Che cosa significa aver vissuto la propria giovinezza in un piccolo centro della sterminata provincia americana negli anni Duemila? Tra elegia e storia, tra suggestioni mystery e vividi spaccati di desolazione postindustriale, Stephen Markley realizza un romanzo politico senza sconti, attraversato da tutti quei conflitti che hanno segnato il Paese negli ultimi vent’anni.
_di Alberto Vigolungo
La memoria è la possente pietra d’angolo della narrativa di Stephen Markley. Il suo Ohio, dolente affresco di destini smarriti nelle conseguenze di un’adolescenza trascorsa insieme, è uno di quei libri a metà tra documento generazionale e riflessione storica che forse soltanto gli americani hanno saputo elaborare in termini compiuti. Di qui, l’investitura di “grande romanzo americano” per un’opera che, all’uscita in patria, aveva rappresentato in effetti uno dei casi letterari dell’anno, e che Einaudi ha puntualmente intercettato e portato in Italia. Ma al di là delle attribuzioni più o meno celebrative, Ohio possiede davvero una sua forza, crescente, magnetica. Sfogliare le sue pagine è un po’ come entrare in un mondo traboccante di sogni e illusioni, così come di azioni che paiono svolgersi davanti a noi, passanti su una strada poco battuta. Un libro che sa catturare, facendo seguire al lettore direttrici narrative che si allontanano e si avvicinano clamorosamente, si sfiorano e si scontrano. Ci riesce sfruttando anche i meccanismi del gioco, rendendoci partecipi di un’assennata ricerca che è la ricerca di quattro personaggi ritornati nella loro cittadina, New Canaan, per motivi diversi. In qualche modo incroceranno tutti le loro traiettorie, in una calda notte estiva del 2013.
Ohio è stato letto da molti come il grande romanzo dell’era Trump, ma il suo respiro è ben più ampio, innanzitutto dal punto di vista dell’ambientazione storica: è l’America appena uscita dal “suo” secolo, improvvisamente smarrita nella polvere grigio-bianca che aleggia su Manhattan l’11 settembre 2001; l’America che si trascina nelle lunghe guerre del Medio Oriente, non più capace di una visione strategica che aveva contraddistinto le sue campagne militari precedenti (vittoriose e non); l’America imbrigliata nei risvolti della globalizzazione e colpita dal fallimento di Lehman Brothers, fattore scatenante di una delle crisi più devastanti del capitalismo contemporaneo, che aggredisce soprattutto i distretti industrializzati sui quali per decenni il Paese ha costruito il proprio benessere. L’Ohio uscito da questo decennio appare agli occhi di Bill Ashcraft come una carcassa “spolpata” da speculatori senza scrupoli, che raschiano il fondo di risparmi familiari in uno scenario di liberismo fuori controllo:
L’Ohio non aveva vissuto lo stesso boom immobiliare della Sun Belt, ma gli avvoltoi avevano girato intorno alle carcasse delle città industriali moribonde – Dayton, Toledo, Mansfield, Youngstown, Akron – vendendo prestiti vitalizi ipotecari e rifinanziamenti. Tutta immondizia che era scoppiata in faccia alle persone esattamente come i mutui subprime. Un’armata di ciarlatani arricchiti batteva lo Stato, spaziando dai quartieri delle minoranze […] alle enclave bianche operaie e le semiperiferie.

L’oscurità che caratterizza il paesaggio del romanzo è dunque accentuata dalla vastità di una “notte” economica e sociale che non sembra passare mai, definendo un contesto plasmato da quelle che l’autore definisce senza mezzi termini come “conseguenze che decisioni catastrofiche, sia economiche sia politiche, hanno avuto sulla gente comune”. L’atmosfera generale del libro risente profondamente di questa ferita, e si fonda sulla dialettica di due paesaggi: da un lato le fabbriche abbandonate a due passi dai centri abitati, scheletri di un’epoca ben definita, dall’altro la natura rigogliosa dei luoghi, da cui scaturisce un senso di eternità.
