[INTERVISTA] La Rappresentante di Lista: questo corpo ci salverà

Go Go Diva è la terza fatica discografica de La Rappresentante di Lista, il  viaggio pop di un corpo alla scoperta di ciò che è nascosto sotto il velo della realtà. Veronica Lucchesi, Dario Mangiaracina e i loro compagni di avventure si preparano a portare il nuovo disco nei club italiani e venerdì 1 febbraio approdano a Torino, sul palco di Hiroshima Mon Amour. In occasione della partenza del tour abbiamo intervistato Veronica Lucchesi che ci ha raccontato la sua personale visione attorno a Go Go Diva.


_di Alessia Giazzi

Questo povero corpo: lo costringiamo a tenere gli occhi fissi sui feed social e scrolliamo all’infinito chiedendogli di essere perfetto, sempre all’altezza di quello che ci chiedono i canoni di bellezza. Questo povero corpo, in balia della nostra fame e sete costante, spinto fino al limite e poi ancora maltrattato. Questo corpo che ci ama tremendamente e che quando cadiamo ci sostiene e ci ricorda quanto siamo fortiAmare il proprio corpo nell’era del body shaming non è solo un atto di coraggio, ma una presa di posizione: come una Lady Godiva contemporanea, La Rappresentante di Lista si spoglia davanti agli occhi contemporanei facendo da filtro alla mera rappresentazione della realtà attraverso un punto di vista che parla al femminile, grida, scalpita, soffre e ride.

Go Go Diva non è solo un manifesto quindi, è una vera e propria dichiarazione d’amore, per la musica e per la vita: ce lo racconta Veronica Lucchesi con parole sue e con tutto il suo amore.

Parliamo di Go Go Diva, il vostro nuovo album. Il riferimento alla Lady Godiva che cavalcò nuda per le strade di Coventry è più che esplicito: In che modo questa figura storico-letteraria è diventata la portavoce del vostro disco?

Diciamo che tutte le canzoni hanno avuto sin da subito la necessità di essere in qualche modo interpretate da qualcuno. Ci serviva individuare una protagonista: La Rappresentante di Lista per noi è sempre stata una portavoce femminile e finora ci ha sempre accompagnati quest’entità, una sorta di grande Madre Natura che mette una luce sui dettagli del mondo che ci circonda. Anche in questo caso le canzoni venivano fuori – un po’ anche perché Dario ha sempre scritto al femminile – con una forte opinione/punto di vista femminile. Quando ci siamo ritrovati a pensare al significato di molte delle canzoni – che era quello di avere la necessità di scuotere, di spostare degli equilibri, di ritrovarsi di fronte alla difficoltà di fare una scelta e di prendersi anche la responsabilità di quello che si è fatto – ricordo che con Dario abbiamo avuto uno scambio di messaggi mentre lui si trovava in Sicilia e io in Toscana.

A me è venuta in mente Lady Godiva, appunto, questa nobildonna che manifesta contro il marito e le tasse da lui imposte prendendo le parti del popolo utilizzando il suo corpo, nudo a cavallo, in piazza. Questo ci ha acceso subito una lampadina. In più cercavamo di ricreare un po’ il gioco di parole che c’era stato con Bu Bu Sad (album precedente, uscito nel 2015 ndr) e questa Lady Godiva si è trasformata in una serie di rimbalzi che ci siamo mandati via sms: inizialmente il titolo dell’album doveva essere “Go Godiva”, ma dopo Bu Bu Sad  abbiamo voluto creare una continuità con il percorso che avevamo iniziato e quindi è diventato “Go Go Diva”. Quindi la nostra protagonista è anche Diva.

Come dicevi, la figura di Lady Godiva è strettamente legata al tema del corpo, lo stesso tema che apre la tracklist del disco, diventando un po’ anche il simbolo del cambiamento interiore che si manifesta all’esterno. Mi racconti che tipo di riflessione personale ti ha portato a scrivere una canzone come “Questo corpo”?

