Continua la ricerca lessicale della rassegna “Parole del contemporaneo” al Circolo dei Lettori

Abbiamo partecipato al secondo incontro della rassegna Parole del contemporaneo al Circolo dei Lettori: ogni mese viene analizzata una parola che viene ampiamente utilizzata del repertorio lessicale della nostra quotidianità – e di cui spesso dimentichiamo significati e origini. In questa occasione sono stati sviscerati usi e significati di alcune parole legate alla cultura digitale, all’entertainment 2.0 e ai social media. 


_ di Beatrice Brentani

Giovedì 22 febbraio Tiziano Bonini (ricercatore in media studies presso l’Università Iulm di Milano) ci ha condotti all’interno dell’universo di relazioni e significati della parola “Follower“, termine ormai divenuto così tanto comune soprattutto grazie alle piattaforme dei social nate negli ultimi anni.

Ma chi è il follower e da chi “discende”? E’ davvero l’evoluzione sapiens sapiens del semplice “fan” sapiens o ne è il suo degrado, il suo opposto? E’ su questi punti che si è concentrata l’analisi di Bonino.
Il fan, afferma Bonini, è il capostipite di questa grande tribù o, per meglio dire, di questo grande universo mediale di “seguitori”, fanatici di un determinato personaggio o di un certo tipo di attività, tematica, argomento, ecc.
I fan non sono un prodotto dell’era del computer ma traggono le proprie origini dalla nascita della cosiddetta cultura di consumo (o cultura di massa), ben distinta da quella che era, un tempo, l’alta cultura, che guardava queste nuove forme di sapienza massificata come se fossero non un patrimonio, bensì un prodotto negativo della società moderna, un annichilimento dell’intelligenza umana.

I fan venivano giudicati come individui quasi deviati, fuori dalla norma per il loro così estremo focus nei confronti di quel personaggio/tema/argomento. Con la nascita della radio, alcuni tra gli ascoltatori più “attivi”, che non si limitavano quindi ad assorbire passivamente le voci dei loro idoli ma che,al contrario, sentivano il desiderio di manifestare le proprie reazioni, cominciarono a inviare delle lettere alle case radiofoniche, lettere che venivano puntalmente scartate e viste come prove dell’incomprensibilità dei comportamenti tenuti da certi individui “fanatici”.

Soltanto alla fine degli anni ’80 si iniziarono a condurre alcuni studi riguardanti il fenomeno sempre più crescente di questo popolo di fan, che aumentava, appunto, con l’accrescere dell’industria del consumo, del cinema, dei media in genere. Il filosofo John Friske coniò il primo termine per definire questa nuova “specie”: fandom (derivante dall’unione delle parole inglesi fanatic e kingdom).

Fandom divenne una vera e propria sottocultura formata da persone che avevano in comune una determinata passione. Si potrebbe dire, per facilitare la comprensione del termine, che il fan non era altro che il nerd odierno: un grande conoscitore (anzi, un maniacale conoscitore) di un argomento ben preciso, al quale dedicava grandissima parte del suo tempo e che ne determinava molti aspetti della sua esistenza.

Iniziarono a nascere, con lo sviluppo sempre più crescente della cultura di massa negli anni ’80 e l’introduzione, nelle case dei singoli individui, della televisione, alcun produzioni culturali alternative, quali fanzines e fanfictions, per esempio, che sembravano formare un vero e proprio universo di protesta nei confronti della cultura “alta”, formata da chi aveva ricevuto un’educazione universitaria e che voleva volontariamente sottolineare la propria differenza nei confronti della cultura “popolare”. I fan si costruirono un capitale culturale alternativo e il loro essere grandi esperti in certi settori li portò ad un accrescimento del loro status simbol, pur senza avere avuto, in moltissimi casi, un’educazione e una formazione di tipo liceale o universitaria.

I fan si trasformarono ben presto, già negli anni ’90, in followers. Ci ha dato una definizione Henry Jenkins:

“FOLLOWERS”: membri di un audience che consumano regolarmente contenuti mediali ma che non costruiscono su questo consumo un’identità sociale specifica, al contrario dei fan.

Mentre, dunque, i fan instaurano relazioni solide e durature con i loro oggetti (e soggetti) di interesse, i followers instaurano relazioni molto più fluide e variabili, limitate nel tempo.

