I nostri artwork preferiti del 2019

Ok, siamo qui per giudicare un disco dalla copertina. La selezione delle cover più interessanti – d’impatto e di sostanza – del 2019 è affidata all’artista Andy McFly, pittrice, illustratrice e collaboratrice di OUTsiders webzine. 

FLOATING POINTS “CRUSH”

In sole 5 settimane, Sam Shepherd, traduce i suoi pensieri in un album a dir poco fantastico. Il produttore londinese, oltre ad essere un meticoloso musicista ha conseguito qualche anno fa un dottorato in neuroscienze, disciplina che secondo me, influisce molto nella sua musica, una commistione che rende il tutto più coeso e sensato. Non a caso questo sodalizio scientifico lo si ritrova nella cover fluida e coloratissima di “Crush”. Una foto statica ma che suggerisce un’idea di movimento e purezza, ma anche di naturalità e spazialità in cui il tutto sembra proseguire al di là di quel quadrato, sembra fluire ed espandersi come in un impeto, come in un’estasi.

Quelli di Hamill Industries sono le menti dietro alla cover: uno studio di arti visive multidisciplinari con base a Barcellona, che lavora soprattutto con il 3D, l’astratto ed i neon e che forniscono installazioni visive; hanno di recente collaborato con l’allestimento visivo del Sonar (Festival di musica elettronica di Barcellona) e ovviamente anche con Floating Points creando per lui tutta una serie di visuals che lo accompagnano durante i live. Memorabile la sua esibizione al Club To Club 2019 di Torino nel quale la sua musica si fondeva in una danza cosmica con appunto i visuals fluidi e celestiali, non sarei riuscita ad immaginarmi quel live set senza quel tipo di accompagnamento visivo!

JUAN WAUTERS “LA ONDA DE JUAN PABLO”

La storia di questo album è incredibile. Juan Wauters, un musicista uruguaiano-americano cresciuto con la sua famiglia nel Queens, ha passato gli ultimi due anni in viaggio per l’America latina raccontando canzoni semplici che parlano di quotidianità e che creano immagini molto vivide nella mente, emozionali e semplici. La vera delizia è sapere che i musicisti presenti in questo album sono tutti musicisti incontrati durante il viaggio, principalmente musicisti di strada, che ha coinvolto nelle registrazioni usando strumenti direi quasi rudimentali per registrare i brani che sono praticamente un inno alla vita, alla sua bellezza.

La cover è una bellissima fotografia nella quale un attraversamento pedonale è letteralmente invaso di persone, tante persone, tutte diverse, uniche: una coppia che si tiene per mano, una bambina sulle spalle del proprio papà, studenti, lavoratrici, lavoratori. Se spostiamo lo sguardo a sinistra, notiamo un ragazzo  con una camicia rossa che guarda diretto in camera: è Juan, che ci guarda, come a dire: “Hey! Vi vedo!”, forse invitandoci un po’ a farne parte, come in una grande festa.

Quello che incanta è la fittezza della composizione ma anche ciò che racconta: uno spaccato della società moderna in transizione, in movimento, soli ma insieme; i colori sono incredibilmente saturati e le forme ben nitide: c’è da perdersi in ogni suo particolare!

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JOSEPH SHABSTON “ANNE”

Il secondo album solista di Joseph Shabston, sassofonista americano, affronta un trauma intergenerazionale insieme a sua madre e costruisce un “ponte di luce ed empatia” tra due mondi apparentemente distanti ma che condividono lo stesso dolore e la stessa felicità. Usando come espediente delle interviste fatte alla madre (che si chiama Anne e che è anche il nome del disco) sui tema della crescita, della genitorialità e – appunto – sul gap intergenerazionale, Shabston ricama attorno alle parole un ambiente etereo nel quale il lavoro dei synth si sposa con l’uso del sassofono dando vita a racconti musicali.

La cover è un bellissimo dipinto di un vaso di fiori che si riflette in uno specchio nel quale scorgiamo altri elementi di quella che potenzialmente potrebbe essere la casa di sua madre, la casa in cui è cresciuto. La voglia di familiarità è forte in questa cover, quasi quanto in tutto l’album – che sembra essere una realizzazione del proprio Io musicale. Ci sono molti elementi che rimandano alle scene quotidiane dipinte da Matisse, alla intuitività picassiana del gesto, ai colori familiari e sgargianti di Van Gogh e forse sarà proprio per questo che anche a noi questo dipinto giunge familiare? Elementi già noti, di rimando, che suscitano in noi una qualche appartenenza: una casa, dei fiori, tutte questi parallelismi con stili pittorici ben noti…Shabston ha puntato a tutto questo, descrivendosi ma dandoci anche l’opportunità di farne parte.