Sicuramente parte da un disagio: quando si è verificato questo tilt che poi mi ha permesso di scrivere la canzone, è partito proprio da una sensazione fisica più che interiore. È chiaro che l’interno e l’esterno sono strettamente connessi e legati però c’è da dire che in qualche modo l’interno, vuoi per le barriere che ci siamo costruiti, vuoi per le innumerevoli volte in cui mentiamo a noi stessi, non ti fa ragionare più di tanto o comunque lo fa  in modo subdolo, non in maniera decisa e netta. Il corpo invece a un certo punto, se ti lasci andare, è come se ti ricordasse non quanto sei debole – ecco l’interno alle volte ti ricorda quanto sei debole, quanto sei infilato dentro quella situazione – ma quanto sei forte, secondo me.

Se crolli lui ti deve aiutare in qualche modo a reagire, o comunque ti lancia i segnali per poterlo fare e ti dice “Ehi guarda che qui c’è qualcosa che non va”: la cosa interessante è che il corpo in qualche modo riesce – ovviamente se noi riusciamo a raccogliere la sua richiesta e il suo impulso – a salvarci, perchè ti ricorda quanto lui stesso può aiutarti ad essere strumento per partecipare alla tua vita, per prendere parte a questa grande festa, a questa meraviglia che sono poi l’esperienza e le relazioni.

Tornando a parlare della femminilità e della figura della donna, in “Giovane femmina” trovo che venga dipinto un ritratto azzeccato della giovane donna contemporanea, in particolare del suo rapporto con la sessualità e con il desiderio. Qual è la visione di donna che hai voluto sviluppare in Go Go Diva?

Di partenza l’analisi è assolutamente personale, perché non so nello specifico come sono gli altri, non conosco i loro particolari, i dettagli della loro vita, quindi mi serve utilizzare il bagaglio che ho costruito insieme a tutti gli organi di questo corpo qua. Questa donna sono un po’ io ma come penso possa essere Diva e possano essere molte altre persone, non per forza donne. Penso che scendere di casa, fare una scelta e intraprendere quella strada senza paura di presentarsi, di farsi conoscere così come si è, sia una necessità e dovrebbe essere una predisposizione naturale che dovremmo avere, o in caso acquisire, per affacciarci al mondo, agli altri e anche alla nostra vita. Credo che avere sete e avere fame sia un’esigenza particolare di chi ad un certo punto ha conosciuto che cosa significhi il desiderio o la voglia e in qualche modo la necessità di andare sempre più a fondo, la conoscenza delle cose che ti fa avere ancora fame mentre stai mangiando.

Credo che invece questo non rappresenti l’umanità ma soltanto un certo tipo di persone e non so neanche quanto sia un aspetto positivo perché diventa anche logorante e ti porta ad essere in qualche modo sempre insoddisfatto. Si tratta di un aspetto che io ho toccato perché riguarda anche la mia vita come musicista, come artista: quando l’ho scritto insieme a Dario, il mio punto di vista si è mischiato anche al suo, quindi molto probabilmente è la visione anche di chi fa un mestiere come il nostro, di chi ha la necessità di avere appigli in una realtà che è anche un po’ altra. Quello che mi piacerebbe rappresentare è la vita non così com’è, ma qualcosa che ti permetta di guardare oltre, di produrre fantasia rispetto a ciò di cui si sta parlando, oltre la necessità di non porsi limiti se non quelli ovviamente del rispetto reciproco e della gentilezza.

Un po’ dare una chiave di lettura della realtà dal vostro punto vista, quindi.

Sicuramente una chiave di lettura. Altre volte mi è capitato di dire – citando Bob Dylan credo – che i musicisti, gli artisti, devono essere lo specchio della società: da una parte mi sembra interessante, ma dall’altra penso anche che, essendo puramente specchio, si rischia di diventare didascalici rispetto alla società, di raccontare solo quello che effettivamente c’è in quel momento. Credo che l’artista possa darti la possibilità di andare da un’altra parte, di guardare anche al futuro e quindi di creare una nuova realtà su quella che c’è, darti modo di tornare a casa con un dubbio, con una domanda o semplicemente con una grandissima sensazione, senza ricordarti puntualmente quello che ti succede ogni giorno.

