Da dove arriva il Natale?

Natale, Hanukkah, Yule e Saturnali. Tante feste ma un unico messaggio: non dimenticare che il sole, simbolo di vita, rinasce sempre dopo le tenebre. Alla ricerca delle origini del Natale dai Celti ai Romani, attraverso i simboli della tradizione. 

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_di Sara Carda

In linea con la filosofia leopardiana che l’attesa del piacere sia essa stessa il piacere, ho sempre pensato che il periodo prima di Natale sia più bello della festa in sé. Dicembre scorre in giorni di attesa in un climax crescente, scandito da cacce ai regali nella suburbana jungla di centri commerciali e ricette di prova a base di colesterolo in vista del Gran Giorno. Un periodo che immancabilmente inizia con la decorazione dell’albero il giorno dell’Immacolata.

Amante delle tradizioni, a casa mia sotto l’albero rosso e oro non è mai mancato nemmeno il presepe, la cui popolazione locale aumenta di anno in anno con l’immigrazione di pastorelli e zampognari, in attesa di un mulino ad acqua funzionante.

Il risultato finale: una piccola Betlemme sorvegliata da un gigante silvano. Un connubio che da bambina mi riempiva solo di meraviglia e soddisfazione, ma da qualche anno la perplessità si era accostata alle prime due. Se ogni tradizione ha il suo significato, e quella del presepe è sufficientemente palese, qual è quella dell’albero?

Per rispondere partì una ricerca che ripercorse a ritroso secoli di storia fino ad arrivare alle lande desolate dei lontani Celti.  A quanto sembra, furono loro i primi ad avere l’usanza di decorare gli abeti rossi, ritenuti magici perché non perdevano le foglie nemmeno in inverno, durante le celebrazioni del Solstizio d’Inverno (che erroneamente facevano cadere il 25 dicembre), chiamato Yule. Gli abeti venivano tagliati, portati a casa e decorati con dei frutti come simbolo della fertilità che sarebbe tornata in primavera. Anche i Romani non erano estranei alle decorazioni boschive e arredavano con rami di pino le case durante le calende di gennaio.

Il Cristianesimo, vedendo quanto erano radicate queste tradizioni e capendo che se non puoi sconfiggerli è meglio unirsi a loro, decise di tenere l’albero e cambiarne la simbologia.

All’abete, caro a Odino, si sostituì l’agrifoglio, le cui spine ricordavano la corona di Cristo e le bacche il sangue, mentre il suo essere sempreverde si collegava all’immortalità. Essendo l’albero nella Bibbia molto ricorrente, il simbolo si rivelò incredibilmente versatile: dall’albero della vita (che ricorda da vicino un altro albero vivifico, l’Yggdrasill dei norreni), a quello del Bene e del Male del giardino dell’Eden (da qui le decorazioni con la frutta), al legno della Croce che salvò il mondo. A livello metaforico, l’albero simboleggia poi il culto della rinascita e il ciclo della vita, non solo nella nostra cultura, ma in quasi tutte le religioni antiche.

L’uso moderno dell’albero di Natale nasce tuttavia nella città di Riga nel 1441 e per molti secoli resta nella tradizione nordica protestante.

La diffusione nel resto dell’Europa la si deve ad alcuni sovrani a metà ottocento: il principe Albert, marito della regina Vittoria, portò l’albero addobbato in Inghilterra, mentre la regina Margherita lo introdusse da noi in Italia cominciando dalle sale del Quirinale.

Ripercorrendo il simbolo dell’albero si vede facilmente come il Natale abbia in sé delle origini celtiche. Il 25 dicembre era il giorno del Solstizio d’Inverno, dove si festeggiava il Sol Invictus, il simbolo della vita che sarebbe tornata in Primavera. L’assimilazione del Sole con Gesù Cristo è stata una delle prime ad essere fatta. Il Cristo redentore, simbolo anche lui di vita e rinascita, è raffigurato spesso con una corona di raggi, e il Cristianesimo si diffonde nell’impero romano proprio mentre il culto del Sole era al suo massimo splendore. Una fusione così radicata che persino molto tempo dopo l’affermazione del Cristianesimo molti credenti, dopo essersi fatti il segno della Croce per entrare in chiesa, si volgevano verso il Sole per un ultimo segno di rispetto.

Ad essa si sommano poi altre tradizioni assorbite dal gigante cristiano. Sempre a dicembre, dal 17 al 24, i romani festeggiavano i Saturnali, otto giorni di bagordi in onore del Dio Saturno, alias Crono, protettore tra le altre cose dei raccolti e delle campagne (restando nel leit motiv di fertilità e rinascita). I romani credevano che durante l’inverno il terreno si riposasse e le divinità degli inferi vagassero in corteo sopra esso. Per accattivarseli per i raccolti dell’anno dopo, offrivano doni e feste in una sorta di carnevale dove le regole sociali venivano ribaltate e i padroni servivano i loro servi (quasi un abbozzo dell’uguaglianza predicata dal nostro Natale), le guerre venivano sospese e veniva eletto un re della festa. Il 19 si scambiavano doni, solitamente oggetti di valore simbolico per gli adulti e dolci per i bambini, accompagnati da biglietti. Marziale nei suoi epigrammi ce ne ha lasciati una gran raccolta, dandoci un esempio della scherzosità di questi scambi, come quello che accompagnava il dono di un pettine a un calvo:

A cosa ti servirà questo legno di bosso dai tanti denti

se qui non troverà nemmeno un capello?

(Apophoreta, XXV)

Il 25 dicembre anche per i romani era poi il giorno di festeggiamenti per il dies natalis del Sol Invictus, motivo per cui si accendevano luci e falò, simbolo della luce che tornava a trionfare sulle lunghe ore buie dell’autunno. Metafora che conduce ad un’altra festività di dicembre, l’Hanukkah ebraico. Per otto giorni, calcolati in base al loro calendario, si commemora la consacrazione del Tempio di Gerusalemme accendendo ogni giorno una delle nove candele del Channukià, un candelabro a nove braccia. Il perché di questa usanza è nota. Ai tempi della consacrazione del tempio, l’olio per la candela, che sarebbe dovuta restare accesa perennemente, bastava solo per una giornata e invece per miracolo durò per otto. Anche qui si ha dunque la simbologia della luce che trionfa sul buio.

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Star of David Hanukkah menorah

Scavando nelle origini, si vede quindi come il Natale, festa cristiana per eccellenza, raccolga in sé l’eredità di molte religioni precedenti o vicine, a dimostrazione del fatto che ciò che da sempre più divide i popoli, il Credo, abbia in realtà un solo messaggio da riferire, ma più linguaggi per farlo: celebrare la vita che torna sempre a splendere dopo le tenebre.

E anche se i secoli e il marketing hanno seppellito tra panettoni e candititi l’origine di una festa che è antica quasi quanto la civiltà, qualcosa di miracoloso resta. Forse si sono persi i significati dei simboli e il messaggio originale, ma in più di due millenni, non è mai venuta meno la voglia di riunirsi un giorno a festeggiare con chi si ama il semplice fatto di essere in vita, e questo è un miracolo che trascende ogni religione o ateismo.

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