[INTERVISTA] Simon Reynolds e la Polvere di Stelle: il glam tra maschere e autenticità

Quattro appuntamenti letterari hanno riportato Simon Reynolds in Italia per parlare del suo ultimo lavoro dedicato al glam. “Polvere di Stelle. Il glam rock dalle origini ai giorni nostri”, edito da Minimum Fax, è un imponente tomo di 700 pagine che scava tra glitter e saette per catapultarci di nuovo in questo millennio in cui l’eredità di Bolan, Bowie & co. è ancora predominante, anche dove non ce l’aspettiamo.

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_di Simona Strano

Incontriamo Reynolds a Catania, poco prima dell’appuntamento a lui dedicato all’interno della rassegna Leggo. Presente indicativo, svoltosi al SAL – Spazio Avanzamento Lavori.
Dietro gli occhiali dalla montatura pesante, il critico musicale classe ‘63 nasconde dei vivacissimi occhi azzurri. La passione con cui parla di musica e contesti sociali ad essa associata lo porterebbe a parlarne per ore e ciò si capisce immediatamente, già dal primo scambio di battute.

Quando il glam rock nacque, venne da subito considerato un prodotto quasi trash, fatto di plastica: queste sono sicuramente definizioni di una cosa che non è nata per durare. Perché parlarne ancora, quasi 50 anni dopo?

“Sono sicuro che un sacco di gente ami ancora quella musica e si tratta di un periodo musicale strettamente collegato a ciò che succede ancora adesso.
Ma anche se non lo fosse stato, beh… è successa la stessa cosa quando ho iniziato a scrivere del post punk: il pubblico lo stava riscoprendo attraverso band che avevano quelle influenze ma, all’epoca, non fu solo questo a convincermi di occuparmene.
Credo si sia trattato più di una felice coincidenza, dovuta anche al mio interesse per quel genere. Ciò che mi è accaduto col periodo glam rock è davvero molto simile, per tanti motivi. Fino ad allora c’erano state miriadi di band piene zeppe di ideali politici del genere ‘i rocker sono un mezzo per cambiare le cose’, invece col glam iniziò l’interesse per le idee, le performance, si iniziò a giudicare la stessa sorte del rock, valutandone sia la mitologia che la storia. Si trattava di post modernismo e avevo tutte queste idee sull’età della decadenza, su quella sorta di disperazione che avvolgeva gli anni ‘70, l’inquinamento, la fine del mondo dietro l’angolo…

Stavano accadendo veramente tantissime cose e, tra tutti gli artisti, Roxy Music e Bowie erano le band più intellettuali, nonché quelli che hanno influenzato di più il post punk. I Roxy, ad esempio, avevano frequentato la scuola d’Arte e sono rimasto molto sorpreso quando ho invece scoperto che Bowie non aveva nessun titolo di studio. Aveva lasciato la scuola a 16 anni, non aveva frequentato l’università… eppure, considerate le sue idee avresti potuto pensare ‘è uno di quelli che ha studiato’. All’epoca la maggior parte delle band inglesi proveniva dalle Accademie di Belle Arti, ma lui no. Nonostante ciò, spiccava per essere il più artistico e creativo di tutti. Anche nell’epoca del post punk tantissime band avevano frequentato quel tipo di scuola ed effettivamente uscirono fuori formazioni particolarmente creative: Scritti Politti, Throbbing Gristle, Talking Heads, Wire.”

Non dovremmo supporre che le star siano esseri umani perfetti a prescindere, o che abbiano idee politiche perfette… trovo sia un po’ infantile.

“Ho sempre trovato molti parallelismi tra questi due generi… E poi sono interessato alla musica, al tipo di idee che la gente metteva nelle proprie produzioni. Mi interessa sempre il contesto sociale e provo a ricostruire gli orizzonti intellettuali dell’epoca, il loro modo di pensare, a voler essere preciso. Mi interessa il discorso generale dell’epoca di cui scrivo, e ciò include non solo le band ma anche la critica e i fan. Sono tutti livelli che compongono lo stesso contesto. Inoltre è sempre un’occasione per comprendere a cosa serve la musica, cosa significa, che potere ha. Possiamo comunicare la verità attraverso di essa o si tratta di solo intrattenimento, una distrazione, una fantasia? Forse è solo un luogo dove possiamo trasformarci in ciò che non siamo? Il glam ti permette di parlare di molte questioni interessanti come la fama, la decadenza e gli artifici, ma anche l’autenticità e la natura dell’intrattenimento e, dunque, se la musica debba essere più che semplice svago.

