“Non parlate male dei poeti. C’è già così poca gente che parla di loro.” Se Louis- Ferdinand Céline fosse andato a teatro in questi giorni ad assistere all’ultimo spettacolo di Gabriele Lavia I ragazzi che si amano ispirato alle poesie di Jacques Prévert, si sarebbe ricreduto. Un recital affascinante, che traccia il senso della memoria del tempo, e sottilmente inquieta con il suo suggerire come la vita ci sfugga di mano attimo dopo attimo e ci ricorda della luce totalizzante dell’amore, che è l’unica cosa che conta. In scena al Teatro Carignano fino al 14 aprile.
_di Elisabetta Galasso
Scomodare Céline forse è un azzardo, ma quando si parla di Jacques Prévert con tono superficiale almeno una volta nella vita tutti abbiamo esclamato ” Chi? Prévert? Ma sì! Il poeta dei cioccolatini.” Al contrario, questo poeta, vissuto in pieno Esistenzialismo, ha saputo alleggerire la condizione dell’umanità e ha saputo farle riscoprire quella gioia di vivere che la Seconda Guerra Mondiale sembrava aver spenta.
Lo spettacolo è un ricordo commosso di Prévert e con la maestria di Lavia diventa un po’ recital, un po’ teatro canzone, un po’ lezione filosofica e un po’ personale confessione sulla responsabilità civile di vivere il presente. Se si pensa che la poesia è un genere molto poco praticato perché ingnora i luoghi comuni, teatralizzarla a teatro è una sorta di missione impossibile. Per tutti, eccetto che per Gabriele Lavia che solo, sul palco, da teatrante alla vecchia maniera, senza l’uso del microfono, con più di 20 poesie recitate a memoria e una duttilità che solo chi ha speso molti anni sul palcoscenico possiede, ricrea la bolla struggente della poesia.
Quale nome si può dare a un luogo che si illumina dopo il fragore di un tuono e la luce acceccante di un lampo? Uno spazio indefinito che ospita una panchia, lunghi fari, un tavolo con un mazzo di fiori svogliatamente appoggiato sopra, delle feuilles mortes portate da un lontano suono di fisarmonica lasciato nell’aria e l’eco della pioggia che ingrossa le rive della Seine. No, non siamo a Parigi, siamo a Teatro! Esordisce Lavia prendendosi il palco e dialogando col pubblico. il Teatro è Parigi e milioni di altre cose e dentro ci troviamo la poesia, intesa in senso filologico, quella abilità di evocare, di avere istanti epifanici del passato, poiché il passato determina sempre il nostro presente e il nostro futuro.
Tre fiammiferi accesi uno per uno nella notte
Il primo per vederti tutto il viso
Il secondo per vederti gli occhi
L’ultimo per vedere la tua bocca
E tutto il buio per ricordarmi queste cose
Mentre ti stringo fra le braccia
Da qui comincia una lunga carrellata di suggestioni da Eraclito ad Heidegger, passando dai Beatles a Jean Gabin e tutti quei personaggi che hanno contribuito a formare la poetica di Jacques Prévert. Il fulcro dello spettacolo si esplicita in una massima tanto breve quanto inquietante: Noi non sappiamo nulla. L’esistenza è un mistero, eppure continuiamo a tendere alla vita come fa la rosa, continuando a sbocciare, pur non conoscendone la ragione. Per noi è quindi Eros che scuote l’anima come vento sul monte, che irrompe entro le querce e scioglie le membra e le agita, dolce, amaro, indomabile serpente.
Che giorno siamo noi
Noi siamo tutti i giorni
Amica mia
Noi siamo tutta la vita
Amore mio
Noi ci amiamo e noi viviamo
Noi viviamo e noi ci amiamo
E noi non sappiamo che cosa è la vita
E noi non sappiamo che cosa è il giorno
E noi non sappiamo che cosa è l’amore
L’esperienza dell’attore ci fa letteralemente vedere, i personaggi delle poesie. Vediamo Barbara che sotto la pioggia incessante su Brest rincorre il suo amante e si riparano sotto un portone. Riusciamo a guardare da vicino les enfant qui s’aiment che la traduzione italiana perbenista ce li ha sempre raccontati come i ragazzi che si amano. Prévert invece voleva racchiudere in quel enfants la forza propulsiva di un sentimento che non conosce catene, un sentimento puro a volte ridicolo, a volte esasperato; abbracciando tutti ragazzi, ragazze, bambine, bambine, vecchi e vecchie in una infinita vertigine d’amore. Lavia omaggia il poeta e ci ricorda quanto sia eroico amarsi contro le porte della notte, recuperando la pienezza del senso dell’esistenza. A conclusione di questa intensa girandola di emozioni possiamo certamente affermare che l’uomo si rente conto di essere al mondo solamente se ama.
I ragazzi che si amano si baciano in piedi
Contro le porte della notte
E i passanti che passano li segnano a dito
Ma i ragazzi che si amano
Non ci sono per nessuno
Ed è soltanto la loro ombra
Che trema nel buio
Suscitando la rabbia dei passanti
La loro rabbia il loro disprezzo i loro risolini
la loro invidia
I ragazzi che si amano non ci sono per nessuno
Loro sono altrove ben più lontano della notte
Ben più in alto del sole
Nell’abbagliante splendore del loro primo amore