Sxrrxwland o l’approccio eclettico dello Studio Murena ma alla fine somiglia solo a sé stesso. 

Forse anche per una questione anagrafica e generazionale, il progetto Thru Collected è rimasto per un tot di tempo un affare soprattutto digitale. Si tratta di un ulteriore aspetto che mi ha colpito in positivo: coerentemente con una incontenibile urgenza creativa ma anche una attenta ricerca del senso più profondo del “fare le cose insieme”, il collettivo non si è buttato immediatamente su un palco per capitalizzare la discreta fama acquisita attraverso le proprie produzioni (di gruppo o individuali) ma sta coltivando una crescita organica della propria dimensione live.

La data torinese di maggio all’Hiroshima era la seconda data in assoluto con la band, dopo la data zero di Milano qualche giorno prima!mi dicono Lucky e Alice.
Il locale non era sold out e il gruppo stava ancora prendendo le misure al nuovo vestito da far indossare alle canzoni, tuttavia si respiravano un’atmosfera ed una emozione particolare. Abbiamo avuto tutti la sensazione di aver intercettato quel momento unico in cui una genuina urgenza artistica si stava trasformando in qualcosa di più senza perdere un briciolo della sua essenza originaria.

In questo senso, un paio di mesi di pratica e brainstorming possono fare la differenza: cosa è cambiato da quel momento ad oggi, alle porte del tour estivo?

Alice e Lucky: “Indubbiamente a Hiroshima eravamo molto emozionati. Sai, primo tour con la band… Detto ciò noi pensiamo sempre in primo luogo a divertirci e a trasmettere le nostre emozioni in maniera spontanea. A livello tecnico non è cambiato l’approccio che punta ad un ibrido elettro-acustico, due anime che ci appartengono e ci piace mescolare. Stiamo affinando questo mix: ora c’è più preparazione e dimestichezza. Allo stesso tempo ci piace anche un po’ improvvisare e seguire il flusso: amiamo l’idea che ad ogni concerto cambi sempre qualcosa, come in una sorta di jam session in famiglia!“.

A proposito di famiglia, ora siete entrati a far parte di quella di Bomba Dischi, che ha in roster tanti artisti pop fuori dagli schemi tipo Colombre o Generic Animal. Per indole siete sempre stati legati ad un approccio DIY, ricordo il vostro primo disco “assemblato” in maniera molto artigianale! Come è avvenuto e come sta andando questo incontro e passaggio con una etichetta vera e propria:

Lucky: “Con Bomba Dischi non ci si sente parte di una industria ma davvero parte di una famiglia. Si creano dei rapporti veri con le persone e tra noi c’è feeling. In tal senso, anche a livello pratico non è che cambi moltissimo rispetto al passato, per lo meno dal nostro punto di vista. Chiaramente poi però ci accorgiamo di quanto attorno a noi accadano più cose e sia tutto più strutturato. Non ci ricordiamo esattamente come ci siamo conosciuti con la crew ma insomma per fortuna che ci siamo trovati!“.

E voi riuscite ancora a trovarmi insieme lontano dal palco? Ricordo del vostro “quartier generale” nel quartiere del Vomero a Napoli: il Buco-Studio.

Alice e Lucky: “Ci vediamo un po’ meno per situazioni extra-Thruco ma è anche normale in questa situazione di “stallo” diciamo. Per quanto riguarda il Buco-Studio tocchi un tasto dolente perché purtroppo – è cronaca locale di qualche mese fa – al Vomero si è aperta una voragine in strada e ha inghiottito alcune costruzioni, danneggiando anche il nostro ex quartier generale come dici tu, che poi era una seconda casa, una sorta di nostro squat. Ora siamo apolidi, per il futuro chissà”. 

Ho subito recuperato le immagini della tragedia: allucinante, spiace davvero tanto. Per stemperare, allora, ci dite che ci sono degli altri “posti del cuore” dove storicamente vi siete spesso ritrovati? Mi piace sempre molto indagare anche questo aspetto “geografico-urbanistico” di chi fa arte.