Cresciuti in una comunità periferica, molti personaggi di Ohio intrecciano un rapporto peculiare con la Storia, le sue battaglie, il suo divenire. Nel loro ingenuo idealismo, nella loro critica feroce, nella rivendicazione della propria identità. Finanche a pagare con la vita il prezzo delle proprie aspirazioni. È proprio questo aspetto a conferire all’opera un’aura grandiosa, “magnetica” nel termine che si è preferito introdurre. Il vento della Storia spira prepotentemente nelle questioni politiche che dividono il Paese nel nuovo millennio, che si trasmettono da presidente a presidente (da George W. Bush a Barack Obama, in un periodo di rapidi cambiamenti interni alla società statunitense), nelle vicissitudini che scuotono un’intera generazione, segnando destini in maniera indelebile. Tra queste, indubbiamente, la causa bellica, che stravolge le vite di tanti giovani americani vissuti in quel periodo come forse non accadeva dai tempi del Vietnam. Dan Eaton, appassionato cultore di storia, buono e idealista, è uno di loro. Così come uno di loro è Rick Brinklan, prototipo dello yankee spontaneo e un po’ sboccato a partire dal quale, in occasione della commemorazione pubblica in suo onore, si dipanano le trame oscure del romanzo.
All’ispirata definizione di un contesto storico, sociale e politico corrisponde perfettamente quella dei personaggi, elementi di un puzzle generazionale sconvolto. Ohio è carico di slanci e battaglie intime, che si stagliano con il lirismo tipico della grande tradizione confessionale della letteratura e della musica di quel Paese (l’accorato Father John Misty di Pure Comedy suonerebbe benissimo in sottofondo ad alcune scene dell’opera di Markley). L’anima di Ohio si trova insomma in bilico tra queste due dimensioni, tra senso della storia e il “presente” di umanità spezzate: un po’ Underworld in scala ridotta (per volume e densità, oltre che per respiro temporale) ma anche, in un certo senso, un’Antologia di Spoon River in prosa, per i suoi mirabili ritratti di “persone” in lotta con il mondo e i propri demoni.
[…] il concetto di linearità non esiste. Esiste solo questo sogno collettivo scatenato, incasinato, incendiario in cui nasciamo, viaggiamo e moriamo tutti.
In questo passaggio del “Preludio”, che emerge dal testo con la forza di un’epigrafe, si dischiude la concezione del tempo che governa il romanzo, la fervente filosofia di una delle sue protagoniste, la sua stessa definizione. Le quattro macro-storie che lo compongono hanno per protagonisti ragazzi sui trent’anni che hanno condiviso scuole e frequentazioni in un piccolo centro dell’Ohio nord-occidentale, prima di allontanarsene per inseguire sogni e vocazioni, o per dimenticare. Quella sera del 2013 Bill Ashcraft, ventottenne “bruciato” dai fervori ideologici che hanno accompagnato tutta la sua giovinezza, si trova a New Canaan per fare una misteriosa consegna a Kaylyn, la ragazza che ha sempre esercitato su di lui un fascino oscuro; Stacey Moore, insegnante che ha trovato la sua strada viaggiando in tutto il mondo, per incontrare la madre di colei che è stata la sua compagna e “maestra di vita”, scomparsa anni prima, e per accettare la sua richiesta d’aiuto; Dan Eaton, reduce e invalido di guerra trasferitosi in Pennsylvania al suo ritorno negli USA, per rivedere Hailey, il grande amore della sua vita e custode di terribili segreti; Tina Ross, ex reginetta di bellezza del liceo locale abusata dal ragazzo con cui sognava di formare la coppia perfetta, per mettere in atto la sua vendetta, dopo essere uscita dal tunnel dei disturbi alimentari e aver tentato il suicidio. New Canaan rappresenta il violento ritorno ad un passato che si era cercato di dimenticare, una ferita in cui si annidano gioie e rimpianti, un trauma dopo il quale nessuno è più rimasto lo stesso. Una pozza riflessa di desideri, propositi, amici che non ci sono più.