A tal proposito un concetto simile emerge nelle parole che avete utilizzato per descrivere la canzone Panico: “L’unico modo per non soccombere davanti allo scempio che l’uomo fa di sé stesso è permettere alla poesia di trasformare il reale”. Il brano si ispira ai fatti accaduti a Torino in Piazza San Carlo nel 2017, in che chiave avete rielaborato l’evento all’interno della canzone?

Sicuramente le immagini sono state molto suggestive. Le scarpe, pensare a questa corsa cieca..perché quando il panico ti attanaglia non so che scarica di adrenalina possa scatenarsi in più persone: non sei neanche tu da solo ma vieni travolto dalle paure degli altri, quindi è difficile sicuramente da gestire come situazione. Le immagini sono state subito forti, ci hanno subito fatto immaginare anche quello che poteva essere stato e traslarlo in una canzone è stato quasi immediato, abbiamo percepito subito delle sensazioni potenti da trasferire in musica. Per noi è stato importante mettere questa traccia nel disco perché è un disco del 2018 e nel 2018 io e Dario abbiamo avvertito fortemente questo panico, non personalmente, l’abbiamo avvertito nell’aria. C’è un’aria di panico e di grande paura continuamente fomentata che è una sorta di virus che piano piano si insinua: dal punto di vista politico siamo messi malissimo e questo ovviamente non fa altro che incrementare questa chiusura che ci troviamo addosso. Lo sguardo poco aperto di certe persone alimenta questo tipo di sensazioni, la necessità di chiudersi dentro sé stessi per non parlare di chiudersi dentro alle case e dentro ai propri Paesi. Questo secondo me era l’argomento fondamentale da toccare e in questo brano.

In tal senso pensi che la musica possa ancora avere un ruolo sociale importante per promuovere un cambiamento?

Deve, assolutamente. In maniera forte, in maniera coerente e non per forza parlando in modo descrittivo e didascalico di politica all’interno di una canzone ma in altri mille modi: aiutando ad aprire la mente, a non incasellarsi in certi schemi solo perché lo vuole il mercato, ad essere incisivi quando si va su un palcoscenico, a prendere anche una posizione netta perché comunque tutti ascoltano musica e quindi potremmo essere veramente tanti a dare degli smacchi forti e a praticare qualcosa che non viene praticato ai piani alti. Quindi sicuramente l’artista, il musicista non può farne a meno se riesce ad analizzare in modo onesto, libero, gentile ed aperto il mondo.

blank

Il vostro definirvi “queer” ad esempio è una presa posizione molto forte per quanto riguarda il non lasciarsi incasellare e a promuovere un’apertura mentale collettiva. Che cosa intendete con la parola queer nel vostro contesto?

Se leggessi la definizione completa di queer e cambiassi tutte le parole che si riferiscono all’ambito sessuale con parole che si riferiscono all’ambito musicale, io mi trovo perfettamente all’interno di questa non-definizione perché significa essere liberi di provare qualsiasi cosa, di mischiare i generi, di non sentirsi per forza categorizzato. Essere trasversale, obliquo, non ordinario, fluido. Diciamo che queer per noi significa questo: sentirsi liberi di fare un brano in modo, un brano nell’altro, di presentarci oggi in un modo e per il prossimo disco presentarci in un altro ancora, nonostante quello che facciamo poi sia assolutamente pop. Non cerchiamo di fare delle cose intraducibili o troppo complicate, anzi io amo le cose semplici, però sicuramente mi piace fare ricerca e creare dei mondi intorno alle canzoni: ogni dettaglio dev’essere parte del mondo che ho creato per questo disco insieme a Dario.

Il tour inizia proprio da Torino con un immediato sold out e non è l’unica data ad aver registrato il tutto esaurito. Vi aspettavate questa risposta dal pubblico?

