Al di là dei sogni: vent’anni di The Legend of Zelda – Ocarina of Time

Nel 1998 usciva uno dei giochi più importanti non solo della Nintendo ma anche della storia del gaming moderno.


_di Mattia Nesto

Nel 2011 i più attenti videogiocatori si stavano già accapigliando a suon di rovinose morti sul, mitologico, Dark Souls 1.0 edition (dopo essersi innamorati dell’art director Hidetaka Miyazaki con il precedente Demon’s Souls) quando uno spot ha, letteralmente, spaccato i cuori di milioni di appassionati gamer in giro per il mondo. Uno spot molto semplice in cui un padre dalla folta barba, quasi sovrappensiero, parla in modo sognante di tutte le peripezie che l’hanno portato a salvare una misteriosa principessa dal nome fatato. Ad un certo punto la ragazza che porta quel nome ci porta alla realtà dei fatti, ancora più magica di qualsiasi fantasia: lei è Zelda Williams, figlia di Robin Williams e si chiama così perché il babbo è un fan della prima dell’eroina dei videogiochi. Il sorriso che Robin Williams fa alla fine dello spot è ancora più commovente se si pensa che soli tre anni dopo il grande attore ci lascerà.

Lo spot è questo e state pronti ad asciugarvi le lacrime:

Sì ma qual era il titolo che Robin e Zelda Williams giocavano amabilmente sul divano? Si tratta di The Legend of Zelda – Ocarina of Time, riproposizione per Nintendo 3 DS di uno dei giochi più importanti di tutti i tempi, uscito, guarda caso, giusto vent’anni fa. Ocarina of Time (che da qui in avanti chiameremo con l’acronimo OoT) è, a conti fatti, l’episodio di maggior successo della saga nata dall’inventiva di Shigeru Miyamoto, attualmente amministratore e direttore generale del Nintendo Entertainment Analisys and Development, che ha, ancora una volta, rivoluzionato i canoni non soltanto estetici ma anche di gameplay e di come esso influisca anche sulla narrativa nel mondo videoludico.

Apparso su Nintendo 64 è assieme al coevo Nintendo 64 (e forse a 007 Golden Eye) il titolo più importante della console che, almeno sino alla seconda metà degli anni Novanta, rivaleggiava per fama e popolarità con la Playstation 1, in un testa a testa destinato però a risolversi con la vittoria completa di Sony. Tuttavia OoT rimane un capolavoro sotto tutti i punti di vista, vera e propria pietra miliare nella storia videoludica e, certamente, uno dei vertici della produzione di Miyamoto, assieme al primo Zelda, al successivo A Link to the Past e all’ultimo, eccezionale, The Legend of Zelda – Breath of the Wild che, da solo, merita l’acquisto di Nintendo Switch, l’ultima console della casa giapponese.

Una musica che viene da lontano

Ancora una volta nella saga di Zelda, la storia ci appare molto semplice e diretta, nulla di memorabile insomma ma che si lascia ricordare per il modo in cui viene posta e per le atmosfere ed emozioni che essa evoca. Impersoneremo, come da copione, Link, l’eroico elfo incaricato di salvare Hyrule, la mitica terra di gioco, dalle mire di Ganondorf, il Male personificato, desideroso di impossessarsi della Triforza, leggendaria reliquia che esaudisce ogni tipo di desiderio. Apparentemente quindi nulla di nuovo sotto il sole. Eppure, già soltanto leggendo la trama, ecco lo scatto, ecco il tocco dell’artista. Per poter salvare Hyrule, Link dovrà raggiungere, viaggiando letteralmente nel tempo, sette stregoni in grado di bloccare Ganondorf. Tuttavia, per poter viaggiare nello spazio-tempo, Link dovrà imparare determinate melodie per le diverse aree di gioco, da suonarsi giustappunto con l’ocarina. Ecco quindi che la musica in quest’avventura gioca un ruolo capitale, come mai prima (ma ancora oggi) nella storia dei videogiochi.

