“L’amore che non osa” essere pronunciato: i sonetti di Bosie, amante di Oscar Wilde

Silvio Raffo accompagna il lettore nella scoperta dei componimenti emotivi, vividi e autentici di Lord Alfred Douglas, “il miglior compositore di sonetti dopo Shakespeare” – come lo definì George Bernard Shaw – e amico/amante prediletto del poeta irlandese, con il quale intrecciò una passione inossidabile, causa della sua rovina…


_ di Roberta Scalise

Un’anima in grado di produrre componimenti raffinati e autentici, che si stagliano come monadi di senso e microcosmi poetici evocativi e vividi: tali sono i sonetti di Lord Alfred Douglas, l’amico, l’amante e l’adepto favorito di Oscar Wilde, le cui poesie sono state tradotte, per la prima volta in italiano, da Silvio Raffo e raccolte nel volume “L’amore che non osa”, edito – a 73 anni dalla morte del loro autore – da Elliot Edizioni.

«Se io avessi avuto la buona sorte di vivere nell’Atene di Pericle, quello stesso comportamento che oggi mi ha portato alla disgrazia sarebbe invece tornato a mia gloria. Oggi sono fiero di essere stato amato da un grande poeta che mi ha stimato forse perché ha riconosciuto che oltre a un bellissimo corpo ho anche una bellissima anima»

A percorrere le pagine del testo vi sono le parole attente, calibrate e immaginifiche di “Bosie”, ossia “il ragazzo di rosa” – come amava definirlo il poeta irlandese, cui dedicò, tra le catene di Reading, il celebre “De profundis” –, tanto vanesio, inviso e drammaticamente egoista quanto acuto nella delineazione di scene suggestive e puntuali, dominate da pathos e tremori interiori.

I medesimi che caratterizzarono la tormentata relazione tra il giovane studente di Oxford e il suo maestro e modello, avviata nel 1892 e proseguita, tra l’incarcerazione di Wilde – avvenuta per “sodomia” in seguito alla denuncia per diffamazione rivolta da quest’ultimo contro il padre di Douglas, Lord Queensberry, su consiglio, e influenza, del figlio stesso, da sempre ostile al genitore – e innumerevoli abbandoni e riavvicinamenti, fino alla morte di Wilde, nel 1900. Un rapporto che, fin dai suoi esordi, ha, dunque, piegato lo scrittore di Dublino a una passione esacerbante e contagiosa, dalla cui dipendenza psicologica e “maledetta” ha, più volte, tentato – se pur invano – di affrancarsi.

Un affrancamento che, tuttavia, ha svolto compiutamente lo stesso Raffo, perseguendo il tentativo di restituire un ritratto di Bosie scevro di qualsiasi riferimento alla sua natura narcisistica, indifferente e individualistica, bensì dotato di un saldo ancoraggio alla sua tecnica poetica, qui esplicata mediante la cernita di cinquanta componimenti densi, emotivi e sinceri.

Poesie dedicate a chi possiede la delicatezza e la sensibilità idonee per comprendere le angosce e le gioie di un animo giovane e innamorato, rese attraverso personificazioni di concetti astratti e inanimati – e sagaci espedienti atti a concedersi momentanee parentesi di mestizia e introspezione –, comparazioni e metafore calzanti, echi classici e indagini di recessi interiori che, nel loro svolgersi, universalizzano le riflessioni correlate rendendole, così, fruibili ai suoi lettori.

A rimembrare un amore sfaccettato, inevitabile e in grado di soggiogare l’altro con la sua dolce e dolorosa virulenza, e che ora può essere finalmente “pronunciato”.

Di seguito, una selezione delle poesie e delle strofe maggiormente significative presenti nella raccolta:

1. Da “Two Loves”:

«[…] “Dimmi la verità, qual è il tuo nome?” / “Amore – mi rispose – ecco il mio nome”. / Ma l’altro, il primo, a me pronto si volse / gridando: “Mente! Il suo nome è Vergogna. / Io sono Amore, e qui regnavo solo / nel giardino che vedi; lui poi venne / inatteso, una notte. Io sono il vero / Amore, quel che solo può appagare / i cuori di reciproca passione”. / E l’altro, tra i sospiri, disse: “Sia / come tu dici. Io sono l’Amore / che il suo nome non osa pronunciare”».

2. “The Dead Poet”:

«La notte scorsa l’ho rivisto in sogno, / radioso volto senz’ombra di tedio. / Come sempre la sua voce dorata / musicale insondabile ascoltavo. / In tutto egli scopriva grazie occulte / e gli incanti del vuoto scongiurava / e tutto di Bellezza rivestiva, / trasfigurando il mondo per magia. / Poi, quel cancello chiuso a me dinnanzi: / su parole non dette piangevo, su fiabe / scordate e appena intravisti misteri; / su meraviglie ignote, spente all’alba, / pensieri senza voce, canti d’uccelli feriti. / Al mio risveglio seppi che era morto».

3. Da “The Travelling Companion”:

«Gli occhi chinai sull’assolata landa: / campi fioriti, maturi per me, / ogni fiore annuiva alla mia mano. / Venne il Dolore e mi condusse a te. / Amore! Pena! Disperata brama! / Nel buio vago verso il vasto mare / e non so più nemmeno dove andare. / Così alfine ritorno ancora a te».

4. “Amoris Vincula”:

«Come bianca colomba in gabbia d’oro / sottratta all’aria ma ancor più da amore / oppressa che da sbarre, renitente / a volar via nemmeno se il cancello / le fosse aperto: era così il mio cuore, / legato al tuo da un intrecciato anello. / Ma presto la colomba insofferente / volle spezzar la catena, e infedele / sfuggire a te: con un dorato uccello / la prigione lasciò. Una luna dopo / le mancavano troppo quella voce / quelle labbra, e dovette far ritorno. / La spada per spezzare la catena, / anello che più stretto la serrava».

5. “Poem – For the Third Edition of The City of the Soul”:

«Anima, quanti giorni abbiamo attraversato / agili e fiduciosi, quante verdi vallate, / quanti duri sentieri a stanchi passi? / Non ci fu ignoto il panico del demone al meriggio; / quando le nostre strade la notte ottenebrava, / dolce il ricordo ci riconfortava. / Benché udissimo battere ampie ali, / le labbra non s’aprivano a lode né a preghiera. / Pure, mai persi, respinti o ripudiati, / mai dall’amore di Dio separati, / tra inganni aspri e ostinati, tra lusinghe ammalianti, / nell’incanto il cammino proseguimmo: / angeli luminosi vedemmo lievi nel vento / svanire sulle piste di un bel lunare argento».

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