Sicuramente io, Dario e i nostri compagni di viaggio sappiamo di aver fatto un bel disco. Io lo amo molto, quello che stiamo facendo mi entusiasma e mi dà grande gioia: penso che siamo soltanto all’inizio di tutta una serie di cose che potremo fare insieme, anche con la gente. Sono veramente carichissima! Questo disco mi piace suonarlo, interpretarlo, viverlo e non mi era mai capitato in maniera così incisiva, se devo essere sincera. Mi aspettavo che succedesse qualcosa, altrimenti significava che avevamo sbagliato qualcosa: [il disco] è bello, ha senso, quindi per me doveva smuovere delle cose, poi non so effettivamente quanto smuova realmente l’animo o il corpo degli altri però ti posso dire che è stato veramente strabiliante da una parte ricevere tanti feedback positivi, però dall’altra parte dicevo “Sì, perché mi sono impegnata per fare in modo che questa cosa riuscisse a parlarti, perché sono io, siamo noi” quindi per forza dobbiamo riuscire a comunicare, perché veramente c’è anima lì dentro, c’è vita e grande necessità di rifocillarsi negli altri. Quindi è inaspettato perché è strabiliante però dall’altra parte mi dico che io ho fatto in modo di arrivare a parlarti perché ne avevo proprio bisogno. Io volevo parlare con te, con te, con te..quindi sono contenta che arrivi tutto questo.

Mi parlavi dei vostri compagni di viaggio: per il tour di Go Go Diva sarete in sei sul palco. Ti va di raccontarmi chi ti accompagna in scena oltre a Dario e che tipo di sinergia c’è tra di voi?

Dario è ovviamente l’altro fondatore della band quindi ci conosciamo da molto tempo. Gli altri componenti sono entrati a poco a poco nel gruppo. Marta Cannuscio è stata la prima: la conoscevamo perché avevamo amici in comune a Palermo e una volta mi ricordo che l’abbiamo vista suonare contemporaneamente la batteria, la fisarmonica e non mi ricordo che altro synth ed era tipo pazzesca! Con Dario ci siamo guardati e abbiamo detto “Ok Marta, senti ti va di suonare con noi la batteria per questo nuovo disco?” e lei, che ci conosceva molto e che ci seguiva tanto, ci ha detto subito sì. Poi una volta in un locale abbiamo conosciuto Enrico Lupi che faceva da aiuto fonico ma era anche un trombettista e sapeva suonare anche chitarra, piano, flicorno..conosciamo questo ragazzo insomma e gli diciamo “Dai, vieni a registrare delle trombe per il nostro disco!”: lui accetta e poi entra nel gruppo. Successivamente c’è stata Erika, mia sorella, che ci ha sempre ronzato un po’ intorno ed è sempre stata molto coinvolta in ciò che facevamo: aveva studiato chitarra, poi imparò a suonare il sassofono e alla fine anche lei entrò nel gruppo.

L’ultimo arrivato è Roberto Calabrese che è un batterista, diplomato al Conservatorio in pianoforte e suona benissimo il piano, mamma mia! [ride] L’ abbiamo sempre sentito suonare la batteria con Le Formiche, un altro gruppo di Palermo: questo ragazzo  bravissimo che aveva proprio quel groove, quello stile che ci interessava. L’abbiamo corteggiato tantissimo ci ha sempre detto di no ma a questo giro, per questo disco, ci ha detto il fatidico sì e quindi ce lo siamo sposati e l’abbiamo preso con noi. Quindi c’è un’energia molto forte che ci tiene legati un po’ perché ci conosciamo da tanto e un po’ perché ci piace quello che facciamo insieme. Anche loro sono molto dentro alla fase creativa, quindi sono un elemento di fantasia fondamentale.

ECCO LE DATE PROSSIME DEL TOUR:

01/02/2019 Torino – Hiroshima Mon Amour *SOLD OUT
02/02/2019 Milano – Serraglio *SOLD OUT
03/02/2019 Milano – Serraglio – NUOVA DATA
08/02/2019 Pisa – Lumiere
09/02/2019 Roncade (TV) – New Age
22/02/2019 Roma – Monk
23/02/2019 Modena – Vibra
01/03/2019 Brescia – Latteria Molloy
02/03/2019 Ravenna – Bronson
23/03/2019 Bologna – Locomotiv
06/04/2019 Firenze – Flog
19/04/2019 Santa Maria a Vico (CE) – Smav
20/04/2019 Arezzo – Karemaski