Dopo l’incredibile successo delle prime due stagioni, la serie tv targata Netflix ha cambiato decisamente “mood”: un po’ come succede ai rapporti di coppia…
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_di Gianmaria Tononi
[SPOILER ALERT] Già li si può sentire mentre si lamentano della terza stagione di Love: è troppo perfetta, troppo poco catastrofica, c’è troppo amore, odio il lieto fine, il meglio era proprio il conflitto, ma com’è possibile non me l’aspettavo.
Da una parte hanno ragione, i primi 22 episodi ci hanno mostrato una “coppia” altamente disfunzionale, con due controparti che si portavano dietro dei grossi problemi e li scatenavano gli uno sugli altri.
Gus è insicuro di sé, ha dei gargantueschi limiti nella gestione della rabbia, è un bugiardo patologico che nasconde tutto a tutti come se non volesse ammetterlo a sé stesso, evita in modo drastico i confronti e non fa altro che provare a piacere a tutti, sempre.
Mickey ha una forte dipendenza da droga ed alcool, ha dei problemi con le relazioni di coppia (classificabili come love&sex addiction nello standard americano) e vive una vita in perenne insoddisfazione, tra un lavoro che non riesce a trovare appagante ed una specie di odio verso l’umanità che la rende particolarmente incline allo scontro.
In tutto questo lo spettatore medio, americano e non, con un’età che si può pensare si aggiri intorno ai 30 anni, riusciva ad identificarsi benissimo, arrivando a sentirsi parte degli episodi e a riconoscersi nei protagonisti (anche se, ovviamente, mescolare la paura di andare a convivere per perdere la propria “libertà” con una dipendenza da relazioni con persone instabili potrebbe non essere proprio esatto).
Il conflitto, l’incapacità di adattarsi gli uni agli altri, di capire l’attrazione l’una per l’altro e di lasciarsi andare completamente, la difficoltà a vivere la coppia ed accettare l’amore, sono tutte le cose che hanno catturato fatalmente l’attenzione dello spettatore.
In questi ultimi 12 episodi cambia tutto: la stagione si apre con una coppia di innamorati, che ormai formalmente sembrano convivere a casa di lei, disturbata mentre guarda una programma TV di dubbio gusto da un’altra coppia non senza problemi, la coinquilina Bertie e l’amico Randy.
Il tutto continua con una coppia che si potrebbe definire “tradizionale”, nel senso stereotipato del termine, che va a fare shopping, gioca a bowling con amici, litiga su piccole cose. Rimane sempre un senso di instabilità, soprattutto perché agli occhi dello spettatore la sequenza Gus-fa-qualcosa-di-male-Mickey-si-incazza-e-lo-molla è sempre presente, quasi come una speranza.
In realtà tutto procede in modo altamente quotidiano, i personaggi riconfermano i loro limiti ed i loro problemi ma riescono a mantenere una certa stabilità che culmina in momenti quasi sdolcinati, litigano ma senza mai uscire del tutto di testa, si confrontano senza attaccarsi. La disabitudine al disastro imminente stupisce e, forse, delude.
Lo stesso spettatore, che nelle prime due stagioni si era espresso con un “finalmente una serie TV che analizzi l’amore oltre ai soliti standard, insomma, che mostri la vita di una coppia vera!”, si trova davanti alla realtà del fatto che le coppie vere si innamorano anche, arrivano anche a vivere felici per un po’ come Gus e Mickey che, a fine stagione, si sposano dopo aver organizzato il tutto al volo e aver invitato solo pochi amici, in una scena che riconosceremmo molto più in Dawson’s Creek che altro.
Premesso che non sappiamo come andrà a finire, che basterà una parola sbagliata per provocare una reazione di rabbia e rottura già 55 secondi dopo il matrimonio, bisogna affrontare la realtà dei fatti, l’umanità è anche questa. È anche essere sdolcinati e pucciosi, mettere da parte tutti i propri problemi perché si è trovato di meglio da fare.
Nel frattempo tutta la stagione è contorniata, perché effettivamente una comedy romantica da sola non se la aspettava nessuno, da altri mezzi disagi di coppia e non: Bertie che tradisce Randy, il cortometraggio di Gus che non va da nessuna parte se non a rincarare la rabbia di lui, il lavoro di Mickey che decolla fino a lasciarle lo spazio del “nemico” in radio. Tutte cose molto umane, molto vive, molto più naturalmente appartenenti a persone più o meno standard di quanto non lo sarebbe stato reiterare una terza stagione di conflitti, ricadute, litigate e incapacità di avvicinarsi.
L’essere coscienti che la ripetizione, per quanto confortante, non riesca a generare nulla di nuovo è ciò che sembra stare alla base di questa conclusione, con gli autori che riescono ad andare oltre alla definizione che era stata assegnata alla loro serie TV, e non è poco.