Alice: “Si potrebbero citare vari luoghi importanti per la nostra formazione, me ne viene in mente subito uno: il Perditempo. Un bar storico di Napoli, zona centrale, dove trovi anche la consolle per metter su un po’ di musica e spesso sono venuti fuori dj-set improvvisati, anche da gente del Thruco. Inoltre è pure una mezza libreria e negli Anni 90 ci trovavi anche artisti del giro underground napoletano”.

Continuiamo con questa cosa della mappa dei posti del cuore: oltre alla città e al centro, che rapporto avete con la periferia e la provincia? Mi è venuto in mente perché Artico è un festival di provincia, direi orgogliosamente di provincia.

Su tutta questa questione dei posti del cuore effettivamente c’è da fare una premessa: noi tutti veniamo da vari quartieri diversi di una città grandissima. Sicuramente Napoli Centro è stato un punto di riferimento e ritrovo. Ma anche a livello di provenienza e background sono davvero tante le storie che si intrecciano nel Thruco. Ad esempio, alla dimensione di provincia a cui fai riferimento sono legati soprattutto gli Specchiopaura, nostri producer: loro vengono da fuori Napoli. Sicuramente poi c’è un posto della provincia a cui ci siamo tutti affezionati ed è Fuorigrotta perché ci abbiamo registrato il primo disco! Mentre il secondo disco ha visto la luce a Vanvitelli“. 

Situazioni diverse ma affini: torniamo sempre al discorso sulla contaminazione e sul non dare punti di riferimento pur mantenendo una identità precisa. Aggiungerei non per forza sempre e solo napoletana.

“Infatti a questo punto aggiungerei una location extra, ovvero Ostuni: la città bianca in Puglia è stata importante nel nostro percorso di crescita artistica. Abbiamo fatto un viaggio in quella zona e ci è rimasto nel cuore. Tra l’altro un pezzo di Thru Collected è pugliese: Altea è salentina!“.

Una domanda un po’ marzulliana, quindi svarioni consentiti e anzi ben accetti: molto spesso quella del Thru Collected viene definita “musica del futuro” o “futuro della musica”. Mi piacerebbe approfondire con voi questo concetto, qualunque cosa voglia dire.

Alice: “Eh, in effetti è una definizione che mi è capitato di leggere qua e là in articoli e recensioni. Ci fa piacere ovviamente ma è anche una “bomba” difficile da gestire“.
Lucky: “Come si può intuire dalla nostra chiacchierata la nostra volontà è quella di mescolare tradizione locale e spinta innovativa, ma onestamente non sappiamo commentare fino in fondo questa cosa del futuro. La musica ha una parabola difficile da decifrare: parte da una nicchia che poi si allarga in modi davvero imprevedibili“.
Alice: “Ci tengo a dire una cosa, allargando un po’ il discorso. Non so se noi siamo la musica del futuro ma so come vorrei che fosse la musica nel futuro. Vorrei che tornasse ad essere, o comunque fosse sempre di più, qualcosa che riesca a smuovere gli animi. Qualcosa che aiuti a prendersi cura delle proprie emozioni. In effetti ci capita che le persone vengano dai noi e ci dicano che le nostre canzoni hanno toccato delle corde interiori particolari per poi spingerle all’azione. Personalmente questo è quello che vorrei nel futuro della musica. E ovviamente nel futuro del Thruco“.

Quella del Thruco è una musica fresca senza l’ansia dell’hype, involontariamente pop, cantautorale senza nostalgia.

Il collettivo ha al proprio arco dardi infuocati come “A Danz Ro Ragn”, una specie di taranta in versione Hyperdub, che dal vivo promette davvero scintille quasi a volersi ritagliare il ruolo di “Ballo di San Vito” per una Gen Z in fissa con PC Music. Innumerevoli poi i gioielli esistenzialisti come “Piccolo atto di sensibilizzazione al libero pensiero” o “Sembri quasi me”, sospesi tra sogno e realtà, songwriting e dancefloor, speranza e tragedia, candore e cazzimma.

E se si trovasse da queste parti il Microchip Emozionale che i Subsonica non sono riusciti a bissare? Non mi stupirei. Intanto è interessante provare a decifrare l’alchimia di questo incontro in ascensore tra Liberato, Burial e Donnie Darko: del resto Alice me lo aveva detto a metà intervista sorridendo “Siamo gente strana”. Sì, ed è un complimento.