“Segui questo filo”: nel labirinto insieme a Henry Eliot

Il testo, edito da Il Saggiatore, induce il lettore a intraprendere un viaggio tortuoso tra gli intrichi di parole e paragrafi, indicato da un fil rouge che, come quello d’Arianna affidato a Teseo, lo scorta fino alla conclusione del volume, tra bivi, svolte e immagini emblematiche. 

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_di Roberta Scalise

«Dentro il grande dedalo della vita di un uomo ce ne sono molti altri più piccoli, ognuno apparentemente completo di per sé, ed egli muore in parte ogni volta che ne attraversa uno, perché in ogni dedalo lascia una parte della propria vita che giace morta alle sue spalle. È uno dei paradossi del labirinto che il suo centro sembri la strada verso la libertà».

Dedali, labirinti, mitologia e imprese straordinarie: è un addensarsi di crocevia, storie parallele e aneddoti il nuovo libro dell’autore inglese Henry Eliot, “Segui questo filo”, recentemente edito da Il Saggiatore e con la traduzione di Giulia Poerio e le illustrazioni di QUIBE.

Assumendo l’abbrivio dal mito di Dedalo, infatti, il testo offre una disamina appassionata della genesi, dello sviluppo e delle diverse declinazioni assunte dall’invenzione conseguita dall’ingegnoso padre di Icaro: il labirinto, da lui costruito per rinchiudere il figlio illegittimo del re di Creta Minosse, Asterione, ossia il Minotauro, così imprigionato in una «casa con molte stanze e molte porte, una casa in cui sarà facile entrare ma impossibile uscire, una casa che sarà in parte il santuario di un semidio e in parte una oubliette». Una casa che, dunque, assunse ben presto, nell’immaginario collettivo, le sembianze di un intrico da fronteggiare e sciogliere, nel quale immergersi e confondersi, alla ricerca di una via di fuga che, però, sempre indugia a sopraggiungere, perché celata tra bivi, scelte errate e vicoli ciechi.

Diramazioni che lo stesso volume ha, inoltre, metaforicamente rappresentato disponendo i propri paragrafi in modo originale e inaspettato – al contrario, in orizzontale, in obliquo –, al fine di ritrarre, attraverso il continuo orientamento delle pagine, le svolte e i cambiamenti repentini propri del labirinto classico, e ponendo tra le sue parole un filo rosso che corre e si intreccia su di sé a costruire molteplici immagini evocative e che, come quello d’Arianna affidato a Teseo, sembra quasi voler indirizzare il lettore affinché questi non si perda all’interno della medesima narrazione.

La quale appare, quindi, costellata di riferimenti ai numerosi campi disciplinari che hanno ospitato riflessioni e interrogativi circa il labirinto e i suoi enigmi: dalla letteratura, con i racconti di – tra gli altri – Borges, Perec, Dashner ed Eco, alla matematica, con l’“algoritmo di Trémaux” dello studioso omonimo; dalla pesca, con il groviglio di reti costituente la cosiddetta “camera della morte” delle tonnare, ai giochi, quali, per esempio, “Gotcha”, i grovigli di piastrelle di Fletcher e lo “thsuma sogexe” degli zulu; fino all’urbanistica e alle sorprendenti costruzioni dedaliche disseminate in tutto il mondo, tra le quali spiccano, in particolar modo, quelle dell’acuto Greg Bright, l’effettivo protagonista di una storia parallela che, affiancando gli excursus mitologici e le innumerevoli incursioni in altri ambiti di studio, coinvolge personalmente l’autore.

Il cui intreccio dà luogo, pertanto, a una narrazione che si snoda su più livelli, costituendo un’esperienza avvincente, curiosa e a tratti confondente e tortuosa, ma sempre sorretta da un piacere sotteso – e quasi inconfessabile – a rinunciare al controllo e a farsi sorprendere dalle svolte impreviste del testo che, un po’ come la vita stessa, «non è un procedimento lineare, [perché] questo gesto di abbandono implica un viaggio fisico e mentale, attraverso l’errore e la scoperta-accettazione di noi stessi».