Il concerto dei Joe Victor in Ohibò ci ricorda che gli anni Settanta non sono mai veramente passati né di moda. Vi raccontiamo di una performance da “triplete”…
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_di Mattia Nesto
Quando si assiste ad un live dei Joe Victor, la band più californiana di Roma, è come assistere ad una sorta di rito collettivo scandito da momenti ben precisi, sempre diversi da concerto a concerto ma ricorrenti. Ad esempio, non importa tanto la temperatura percepita, ma saprai che il live sta andando bene e sta proseguendo con giusto a seconda del numero di bottoni aperti della camicia del tastierista Valerio Almeida Roscioni oppure delle contorsioni di Gabriele Mencacci Amalfitano al microfono.
Ma questa sensazione di calore è ben confermata dalla grinta, dalla passione e dal pacca, anzi per usare un termine calcistico dalla garra che i ragazzi mettono sul palco e che hanno messo anche l’altra sera in Ohibò.
Già la metafora pallonara non è fine a se stessa se si pensa che poche ore prime, giustappunto nel Derby della Capitale, la Roma aveva regolato la Lazio per 3-1 grazie ad una partita sì impreziosita da virtuosismi tecnici (ad esempio il gol di Pellegrini di tacco) ma anche di azioni muscolari e fisiche (come il sinistro tonante di Kolarov che “buca” la porta laziale, da ex, per il 2-1). E proprio il difensore serbo, che si divide tra squisitezze sulla fascia e recuperi rocciosi, è un buon esempio di cosa sia oggi la musica dei Joe Victor.
Ovvero una musica che, innanzi tutto, si basa su una perizia tecnica e una capacità strumentale di alto, altissimo profilo: è proprio bello ascoltare i ragazzi di Roma perché, lungi dal dirsi improvvisati, sono tutti musicisti perfettamente consapevoli, che sanno quello che fanno e lo fanno benissimo. Però, allo stesso tempo, per citare Boris, ecco che arriva la locura, e quindi quei momenti, sempre gustosi e ben calibrati, di totale impazzimento sul palco, con il gruppo che fa quello che vuole e che si fa seguire dal pubblico in ogni follia.
Ecco che ascoltare i Joe Victor in un locale come il Circolo Ohibò, che si segnala ancora una volta come punto di ritrovo, anzi vero e proprio faro della musica milanese, è una scelta ideale per apprezzare appieno la band. Anche ieri sera infatti i Joe Victor hanno messo in scena uno spettacolo completo, con tante canzoni e pure qualche cover da “far tremare le vene ai polsi”: quanti artisti, al giorno d’oggi, della scena cosiddetta indipendente proporrebbero “Somebody to love” dei Queen? La risposta è semplice: pochi, anzi pochissimi. Eppure i Joe Victor non hanno paura e ne fanno una versione, molto rigorosa anche a livello “filologica”, eccellente, con arditezze vocali veramente impressionante.
E questo combinato disposto, di tecnica ma anche di cuore, di “musica de tacco ma anche de punta” è proprio la cifra stilistica dei ragazzi di Roma capaci di evocare atmosfere anni Settanta da club senza per questo essere tacciabili di nostalgia o spirito di revival. Non è musica vintage infatti quella dei Joe Victor ma è musica attuale che si ispira ad una ben precisa decade, gli anni Settanta giustappunto, che però guarda anche e soprattutto al futuro.
Alla fine, stanchi ma felici come nelle migliori cronache, il pubblico dell’Ohibò si è riversato nell’antistante giardinetto per godersi gli ultimi “caldi” prima dell’autunno che presto busserà alle nostre porte. Ma tutti erano ben consci che per superare l’affranto per l’ennesimo mattino grigio di nebbia la soluzione ce l’hanno a portata di mano: mettere su Spotify i Joe Victor e cominciare ad avere caldo di gioia.