Prodotto dai Teatri Stabili del Veneto, di Torino e di Genova, è in tournée per il secondo anno di seguito e continua a registrare il tutto esaurito nei teatri italiani ad ogni replica.
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_di Valentina De Carlo
Dal romanzo, al cinema e ora a teatro, nella sua primissima versione teatrale. Uno dei più celebri romanzi di tutti i tempi, Il nome della rosa, viene riadattato al palcoscenico con un tocco multimediale e moderno che non toglie nulla alla magia del teatro, ma che anzi gli regala una sfumatura tridimensionale e realistica che ci cattura, rendendoci un po’ tutti dei sperduti viandanti nell’abbazia più misteriosa di sempre.
Un saio sgualcito che ricopre ogni singolo lembo di pelle dalla testa ai piedi, un buio profondo che domina incontrastato, parole latine che aleggiano nell’aria: ed è subito medioevo. Vengono spazzati via in un momento il velluto delle poltrone, gli stucchi barocchi e il prezioso soffitto del seicentesco Teatro Goldoni di Venezia, per farci subito sembrare di essere in un’arroccata abbazia, adombrata da misteri e oscurata da delitti, anno del Signore 1327.
Il primo allestimento teatrale di uno dei romanzi più celebri al mondo, era una sfida per la difficoltà di trama e ambientazione, ed un rischio per il palcoscenico, poiché arrivava dopo la versione cinematografica di Jean-Jacque Annaud del 1986 con Sean Connery, diventata un cult. Il nome della rosa di Umberto Eco, per l’adattamento teatrale e la regia di Leo Muscato si é rivelato invece uno straordinario successo.
Una sfida avvincente quasi quanto il romanzo quella del regista, che scandaglia una storia che é tante storie insieme, in una matrioska di eventi, dubbi, suspense per adattarla alle quattro pareti, in un intreccio di teatro tradizionale, effetti scenici tecnologici, proiezioni e scenografia multiforme, che diventa quasi un mélange di teatro e cinema, creando una terza dimensione sospesa nel tempo e nello spazio, in cui siamo tutti coinvolti.
Ci sentiamo tutti Adso da Melk, l’allievo dell’acuminato Guglielmo da Baskerville, colui che ci accompagna in un viaggio tortuoso, quello nei meandri della mente umana, della logica della ragione, della verità unica, che si scontra con le molteplici illusioni del mondo. Un monaco outsider é Guglielmo, un credente che non si fa abbagliare dagli estremismi della fede e dai suoi dogmi, che non si fa trascinare dalle imposizioni della Santa Inquisizione, che invece, pur di dare ragione a sé stessa e al proprio potere, tortura, brucia, uccide, sprofondando nello stesso male che dice di combattere, diventando complice di quello stesso demone che dice essere la causa di tutto.
La causa principale delle morti che giorno dopo giorno macchiano di sangue la placida vita dei monaci del convento, facendolo implodere in sé stesso, morte dopo morte, fino alla sua completa distruzione, che spegne qualunque possibilità di chiarezza, che soffoca nel fumo delle ceneri qualunque barlume di giustizia, e che lascia soltanto nel giovane Adso una piccola fiammella di speranza: quella della verità che non muore mai, e che, nella carta inchiostrata delle sue memorie, continua a vivere.
La sinistra atmosfera medioevale, perfettamente ricreata dalla scenografia cangiante, si respira ad ogni scena e la freddezza di un pensiero cinico e crudele, striscia dietro ad ogni delitto come un basilisco assetato di morte e ci fa rabbrividire, mentre i pallidi sospiri dell’amore peccaminoso tra Adso e la giovane mendicante, dell’affetto quasi paterno tra Guglielmo e il ragazzo, dell’amicizia del geniale monaco con il padre superiore, vengono soffocati dalla volontà di accecare il ragionamento ed il pensiero altrui. Volontà che si espande lentamente, come il veleno diffuso dalle pagine del libro proibito.
Un intreccio di più generazioni per un cast che lavora in perfetta sintonia nel dare vita alle pagine celeberrime del romanzo e che, in un movimento quasi circolare, scandito dallo scorrere del tempo e delle preghiere, ne crea una nuova veste per riassaporare, o per chi ancora ne era a digiuno, per conoscere, una di quelle storie che ti mettono in moto i pensieri, che fanno intrufolare nella mente dubbi e domande, che ti insegnano a vedere i fatti da prospettive diverse, che ti fanno riflettere. Lascia parlare il tuo cuore, interroga i volti, non ascoltare le lingue… faceva dire Umberto Eco a padre Guglielmo, e continua a dirlo a noi oggi attraverso le sue pagine, eredità dell’inchiostro, verità che, come la memoria di Adso, non si smetterà mai di brillare.