Vi è un’altra enorme differenza tra le due categorie di homo “fanatico”: al contrario dei fan, quella dei followers è un’esperienza molto meno diretta e sempre più telematica con l’aumentare dei prodotti elettronici e dei meccanismi che permettono di seguire il personaggio o l’argomento di cui si è appassionati. Più aumentano i media, insomma, più la specie sembra perdere il contatto con il reale del proprio interesse. Il sapiens sapiens non sembra essere così tanto più eccelso del sapiens, vero? Sembra forse regredire piano piano verso l’habilis, che smanettava con due legnetti per accendere il fuocherello. Ora smanettiamo con la tastiera del computer e digitiamo “Juventus” invece che andarcela a vedere allo Stadio, oppure ci gustiamo il concerto di Mannarino comodamente seduti in poltrona invece che prenderci un treno e seguirlo ai concerti (gli esempi qui presi sono puramente casuali, n.b.).

L’aumento di minuti passati davanti agli schermi sta aumentano in maniera esponenziale: nel 2016 la statistica ha riportato alcuni dati che possono essere definiti, in termini anche riduttori, a dir poco impossibili da credere. Lo spettatore americano medio spende circa 270 minuti della propria giornata con la televisione accesa. L’Italia non lo precede di molto: 248 minuti.

Il drama, come ha affermato Raymond Williams, si è ormai instillato nella nostra quotidianità, nelle nostre case, e può essere facilmente fruito senza il minimo bisogno di spostarsi dai propri agi. L’audience è aumentato, con una conseguente diminuzione delle pratiche di lettura di libri, riviste e giornali (quante ore di attenzione richiederebbe il soddisfacimento completo di tutta la vasta gamma di entertainment che l’era odierna ci fornisce? E’ chiaro che i consumatori debbano operare alcuni tagli e scelte di posizionamento, e ovviamente le pagine stampate sono quelle che risentono maggiormente di questi tagli a favore della fruizione “diretta” che consentono televisione, Internet e social media).

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La comunicazione moderne non è più, semplicemente, una comunicazione massificata, com’era quella al tempo dei fan, ma è ormai una comunicazione diffusa, in cui siamo sempre più spettatori che mal si distinguono dai loro soggetti di interesse, che spesso “seguono” con bassissimi livelli di attenzione. Non solo, ma si sta anche attuando, recentemente, una vera e propria con-fusione tra spettatore e attore: molto spesso, gli spettatori tendono a emulare comportamenti e modi di pensare delle celebrities a cui fanno riferimento (basti pensare alle milioni di micro-celebrities che nascono ogni giorno su Facebook, Twitter e Instagram, oppure ai fenomeni di life-streaming e self-branding, attivissimi soprattutto su Instagram, che ormai prevalgono nei profili di moltissimi giovani, i quali pubblicano quotidianamente foto e video prendendo a modello lo stile di vita delle star).

Ma non è questo il lato più oscuro del fenomeno del following. L’aspetto più infimo è infatti quello della co-veglianza: postare le proprie foto implica non solo che qualcun altro, potenzialmente l’intero universo di Internet, le possa vedere, ma implica anche che qualsiasi persona può essere così in grado di “controllare” in diretta le tue azioni, i tuoi viaggi, la tua posizione, il tuo inverso. Ed è, questo, un circolo vizioso, perché tu puoi controllare gli altri a tua volta. La privacy è svanita, il gusto per la ricerca e la passione sfrenata che conduce a seguire ovunque la tua band del cuore e strapparti i vestiti ai concerti (chi ha avuto l’immensa fortuna di partecipare ai concerti dei Beatles ha visto questo e molto altro) sono, dunque, morti, o se ancora esistono, ne rimangono rarissime tracce in quei pochi individui sapiens, che davvero ripugnano l’idea di divenire sapiens sapiens. Perché essere sapiens sapiens non conviene più di tanto. Forse, occorrerebbe un po’ di “intelligenza artificiale” in meno. 

 

Vi segnaliamo quali saranno i prossimi incontri di Parole del contemporaneo:

  • Giovedì 29 marzo, sempre alle ore 18.30, sarà la volta di “poliamore” (neologismo che esprime il concetto di “amori molteplici”), lemma analizzato da Marta Dore, giornalista e blogger.
  • Mercoledì 18 aprile, alle 18.30, si parlerà di “cittadinanza”, parola chiave che denota il rapporto tra un individuo e lo Stato e stabilisce la piena appartenenza da parte dell’individuo dei diritti civili e politici in una determinata nazione.
  • Mercoledì 23 maggio, alle 18.30, si parlerà di “sfruttamento” con Marco Revelli, docente di Scienza della politica all’università del Piemonte Orientale e autore di Frontiere e Populismo 2.0.

L’ingresso al singolo incontro è di € 5; Carta Smart € 3; Carta Plus e Amici di Torino Spiritualità gratuito.