Onward: come ti evoco il papà

Il nuovo film di Disney Pixar non è soltanto un capolavoro di animazione ma anche, e soprattutto, la bellissima storia di due fratelli e una madre immersi in un lussureggiante mondo fantasy. A cura di Mattia Nesto. 

La parola ritmo è una delle più belle in ogni lingua del mondo. Tuttavia, a questo giro, vogliamo usarne un’altra, forse meno musicale ma più aderente, ovvero pacing. Infatti la cosa che più impressiona dopo i primi dieci minuti di Onward, il nuovo film di Disney Pixar originariamente previsto per lo scorso marzo ma uscito solo adesso nei cinema nostrani, è proprio il pacing, ovvero i tempi della narrazione. Tempi che sono rapidi, scattanti e freschissimi, regalandoci praticamente tutti gli elementi fondamentali e per capire/comprendere i diversi (se non opposti) caratteri dei fratelli Ian e Barley Lightfoot, due elfi adolescenti che vivono assieme alla madre Laurel nella città di New Mushroomton.

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Ma dicevamo appunto del pacing che fornisce tutti gli ingredienti della storia già nei primi dieci minuti. Questo non è soltanto vero, visto che proprio all’inizio veniamo a sapere come Ian sia orfano di padre da tenerissima età ma anche, e soprattutto, di come il suo mondo sia sì un mondo fantasy e, in senso lato, magico ma dove, giustappunto, la magia è stata quasi completamente dimenticata. Infatti in una suggestiva sequenza iniziale, in maniera del tutto “logica” e razionale, veniamo a conoscenza di come alla magia, ormai da secoli, nel mondo di Ian si sia preferita la tecnologia e il progresso: all’arduo incantamento per sprizzare elettricità dal proprio bastone magico, insomma, si è preferito il semplice click dell’interruttore per l’elettricità.

In questo mondo molto simile al nostro, dove gli unicorni rovistano nella spazzatura, Ian deve fare i conti con un carattere chiuso e introverso. Egli è un ragazzo dall’animo buono e generoso ma che, ahinoi, forse a causa della mancanza di una figura paterna, non è in grado di aprirsi con gli altri ed “incappa”, spesso e volentieri, in attacchi di panico e paure ingiustificate come, ad esempio, quella nei confronti della guida. Eppure Ian, a conti fatti, non cresce in un contesto sociale disagiato, anzi. Sua madre Laurel, che intanto “si è rifatta una vita” assieme al poliziotto-centauro Bronco, gli vuole bene e lo riempie di affetto e amore e il suo fratellone Barley, iper-appassionato di “storia antica” (ovvero di giochi di ruolo fantasy, visto che nel mondo di Onward la storia antica è fatta di maghi, guerrieri e elfi) lo coinvolge nelle sue strampalate imprese.

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Eppure Ian si sente una persona a metà: come dicevamo non riesce a esprimere i propri sentimenti ed è perennemente bloccato con gli altri. Non riesce neppure a invitare un gruppo di compagni di scuola alla festa per il suo sedicesimo compleanno. Eppure, proprio quel giorno, sarà l’inizio di tutto. Sua madre, infatti, come regalo di compleanno gli farà un regalo inaspettato, proveniente, direttamente da suo padre: ovvero il bastone magico paterno, una gemma fenice e le istruzioni per compiere un incantesimo di visita, cioè per ventiquattrore si avrà modo di passare una giornata con lo stesso padre.

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Le cose, ovviamente, non andranno per il verso giusto ma, dopo aver assistito nei primi dieci minuti a tutte queste cose, ecco che il film si apre e, con un guizzo che ricorda molto da vicino il bellissimo Toy Story 4 (non a caso molti della produzione sono gli stessi), diventa una sorta di “quest da gioco di ruolo”. Pur mantenendo tutti gli elementi dei film Disney Pixar, ovvero una bontà di fondo, la cosa che sorprende in Onward è la capacità di reinventare l’immaginario del fantasy mainstream, ovvero appunto unicorni, stregonerie, fatine e creature di vario genere, in un linguaggio non solo diegetico alla narrazione ma anche alla stessa tipologia di cinema.

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Ci saranno combattimenti e ricerche di preziosi manufatti, esplorazioni di pericolosi dungeon e risoluzione di intricati enigmi, eppure, mai neppure per un secondo, ci dimenticheremo di essere all’interno di un film Disney Pixar. E questo è un bene perché le notevolissime vampate di emozioni che scaldano il cuore si inseriscono a meraviglia con la narrazione generale. E una cosa che abbiamo particolarmente apprezzato, pur non volendo rovinare la sorpresa, è che ogni informazione, caratteristica e elemento presentato in quei famosi dieci minuti iniziali, anche i più insignificanti, non solo non vengono “dimenticati” nel prosieguo del film ma anzi diventeranno architravi imprescindibili per lo svolgimento della trama (se non proprio “mosse risolutive” in certi casi).

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Insomma Onward è, pur mantenendo la classicità di un film Disney Pixar, è un chiaro segnale di innovazione per gli studios. Innovazione condotta con un art-design bellissimo, che ci consegna personaggi anche imperfetti fisicamente (magari in sovrappeso, con barbette incolte e nasi troppo sporgenti) ma che, pur parlando di elfi e maghi, ci dona una caldissima ondata di umanità e sentimenti positivi.

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Non ci sono storie d’amore tra “una bella e un bello” ma l’azione ruota tra due fratelli alla ricerca del padre perduto. Esatto, se vi viene naturale esclamare “Fratello, dove sei?”, in fondo, non siete poi tanto fuori strada. E se avete perduto la via non preoccupatevi: sicuramente potrete lanciare un incantesimo “guida” per ritrovare la strada di casa.