Un mondo vivo. Anche più di quello reale

Ma il mondo di gioco non si muove soltanto al ritmo dell’ocarina di Link. Già, e questa è una cosa che nel 1998 era veramente utopia anche solo pensarla, perché il mondo di OoT è un mondo vivo che si respira, cresce e cambia indipendente dal personaggio. Chiaramente le nostre azioni influiranno il mondo di gioco e la sua storia, in modo molto profondo e radicato rispetto ai giochi del tempo ed a numerosi di quelli successivi, ma, è qui sta la cosa bella, gli npc e i personaggi che incontreremo si muoveranno in maniera indipendente, in una logica di coloro che sfruttano gli altri e quelli che sono sfruttati da questi. L’Hyrule di OoT è una terra che, pur rimanendo fedele alle caratteristiche fantasy del titolo, appare al videogiocatore come reale e concreta, con regole precise, ranghi sociali consolidati e tutta una serie di precetti che, come anche in Breath of the Wild, possono essere interpretati in maniera libera ma se non vengono compresi si rischia grosso: “Gli sprovveduti, là fuori, sono spacciati”.

blank

 

Enigmi e personaggi: così è la vita

Come si legge in questo formidabile articolo apparso sul mai troppo compianto Prismo qualche anno fa (a questo link: http://www.prismomag.com/zelda-la-leggendaria/) OoT è un titolo fondamentale anche per un combat-system innovativo e che farà scuola (incredibilmente simile, per certi aspetti, a quello che anni dopo Dark Souls e i suoi epigoni): con l’invenzione del cosiddetto z-targeting, cioè quella modalità di gioco che consente di vedersela in un ambiente 3D con un paio di nemici per volte conservando la precisione degli attacchi e i tempismi di un gioco in 2D. Questo feeling con il controller Nintendo, il famoso “artiglione” del 64, era eccezionale per l’epoca ed ancora al giorno d’oggi è un grande esempio per i creatori di videogiochi di oggi.

 

Un gioco da premio Oscar

Già e del livello di game-desing ne vogliamo parlare? Luoghi come il Forest Temple od anche il Water-Temple (che al solo nome intere generazioni di gamers sentono vibrar le vene ai polsi) sono riletture dei classici dungeons e dei soliti enigmi à la Zelda con una qualità altissimi. Infatti il videogiocatore non è più solo portato a ragionare “un’enigma e un’azione per volta” ma dev’essere pronto a fare più cose contemporaneamente, approcciandosi ad ambienti che, essendo in 3D, si sviluppano anche in profondità ed altezza. Tuttavia, rispetto ad altri giochi, non soltanto coevi, OoT presenta un game-designer mai fine a se stesso, ma funzionale alle dinamiche di gioco. Anche il mondo stesso, una specie di open-map con dinamiche sandbox, non è spoglia, anonima o poco ispirato ma ogni angolo di Hyrule brulica di vita, è artisticamente ispirato e coerente con le altre porzioni di mondo. Insomma OoT è un capolavoro sotto tutti i punti di vista e Breath of the Wild ne è il suo seguito ideale. Un gioco, giustamente osannato dai giocatori e dalla critica con un consenso unanime che non si vedeva dai tempi, giustappunto, di OoT.

Per farvi un’idea sull’ultimo titolo di Zelda per Switch vi rimando a quanto detto da Sabaku no Maiku qualche tempo fa:

Definire The Legend of Zelda – Ocarina of Time un videogioco degno di un Oscar non pare quindi troppo peregrino.

Anche perché in fondo, è vero che il primo Zelda è uscito in Giappone nel 1986 ma è stato commercializzato in Nord America e successivamente anche in Europa solo l’anno successivo, il 1987. Proprio quel 1987 in cui Robin Williams, il fan della prima ora della principessa che porta il nome della compagna di Francis Scott Fitzgerald (tanto da darlo alla sua stessa figlia),sarà candidato al Premio Oscar per la sua interpretazione di Adrian Cronauer in Good Morning, Vietnam. Zelda fa parte della nostra cultura, così come Robin Williams. Ecco perché ci piace pensare che nell’ultimo Breath of the Wilde Shigeru Miyamoto e i suoi collaboratori abbiano voluto omaggiare l’attore americano dando il suo volto ad un personaggio del gioco:

blank

Infatti le belle storie non finiscono mai del tutto.