[INTERVISTA] Willie Peyote: “In giro sento un gran rumore di sottofondo e poco contenuto”

Dai palchi torinesi ai riflettori del Primo Maggio, fino allo stage internazionale dello Sziget Festival: l’ascesa del rapper sabaudo Willie Peyote sembra inarrestabile. FUTURA 1993 ha intervistato Guglielmo Bruno per OUTsiders in occasione del Biografilm Park per tirare le somme di uno dei fenomeni rap nostrani del momento.

_di Giorgia Salerno

Ho conosciuto Guglielmo Bruno, in arte Willie Peyote, nel 2016, prima di intervistarlo per l’uscita del suo disco Educazione Sabauda, che con il suo rap cantautorale riscosse un certo successo e si fece sentire forte e chiaro anche nel magico mondo indie – se vogliamo ancora chiamarlo così – fatto di occhiaie, romanticismo e sigarette spente, fumate, accese alle <inserire orario> del mattino.  Un disco di stacco, un disco diverso.

Siamo nel 2018 e ritrovo un Willie Peyote scintillante, forte di un tour incredibile come quello del lavoro precedente e – in aggiunta – di quello che sta vivendo adesso, dopo l’uscita di Sindrome di Tôret, il suo ultimissimo disco, esploso quest’anno come una bomba nelle orecchie dei fan storici e di quelli nuovissimi che lo hanno apprezzato all’istante, grazie ad una produzione verbale febbricitante e una palette musicale variegata ed accattivante.

L’intervista fatta attraverso Futura 1993 mi ha fatto capire ancora meglio il suo modo di vedere le cose: è passato da Bologna in occasione del suo concerto al Biografilm Park che, neanche a dirlo, è stato un successo. Questo è quello che ci ha raccontato.

Com’è per te suonare a Bologna e che rapporto hai con la città?

Ho un bellissimo rapporto con la città di Bologna. È la prima città che mi ha fatto suonare per la prima volta fuori da Torino in un certo modo e quindi sarò sempre legato a Bologna. Va sempre bene ogni volta che suoniamo qui. Ma penso sia reciproco, ci stiamo simpatici a vicenda io e questa città.

È un un grande amore allora.

Sì, spero di sì insomma. Ho avuto la fortuna di frequentarla anche al di fuori della musica e mi piace molto, quindi ci tengo a fare bella figura.

In radio abbiamo ascoltato “Donna bisestile”, un tuo pezzo a cui siamo molto legate: Futura 1993 è un format radiofonico di stampo femminile, quindi raccontaci: come è nata questa canzone?

La canzone è nata facendo un ragionamento su quanto è difficile essere delle belle donne in un mondo in cui tutti vorrebbero un pezzo di quella roba lì, e apposta per questo tutti sono tremendamente gentili. È questo il presupposto che mi ha fatto scrivere questo brano. Quando cominci ad essere conosciuto funziona un po’ allo stesso modo, quindi diciamo che ho scoperto un po’ com’è avere una vagina, ecco! (Ride).

Può calzare questo parallelismo. Sappiamo anche che nell’album ci sono un sacco di riferimenti alla libertà di espressione. Mi sembra di capire che secondo te si debba parlare di libertà di espressione ma che a volte ci si debba anche sapere contestualizzare e fermarsi dove comincia la libertà dell’altro.

Questo penso sia insito nel significato di libertà, fondamentalmente, il fatto che il limite è la libertà altrui. Secondo me se tutti riflettessimo un po’ prima di prima di parlare, e mi riferisco a qualsiasi ambito, sarebbe meglio, anche perché c’è troppa voglia di dire e di fare, c’è troppa fretta in generale. Potremmo andare più piano, io sono uno che parla in fretta, ma lo dico io per primo a me stesso.

Infatti nel tuo disco si sente molto questa necessità di lasciar fluire l’urgenza di dover dire, anche a costo di risultare politicamente scorretto. Secondo te cosa crea questa urgenza?

Il non essere politicamente corretto è una scelta, non è solo un riflesso incondizionato, è proprio voluto. il più delle volte, proprio perché da un altro lato i buoni sentimenti gratuiti rendono tutto stucchevole… in un periodo storico in cui bisogna appunto essere per forza politicamente corretti io cerco di fare il contrario, giusto per dare fastidio. Per l’urgenza comunicativa non lo so, ce l’ho da quando sono piccolo, forse sono io che ho la sindrome di Tourette!

E da piccolo quali erano le cose che avevi urgenza di raccontare?

