In Pornotopia. Playboy: architettura e sessualità, edito da Fandango Libri, il filosofo Paul B. Preciado conduce il lettore alla scoperta della psicologia della rivista per adulti più famosa al mondo, tra conigliette, nuovi spazi abitativi e dicotomie di senso.
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_di Roberta Scalise
«Playboy era riuscito a inventare quella che Hugh Hefner chiamava “una Disneyland per adulti”. Lo stesso Hefner era un architetto-pop di questa folie erotica multimediale. […] Trasformare l’uomo eterosessuale americano in playboy presupponeva l’invenzione di un topos erotico alternativo alla casa familiare suburbana, spazio eterosessuale dominante proposto dalla cultura nordamericana del dopoguerra.»
Nel novembre del 1953, l’editore statunitense Hugh Hefner diede avvio a una rivoluzione concettuale che tramutò, in modo tellurico, i paradigmi e gli stereotipi domestici e sessuali del “maschio eterosessuale”: una rivista denominata Playboy. Tale sovvertimento di idee, concezioni e spazi, infatti, non interessò meramente il comparto erotico dell’immaginario comune, ma anche le abitudini e i comportamenti socialmente imposti e generalmente attesi da parte dell’uomo moderno.
Ma quale fu la genesi di tale mutamento profondo? E quali le sue conseguenze? Ne scandaglia origini e significati Pornotopia. Playboy: architettura e sessualità, il volume redatto dall’architetto e filosofo spagnolo Paul B. Preciado ed edito, agli esordi del 2020, dai tipi di Fandango Libri. Al suo interno, la parabola di un impero, fautore di una «utopia sessuale, postdomestica e urbana» declinata non solo in carta, copertine patinate e fotografie, ma anche in club, alberghi, dimore sontuose, programmi televisivi, internet, merchandising e prodotti audiovisivi.
L’intuizione “geniale” di Hefner fu, appunto, quella di creare un contenitore editoriale in cui far dialogare articoli tematici, reportage e testi di approfondimento – circa arte, design, letteratura, moda maschile e simili – con fotografie di nudi a colori racchiuse in un pieghevole di quattro pagine al centro della pubblicazione. A inaugurare queste ultime, nel primo numero del 1953, la diva Marilyn Monroe, ritratta da uno scatto di Tom Kelley e meritevole della vendita inaspettata di 54.000 copie.
«La distribuzione della fotografia a colori della Monroe nuda per tutto il Nordamerica – spiega, a questo proposito, Preciado – fu un fenomeno di massa senza precedenti. Hefner aveva inventato la pornografia moderna: non perché aveva usato la fotografia di un nudo umano […], ma per aver impiegato il design e il colore e per aver trasformato l’immagine in un pieghevole che faceva della rivista uno strumento portatile di “appoggio strategico” – per usare l’espressione dell’esercito americano – per la masturbazione maschile». A essere pornografica, dunque, non è l’immagine in sé, bensì la nuova entità di cui è rivestita, caratterizzata dall’irruzione del privato – fatto di gesti quotidiani, intimi e naïf – in una piattaforma pubblica – la rivista – e dalla sua conseguente strumentalizzazione a fini autoerotici.
Ma questa non è stata l’unica innovazione introdotta da Playboy: ancora più rivoluzionaria è, infatti, l’insolita immagine di “uomo da interno” promossa da Hefner mediante il suo stesso stile di vita. Rendendo pigiama, vestaglia e pantofole la propria divisa, l’editore coadiuva il “maschio” nel suo lento processo di liberazione sessuale, consentendogli di affrancarsi da stereotipi e dogmi sociali attraverso una risistemazione degli spazi domestici.
Decostruendo la rassicurante ripartizione ambientale generata dalla Seconda Guerra Mondiale e assoggettata ai connubi tra interno-donna ed esterno-uomo, perciò, Hefner tratteggia i contorni di una nuova figura: quella dell’uomo eterosessuale scapolo, o divorziato, che si discosta dal nido familiare suburbano al fine di creare il suo “rifugio in città”. Il cui emblema è, senza dubbio, l’attico urbano, contraddistinto da ambienti ampi, aperti e scevri di limitazioni espressive, nel quale il maschio può godere delle molteplici declinazioni della sua libertà riappropriandosi, al contempo, dello spazio domestico, di cui cura dettagli e arredo.
Uno spazio in cui, dunque, il “coniglio di bell’aspetto, giocherellone e sexy che indossa lo smoking” – ossia il simbolo dell’universo Playboy creato da Art Paul nel 1956 – possiede la facoltà di incontrare le proprie amanti in uno scambio perpetuo di “conigliette” o “playmate”: le ragazze della “porta accanto” sorte dalla combinazione tra «il corpo carnoso e di aspetto infantile dell’anonima pin-up statunitense con il glamour delle ragazze dei poster di Hollywood e l’audacia della pittura pornografica».
Donne, queste ultime, soggiogate alle velleità voyeuristiche del maschio e abitanti primarie della cosiddetta “pornotopia”, ossia quella che Preciado definisce – traendo spunto dalle “zone di passaggio” descritte da Foucault, le “eterotopie” – alla stregua di un luogo in cui si stabiliscono «relazioni singolari tra spazio, sessualità, piacere e tecnologia, alterando le convenzioni sessuali o di genere e producendo la soggettività sessuale come derivato delle sue operazioni spaziali».
E il cui processo costituisce, quindi, il prodotto di un “capitalismo caldo”, dedito esclusivamente ai corpi e ai loro piaceri, che scorge il suo corrispettivo tangibile nella mastodontica Playboy Mansion: il “bordello multimediale” ospitato in un palazzo signorile di Chicago e distribuito su quattro piani, nel quale convivono sale dedicate al divertimento, grotte sotterranee, letti girevoli – come quello di Hefner, vero e proprio ufficio e, insieme, luogo di desiderio –, “cucine nascoste” e altri peculiari aggeggi meccanici. Il tutto costantemente sottoposto allo sguardo attento di telecamere e specchi doppi, cui gli invitati si prostrano in un costante gioco di pubblico e privato, soggettività e oggettività, pudore ed esibizionismo.
Dicotomie che, nel corso dell’espansione dell’impero Playboy, rivivranno anche nei club, negli alberghi, nei trasporti privati e nei prodotti televisivi firmati da Hefner, per poi giungere, però, al loro ineluttabile atto conclusivo, causato dal sopraggiungere di nuove forme di pornografia e dalla correlata vacuità dei supporti fisici. Dando luogo, così, alla parabola di un universo di senso in cui Preciado ci conduce con acutezza, sensibilità e precisione, mostrandocene, con uno stile puntuale e ricco di suggestioni visive e riflessive, la psicologia, le contraddizioni e le potenzialità espressive.
Perché nonostante la sua morte, «noi, necrofili recalcitranti, continueremo in una maniera o nell’altra ad abitare la pornotopia».