Bill era steso al sole vicino alla sua ragazza, languidamente, perdutamente ubriaco. Di solito in quei giorni sprofondava nella colpa, nel desiderio e nel disgusto di sé […] Ma non quel giorno al Jericho Lake. A sua memoria, fu l’ultima volta in cui erano stati giovani e basta, i litigi non duravano, i peccati erano scevri di qualsiasi forma di cattiveria. Aveva delle amanti, sì, ma molto amate. Faceva del male agli amici, come no, ma erano ancora fratelli d’infanzia. Con tutto quello che era accaduto fra lui e Rick, l’amicizia sembrava sempre a rischio nelle sue mani, come esplosivo instabile. Eppure anche nei confronti di Kaylyn, che adesso era lì in acqua, stupenda e iridescente come una libellula, ebbe un empito di amore e di rimpianto mai provato prima. Perché erano solo dei ragazzi, e quel giorno bevvero, ballarono e risero guardando il cielo azzurro, e fu come se davvero si potesse aggiustare e perdonare qualunque cosa.
Questo vasto universo evocativo emerge come un contrappunto della narrazione, conferendole ritmo oltre che una struttura fondata sull’intrecciarsi di due diversi piani temporali: le peregrinazioni, gli incontri, le constatazioni del presente si combinano così a suggestivi flashback che aggiungono di volta in volta nuovi tasselli dell’identità dei personaggi. La riuscita dell’intreccio è poi assicurata dagli incroci ad effetto che riportano la narrazione sulla strada di campagna dove Tina Ross vede svanire il proprio “sogno” di rinascita. I finali delle quattro parti convergono su questo luogo, secondo una strategia narrativa tanto implacabile quanto affascinante.
Preludio e coda completano perfettamente l’enigma fornendo, almeno al lettore, tutti gli elementi che chiudono il cerchio. Se il primo svolge essenzialmente una funzione descrittiva, introducendo le caratteristiche di una comunità raccolta intorno al ricordo di un concittadino caduto in Iraq, quel Rick Brinklan con cui Bill aveva condiviso gioie ma anche accesi scontri, la seconda fa luce sugli ultimi misteri del racconto: il contenuto del pacco recapitato da Bill a Kaylyn, e soprattutto la scomparsa di Lisa Han, figura di riferimento assoluta nell’adolescenza di Stacey, nonché “corpo” con cui quest’ultima ha scoperto la propria sessualità. Una verità che la ragazza arriverà solo ad intuire, nonostante anni di intense ricerche. Per questi due protagonisti, Rick e Lisa rimangono fantasmi inafferrabili, portatori di misteri che il tempo ha ormai fagocitato.
Ma un altro elemento domina la narrazione, un’atmosfera onnipresente che permea ogni azione, dialogo, sensazione: la notte, molto più di una “cornice”, una presenza che corre accanto alle traiettorie dei personaggi (e che non a caso compare nel titolo di ben due storie). A questo elemento centrale nell’atmosfera del romanzo può essere attribuita una doppia valenza: tòpos del mystery certo, ma anche luogo in cui tutto è rimesso violentemente in discussione, e che si trasforma addirittura, nella storia di Tina Ross, nel teatro di una resa dei conti con il proprio destino. Questa notte rappresenta l’inevitabile punto di incontro-scontro di parabole venute da lontano, l’invincibilità del caso, ma anche l’irriducibilità dei conflitti umani. Al termine della quale ci si rende conto, ancora una volta, di come non si possa essere senza la memoria di ciò che si è stati, senza il ricordo di ciò che si è vissuto, provato, pianto:
Disse addio ad Hailey nel vialetto e fu l’ultima volta che la vide. Appena lei si staccò, Dan capì di avere, in fondo allo sguardo, una specie di televisore lasciato acceso giorno e notte. Lui vedeva attraverso gli occhi degli altri: come se fosse sua madre, vide sé stesso diventare un uomo. Con gli occhi di Hailey, vide il suo antico, disperato desiderio. Con quelli di Rudy guardò i fiocchi di neve a Korengal e poi la sua pelle che friggeva sull’osso. Guardò il cielo del deserto fra la polvere, il sangue, le lacrime e il vomito di Greg Coyle, e vide sua figlia nelle tenebre che scendevano. Fissò nel vento rapinoso e paradisiaco, scagliato in avanti anche se poteva solo guardare indietro, in quell’unica direzione fissa, pisciando lacrime a causa di tutti i detriti che svanivano.