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WEYES BLOOD “TITANIC RISING”

Titanic Rising è il quarto e più ambizioso album della cantautrice Natalie Mering, che racchiude in sé temi quali la deriva sentimentale nell’era dell’algoritmo, la spiazzante e crudele realtà, ma forse, più di tutto è un album che parla di speranza durante quest’apocalisse emotiva, nel quale è essenziale vivere il presente (per quanto possa essere negativo) con un sorriso.
Con uno stile quasi barocco, con intuizioni glam e la sua stupenda voce, Natalie, costruisce l’album dividendolo in due: nella prima part parla del bisogno di non sentirsi sola e diventa critica sulla contemporaneità, rimpiange l’infanzia come un momento in cui tutto è possibile ed il mondo sembra un luogo meraviglioso, nella seconda metà invece spicca la voglia di avere speranza, di trovarla in un modo o nell’altro.

La cover è di una bellezza e di una poesia immensa, il titolo indirizza gli ascoltatori verso ciò che vuole esprimere con questo progetto: Titanic Rising è una metafora sentimentale. Natalie si trova completamente immersa nell’acqua dentro alla sua stanza, sospesa dalla forza dell’acqua, in apnea, con i suoi lunghi capelli fluttuanti e sembra chiedersi “In che mondo sono finita?”. I colori e le luci sono impeccabili, tutto sembra studiato ed il complesso visivo è altamente connesso a ciò che ha voluto esprimere con l’album. Piccola chicca: nella canzone che chiude l’album “Nearer to thee” è un omaggio a quella che sembra esser stata l’ultima canzone che l’orchestra del Titanic suonò mentre la nave affondava, per l’appunto “Più vicino a te”. Geniale.

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BAD RAIDERS “HORIZONS”

I Bad Raiders sono un duo pop-electro australiano che negli ultimi 10 anni ha conquistato poco a poco tutta l’Australia con il loro sound estivo e scanzonato. Il loro secondo disco “Horizons” parla del loro viaggio di 10 anni che li ha portati a suonare in giro e di come l’orizzonte sia una meta ambita ma inarrivabile poiché più ti avvicini ad essa e più si allontana. Musicalmente non mi sento particolarmente impressionata da questo album, ma la cover è una vera chicca dell’illustratore ed artista romeno Saddo, che per la cover di Horizons rappresenta un uccello nero immerso nel blu della notte illuminata dalle stelle che strizzano l’occhio alle famosissime stelle di Mirò, il tutto contornato da elementi iconografici che si ispirano alle forme semplici di Matisse, all’illustrazione contemporanea e ai miniaturisti iraniani e asiatici. Con una semplicità e leggerezza Saddo crea altre tre cover per i singoli che la band lancia durante l’anno, tutti con lo stesso stile semplice ed allegro ma non per questo frivolo. Ottimo lavoro!

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THELMA “THE ONLY THING”

Natasha Jacobs a.k.a. Thelma per il suo secondo album “The Only Thing” dichiara di essersi ispirata a “patetiche canzoni d’amore” e a Lana Del Rey, ed in effetti gli echi malinconici risuonano per tutto il disco, anche grazie alla sua meravigliosa voce (che a volte sembra quasi un cinguettìo). La cover album scattata da Gracie Pandleton, rappresenta appieno la malinconia che ammanta i brani, resa visivamente dal fondo grigio, con accenni di colori sgargianti come il giallo, il blu, verde e rosso che attirano l’attenzione su quelli che chiamerei oggetti di scena che arricchiscono la copertina e la rendono più simile ad un quadro metafisico o ad un’opera teatrale contemporanea. La neutralità è espressa dalla sua tuta bianca, come se ci dicesse: “sono la burattinaia ma sono anche spettatrice!” Molto consigliato l’ascolto che mi ha rimandata alla magia della voce misteriosa ma al tempo stesso giocosa di Bianca Casady delle Cocorosie.