Non lo so: ero un bambino che parlava molto, diciamo che ero irrequieto. Ma fortunatamente non mi ricordo più io e non si ricorda nessuno… non ci sono documenti, non c’era Internet, non è rimasto niente.

Sempre a proposito di libertà di espressione: cosa credi che oggi la metta a repentaglio?

Mah, diverse cose: dall’esagerazione al fatto che tutti parliamo e sviliamo il diritto stesso di parlare… perché poi nel mucchio non si capisce più chi ha ragione e chi ha torto, cosa c’entra e cosa no. Quindi c’è solo un gran rumore di sottofondo e poco contenuto. Le cose si sovrappongono un po’ tutte: è questo che cerco di dire nel disco.

Nel mondo della musica questa libertà di espressione come la vivi?

Io cerco di dire le mie robe, magari anche dando fastidio perché comunque provocare in un qualche modo è toccare nel vivo gli altri e quindi farli reagire. Però non so, altri non la sfruttano molto perché c’è anche la paura che, prendendo posizione, oggi, ti venga a costare in fatto di numeri, di followers… ed è un peccato.

Entrando più nel vivo della questione musicale, nel disco dici una frase che a me piace molto ovvero: “Mi serve un leader d’opinione che mi dia un’indicazione. Sono più rap o più indie, cazzone?”.  Dato che il tuo lavoro, mi pare di capire, non teme alcuna etichetta, anzi brama un po’ di essere trasversale, che cosa pensi di questa esigenza degli ultimissimi tempi di dover categorizzare tutto, ogni genere, ogni artista?
Il problema è che è sempre successo, sono cambiati i generi e si sono tutti mischiati e bisogna creare delle nuove etichette, però diciamo che è sempre stato più comodo etichettare le persone o i generi musicali, giusto per poterli anche solo disporre negli scaffali dei negozi. Però, ripeto, oggi è talmente tutto mischiato che bisogna inventare delle categorie nuove, quindi inventano l’indie-rap, l’hip-hop, graffiti pop e queste cose qui… poi alla fine è anche divertente vedere che nome nuovo troveranno, devo dire che alla fine sono tutti nomi molto catchy! (Ride).

Come ti senti riguardo lo Sziget Festival? Sappiamo che sarai lì con Motta a rappresentare un po’ l’Italia, è un palco importantissimo.

Sarà strano, adesso non so, perché mancano ancora due mesi circa e quindi mi sto preparando. Però sarà una bella soddisfazione essere lì. Poi a me capita di suonare la stessa sera in cui suona Kendrick Lamar… quindi è proprio una doppia botta emotiva.

E riguardo al rapporto con l’estero? Pensi che la musica italiana faccia parte di una miscela generale perché non ci sia un occhio di riguardo a ciò che c’è fuori, oppure no?

Beh penso che si potrebbe provare a fare un tentativo di aprire un po’ di più i confini nazionali anche musicalmente, dopo di che non ho la ricetta per farlo. È vero anche che Sfera Ebbasta in Francia ci è arrivato e anche bene quindi c’è anche chi ci riesce. Dopo di che la musica è abbastanza standardizzata in tutto il mondo se poi vai a vedere… quindi non credo sia un problema solo italiano. Da noi si è creata questa nuova corrente molto italiana e quindi sono tutti lì a seguire quel filone, però in generale l’omologazione è un dato nella musica di tutto il mondo.

Consigliaci qualcosa da ascoltare prima di venire a un tuo concerto, la playlist pre-concerto di Willie.

Non saprei sinceramente, mi cogliete alla sprovvista! Ascolto tutto quello che esce ma poi torno inesorabilmente ad ascoltare i dischi di prima. Come brano “Dang!” di Anderson Paak e Mic Miller, ma c’ha due anni. Non sono così sul pezzo eh… Ho sentito il disco di Calcutta, ma non sono in grado di dire qual è la mia preferita. E poi devo ancora ascoltare il disco degli Artic Monkeys, sono un po’ indietro.

Ultimissima domanda: ci sono piaciute molto le collaborazioni nel disco, c’è Jolly Mare, Roy Paci, Dutch Nazari. Se potessi scegliere qualcun altro, con chi ti piacerebbe collaborare? Magari anche un nome estero.

No dai un nome estero no, sono nomi troppo grossi e so che non succederà mai! Ci sono molti artisti con cui mi piacerebbe collaborare e quasi nessuno fa parte direttamente del mio ambiente perché mi piace mischiare le carte… Ti posso dire il classico Daniele Silvestri, mi piacerebbe molto lavorare con lui.

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