La bailaora Rocío Molina arriva al Teatro Verdi di Padova a sconvolgere ogni aspettativa, a rompere tutti i canoni del flamenco tradizionale, a trascinarci con lei nella sua Caída del cielo. In caduta libera verso le pulsioni, i desideri taciuti e i territori inesplorati, Rocío celebra la donna in tutte le sue sfumature, regalandole la libertà di essere tutto ciò che vuole. E noi cadiamo con lei.
_di Valentina Matilde De Carlo
“En celebración de la mujer que soy / y del alma de la mujer que soy / y de la criatura central y su deleite / canto para ti. Me atrevo a vivir.” (En celebración de mi útero, Anne Sexton)
Silenzio. Immobilità. Respiro.
E subito Rocío Molina ci prende per mano, ci porta sul ciglio del precipizio e un attimo dopo stiamo già precipitando con lei nella sua Caída del cielo. Una caduta lenta, veloce, dolorosa, ridente, seducente e spietata, ma soprattutto, i-ne-vi-ta-bi-le.
Fin dalla sua entrata in scena, Rocío ci spoglia di qualunque aspettativa scaraventandoci in un assordante e destabilizzante silenzio, intervallato soltanto dal suo respiro e dal fruscio della sua bianchissima bata de cola, la gonna con il lungo strascico tipica del flamenco, che rotea sul suolo e nell’aria. Un inno alla purezza e alla nascita, un’onda di candore in cui lei serpeggia come una sirena, scalza e silenziosa, prendendo subito le distanze dall’idea comune che associa il flamenco al “rumore” assordante dei piedi, alle voci che si innalzano lamentose, ai suoni vibranti delle chitarre. Ora donna, ora fiera, ora nuvola, ora utero, la caduta del cielo di Rocío comincia dal basso, da quella dimensione orizzontale quasi sempre assente nel flamenco, dalla viscere della terra, madre e matrigna…
Inizia così, come non te lo aspetti, la sua danza libera e selvaggia, con una nascita immacolata che porta con sé le tracce di tutti gli opposti, che è inizio di un tortuoso percorso alla scoperta del mondo, del corpo, della propria identità, che non è mai univoca, mai definita, ma che è fatta di frammenti diversissimi tra loro, che però sanno comporre insieme un mosaico inimitabile. Dalla luce alle tenebre, dal bianco al colore, Rocío ci porta a scoprire la dualità femminile, che è fatta anche di maschile, indossando pantaloni e ginocchiere e rivendicando il diritto alla corporeità e alla sessualità con ironiche provocazioni, esaltate da un virtuosismo tecnico fuori dal comune che la porta ad esplorare tutte le simmetrie e gli equilibri possibili.
Alla luce della luna che muta, anche Rocío si evolve nella sua danza tra cielo e inferno, attraversando tutti gli stadi del dolore ed immergendosi totalmente in esso nel passaggio forse più drammatico della sua danza, dove un telo di plastica intinto di pittura color vinaccia, sostituisce la bata immacolata con cui ha iniziato il suo cammino, ora sporca delle sofferenze e degli errori della vita, rivelando quei lati oscuri che la nascita porta inevitabilmente con sé. Qui il cante hondo tipico del flamenco ci imprigiona nella sua malinconia e ci fa vivere le cadute che Rocío compie nel suo baile, mettendoci squassando, con la sua potenza, pensieri ed emozioni.
Ma la vita ricomincia sempre e ad ogni caduta segue una risalita che, per quanto estenuante e complicata, ci riporterà ancora una volta fuori a riveder le stelle e a ballare sfrenatamente tra fiori profumati e uva dolciastra, come fa Rocío come una perfetta baccante, lanciando lontano ogni paura, ogni inquietudine o cupo pensiero, per trarre forza ed energia da quel ballo antico e popolare che è il flamenco, di cui lei, enfant prodige della danza, si nutre fin da quando aveva tre anni.
Un flamenco contemporaneo il suo, costruito sulle tradizioni, ma proiettato verso le avanguardie, in cui Rocío, coreografa e artista, esplora tutte le forme di espressione, mescolando stili, culture, idee, ma non restando imbrigliata in nessuna di esse, continuamente libera di esprimersi attraverso qualunque elemento possa dare concretezza al suo estro esigente.
Protagonista assoluta si fa accompagnare dai suoi compañeros, quattro formidabili musicisti che assecondano giocosamente ogni suo capriccio ritmico, Eduardo Trassierra (chitarra), Kiko Peña (voce e basso elettrico), José Manuel Ramos “Oruco” (percussioni e beat), Pablo Martín Jones (batteria, percussioni e musica elettronica), rompendo i canoni tradizionali del flamenco anche con l’utilizzo di musiche provenienti da altri mondi, come il rock e l’elettronica, e dimostrando come l’accostamento di generi diversi non solo possa dare vita a creazioni eccezionali, ma possa essere necessario per esprimere quel complicato intreccio di emozioni che abitano gli animi e che non possono essere recintate in un unico stile.
Caída del cielo è una creatura in evoluzione, elegante e altera, sinuosa e sensuale, ma anche volutamente sgarbata e disarmonica, spietata e rabbiosa, che ci fa attraversare territori selvaggi fatti di rumori inquietanti, suoni ambivalenti, dove dominano talvolta la materia talvolta l’etereo, che ci tocca e ci colpisce, ci stupisce e ci angoscia, ma senza mai lasciarci indifferenti. Rocío ci dona la sua grinta, la sua forza e il suo sguardo inquieto, lasciandoci un groviglio di emozioni che sarà nostro compito dispiegare, ognuno nella propria solitudine, alla luce della luna, nella consapevolezza di poter tracciare il proprio personale disegno come uomini e donne liberi di bailar y vivir, siempre. E allora, gracias Rocío.