“Cerco te” di Mauro Mogliani: un thriller ambientato a Macerata tra sequestri di persona e introspezione

Pubblicato da Leone Editore, il nuovo thriller di Mauro Mogliani è una sorta di Saw – l’Enigmista all’italiana, più noir che horror. 

Il paragone è ingombrante ed un po’ iperbolico ma ci sono effettivamente degli elementi che riconducono questo nuovo romanzo firmato da Mogliani alla celeberrima saga del “pupazzo in bicicletta”. Innanzitutto i sequestri di persona, alla base del modus operandi del protagonista del film horror campione di incassi. Poi, una certa tendenza a volersi “sostituire a Dio”, o quantomeno a farsi garante e gendarme di un giudizio morale sulla vita condotta da alcune persone, col fine però di – in qualche modo addirittura – aiutarle, salvarle, redimerle. Ma andiamo con ordine. In primo luogo è l’ambientazione a risultare atipica e affascinante in “Cerco te”. Non siamo infatti nei sobborghi di una fumosa metropoli, bensì in Centro Italia, più precisamente nelle Marche e volendo essere ancora più precisi nel ridente paesino di Tolentino.

Più che ai colossal dell’orrore, dunque, viene in mente  il conturbante “La casa delle finestre che ridono” di Pupi Avati. Qui, l’ispettore Piero Nardi riceve la lettera di un potenziale serial killer, che si firma “Nessuno”, rievocando l’epica classica di Ulisse vs Il Ciclope. Quello che emerge da lettere e indagini è un quadro agghiacciante, che gela il sangue della provincia marchigiana. Lo schema è abbastanza chiaro: vengono rapite 4 donne, a distanza di una settimana l’una dall’altra. L’intento, però, non pare quello di ucciderle a sangue freddo, bensì di liberarle dopo i 7 giorni di sequestro. Una prigionia che diventa dunque – agli occhi del carnefice – una sorta di percorso di riflessione e purificazione. Un elemento incombe come una spada di Damocle, per le vittime così come per gli investigatori: il tempo.

L’ispettore Nardi è aiutato dal collega Gambuti, ma questo non gli impedisce di farsi totalmente assorbire dal caso: subentri quindi il “cliché” del poliziotto alienato che trascura moglie, famiglia, affetti. Non è una novità, certo, ma è ben gestita nel corso della narrazione, poiché mette in luce quel cortocircuito per cui tutti – per un motivo o per un altro – non diamo abbastanza valore alle nostre vite, a ciò che di bello/buono abbiamo: ad un certo punto ci crogioliamo nella monotonia, iniziamo a recitare una parte, a fingere. Il tema del “doppio” è laterale a tutto il racconto, che ad un certo punto potrebbe suggerire un altro riferimento cinefilo: quello a Seven di David Fincher.

Un errore all’inizio delle indagini da un lato renderò molto più complessa la ricerca di “Nessuno”, dall’altro renderà più avvincente la lettura di Mogliani, che dopo diversi buoni risultati editoriali spera ora in una ribalta più ampia.