Così, la notte di Ohio risveglia conflittualità con sé stessi e con il mondo, rivalità più o meno innocue, rimpianti, antichi sentimenti, permettendo a ciascuno dei personaggi di riflettere sulla propria storia (per tornare a Father John Misty, Things It Would Have Been Helpful to Know Before the Revolution potrebbe quasi essere una sintesi della parabola di Bill Ashcraft). Ma alla fine, anche questa lunga, folle notte, vissuta tra una rissa in un bar scialbo e una conversazione sui gradini di una veranda nel silenzio del vicinato, è soltanto un altro residuo nella sabbia del tempo. Come l’acqua che scorre nel fiume Cattawa.
L’impossibilità di rimarginare ferite antiche si manifesta come una certa idea di progresso, non proprio vicina a quella che ha governato per secoli i processi economici e politici delle società avanzate:
L’inevitabilità del progresso è solo una fantasia disperata. Il progresso, ammoniva l’autore, è effimero. L’idea di progresso sta nel “debole potere messianico” di ciascuna generazione successiva. Ciascuna si considera la conclusione della storia: tutti quelli venuti prima erano destinati a vivere e morire per darle modo di trionfare […]
Su queste considerazioni si innesta la visione del Tempo Profondo concepita da Stacey Moore, che trova una sua elaborazione artistica nell’Angelus novus di Paul Klee, e che discende, a ben vedere, dalla rappresentazione nietzschiana del tempo: il progresso, agli occhi del contemporaneo, non è che la condanna della ripetizione, la visione infinitamente replicata della catastrofe.
Se l’intero romanzo si basa su una fitta rete di asimmetrie caratteriali ed emotive, tra gli “scontri” più intriganti risulta senz’altro quello tra Bill Ashcraft e Stacey Moore, avvenuto in un anonimo bar di Chicago quattro anni dopo la notte di New Canaan. La ragazza, che ha indagato sino a quel momento sulla scomparsa di Lisa Han, cerca di ottenere informazioni dal vecchio amico, infrangendosi contro un muro di impotenza e rassegnazione. Segnati da parabole differenti – lui intrappolato nei propri fallimenti e rimorsi, lei libera dalle paure e dalle insicurezze che hanno attanagliato la sua giovinezza – questi due protagonisti confermano l’inconciliabilità dei loro intenti.
Tutti i personaggi di Ohio sono comunque giovani-adulti alla ricerca di risposte in un mondo in rovina, smarrito nelle incontrollate derive causate del predominio del mondo del business sui diritti dei cittadini, ormai permeato in profondità da narrazioni del complotto che hanno costituito il collante del consenso trumpiano. In questo senso, Ohio è un romanzo intrinsecamente, fortemente politico, fin dalle premesse, tracciate con la precisione di un reportage giornalistico. Il viaggio di Stephen Markley nella notte americana è anche il racconto di rabbie latenti, vite spezzate, terribili visioni “di campi ardenti di fiamme che si sollevano fino al cielo”. Là dove brucia – e brucerà ancora, secondo l’autore – il fuoco del trumpismo, l’ebbrezza di una cieca promessa di rivalsa.