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CAT CLYDE “HUNTER TRANCE”

Le ballate folk-rock della cantautrice canadese Cat Clyde, trovano forma e colore nei disegni naif di Sophia Pega, illustratrice spagnola incantata dal mondo della flora e fauna, dalla figura umana ma soprattutto dalla fluidità matissina e dai colori accessi di Warhol. Una ragazza disperata, trova un momento di conforto e riposo tra le zampe di un lupo selvatico, rappresentato assurdamente più grande della figura umana, quasi come se fosse una divinità protettrice della foresta o addirittura, un animale guida. Il lupo assertivo ma allo stesso tempo rilassato, accoglie la piccola Cat, disperata e triste (rappresentazione del tema dell’album, tutte ballad medio-tristi che parlano d’amore) probabilmente col cuore infranto, vestita all’occidentale, scappata da quel mondo per rifugiarsi nella natura, tra le mille declinazioni di verde. Cat Clyde e Sophia hanno raccontato una storia molto comune ma non per questo semplice, hanno reinventato attraverso metafore una sensazione umana, quella dell’abbandono e della solitudine, ciò che ne viene fuori è sicuramente un prodotto coeso ed intrigante, sicuramente una cover che può parlare a molti.

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SOLANGE “WHEN I GET HOME”

In “When I get Home” c’è tutta la magia di Solange: delicato, femminile, sincero. Un album magnificamente composto con influenze jazz, RnB, black music che inizia e passa di brano in brano, sfumando, avvolgendoti in esso. Che dire, credo sia un disco importantissimo per tutto quello che esprime e per tutto il lavoro che ha dietro di sé, infatti Solange ha scritto e prodotto tutto da sola, coinvolgendo amici musicisti e cantanti come Tyler The Creator, Sampha o Gucci Maine, il tutto accompagnato da un film di 33 minuti diretto da Solange in persona in collaborazione con Alan Ferguson, Terence Nance, Jacolby Satterwhite e Ray Tintori.

Il film come il concetto dell’album sono un’esplorazione delle origini, si interroga sul quanto ci si porta dietro e su quello che ci si lascia alla spalle durante la propria evoluzione. Non contenta, sta portando avanti una serie di performances live nei musei, nel quale indaga lo spazio architettonico come ambiente strettamente legato all’IO. Lei crea atti fisici nei quali il corpo è l’architettura stessa, la casa, nel quale ci sono forme e suoni, nel quale gli spazi coesistono in armonia. Performance che tra l’altro, il 24 novembre ha chiuso la 58esima Biennale d’Arte di Venezia e che ha vinto un Grammy Award.

Per la cover, una foto che ricorda molto la cover del suo precedente album “A Seat At The Table”, nel quale un ritratto fotografico a mezzobusto della cantante, si staglia da un fondo color grigio-lilla molto debole, un non-luogo che potrebbe potenzialmente esser tutto. Il ritratto ci guarda fissi, nella sua nudità di fisico e di animo. È una cover semplice, ma che secondo me, rappresenta appieno l’idea di Solange, quella di espressione di sè e di purezza. C’è un limite alla magnificenza di quest’artista?

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YAK “PURSUIT OF A MOMENTARY HAPPINESS”

Gli Yak sono una band molto nota nel panorama dell’alt-rock. “Pursuit Od Momentary Happiness” è il loro secondo album in studio, registrato principalmente nella sala di registrazione di Kevin Parker (frontman dei Tame Impala) in Australia. Per la cover dell’album, Oli Burslem (cantante della band) ha voluto coinvolgere l’amico ed artista Nik Waplington, classe 1965, diventato famoso principalmente per le sue fotografie che sono state esposte alla Tate di Londra, Guggenheim museum, Royal library in Danimarca e ha collaborato con lo stilista Alexander McQueen ad una serie chiamata “Work in Progress” ispirata al genio evolutivo dello stilista. I soggetti preferiti di Waplington sono stati da sempre le persone, vicini di casa o parenti, ma anche la natura, al quale si avvicinò durante i primi anni ’90 pubblicando un libro contenenti delle foto incentrate sul cambiamento climatico.

Qui gli Yak hanno deciso di puntare alle pitture che Waplington di tanto in tanto produce, scegliendo un dipinto astratto, colorato ed energico, molto legato all’idea di natura che fonde forme e colori in una danza scatenata, “grondante”. Il booklet interno è pieno di disegni figurativi e non dell’artista che si ispirano alla street art ed al graffitismo, disegni che sono stati prodotti principalmente durante gli anni in cui visse a Los Angeles, per questo molto colorati e vitali. Sicuramente una delle migliori cover di quest’anno, magnifico esempio di come la musica e l’arte visiva possano camminare insieme, mano nella mano.

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