Quindi ecco perché sono stato attratto dal glam… anche se prima di tutto amo i dischi, i personaggi e le personalità di quell’epoca. Sai, probabilmente non erano brave persone… Hai mai avuto l’impressione che fossero equivoci o politicamente ambigui? Ma sono comunque personaggi affascinanti, esattamente come lo sono i personaggi di una storia inventata, si tratta di gente che drammatizzava la propria figura in pubblico. Quelle di Bowie, Marc Bolan, Alice Cooper sono figure interessantissime di cui scrivere ma il bello è che non devo necessariamente approvarli, non dovrebbe interessarmi dire ‘quella è una brava persona’. Così facendo ho capito perché è possibile distruggere una celebrity per qualcosa di brutto che ha compiuto nella vita privata. Non dovremmo supporre che le star siano esseri umani perfetti a prescindere, o che abbiano idee politiche perfette… trovo sia un po’ infantile. Dopotutto nessuno di noi è perfetto. Gli stessi membri delle nostre famiglie non sono perfetti, eppure viviamo con loro o, comunque, non li respingiamo mai completamente. Quindi perché mai dovrei aspettarmi che gli artisti siano migliori di chiunque altro?”

Anche scrivere è una performance: che tu sia su una rivista o su un libro, sei comunque di fronte al pubblico. Ovunque tu stia per mostrarti a qualcuno, su qualsiasi tipo di palco, stai già creando una sorta di performing self

Leggendo “Polvere di Stelle” ho notato come il glam fosse effettivamente appetibile per i ragazzi normali. Non era solo per outsider ed emarginati. Mi viene da pensare a “Velvet Goldmine”: uno studente normale che chiude la porta della sua cameretta e si trasforma, sconvolgendo i genitori e gli adulti attorno a lui. Perché il Regno Unito è stato il posto giusto al momento giusto per far esplodere questa corrente? Credi fosse solo una risposta al bigottismo della middle class?

“C’è una sorta di ‘spettro del glam’ da considerare: si parla di high glam (con dentro Bowie, Roxy Music, Cockey Rebel e qualche altra ottima band come gli Sparks) amato dalla gente che voleva essere un freak, uno stramboide e desiderava profondamente essere diverso.
Soprattutto con Bowie questo processo risultò assai evidente: i ragazzi lo vedevano come una figura che gli diceva ‘finalmente puoi essere quel che desideri’ e comunicava come potevi mostrarti al mondo per la persona stramba che eri o, in alternativa, reinventarti completamente.
Per questo motivo era considerato un simbolo di liberazione.
Si tratta comunque di un modo più egoista e individuale di essere liberi rispetto agli anni ‘60, la cui base era ‘cambieremo il mondo tutti insieme’, ma è comunque una forma di liberazione e, soprattutto, di evasione da ciò che si era veramente… Ad esempio i Roxy Music rappresentavano la pura evasione dalla working class per rifugiarsi nell’illusione di un mondo più aristocratico…
Andando invece verso il low glam, quello più basso (che la gente chiamava anche musica glitter), si trovavano un sacco di giovani uomini truccati che indossavano abiti da donna. Il fulcro di questa musica era il beat, aveva un ritmo particolarmente incalzante da ballare. Si tratta di musica rock su cui puoi scatenarti, come quella degli Slade. Queste band indossavano abiti scintillanti ma non molto glamourous e non erano per niente femminili, anzi, erano dei tizi particolarmente tosti!
Avevano come fan sia ragazzi che ragazze e il feeling che comunicavano era ‘scateniamoci completamente’. In qualche modo era musica per adolescenti che andavano ancora a scuola o per quelli che l’avevano abbandonata presto e, non avendo un lavoro particolarmente interessante, si sfogavano nel weekend.
Andare in discoteca diventò di uso comune proprio all’inizio degli anni ‘70 perché i locali smisero di essere posti frequentati solo dalla gente più hip. Fino ai ‘60s erano pochissime le discoteche nel mondo… forse ce n’era una a Parigi (dopotutto deriva da discoteque, in francese), un paio a Londra e New York… erano veramente esclusive e, per questo, si trattava di luoghi in cui entravano le pop star, dove solo gente come gli Stones andava a bere.
Negli anni ‘70 le cose cambiarono e il concetto di discoteca si diffuse in qualsiasi cittadina del Regno Unito e d’Europa: la gente non usciva più per sentire le band suonare live ma per ascoltare i dischi. La musica di band come Slade, Sweet e Suzi Quatro diventò molto popolare, poiché si trattava di ottimi dischi ballabili perché, certo, potevi ballare anche sui singoli di Bowie o dei Roxy Music, ma si trattava di album dal sound più adulto, che potevi ascoltare anche seduto a casa. Insomma, decisamente diverso dagli Slade… quelli sono brani che devi ballare battendo i piedi per terra. Quindi sì, il glam piaceva ai ragazzi normali e non esisteva solo per i weirdos… e per questo diventò di uso comune truccarsi e vestirsi da donna come le pop star. Inoltre, un sacco di ragazzini etero iniziarono a truccarsi un po’, indossando colori molto vivaci e non era un problema, proprio perché, alla fine, imitavano le star di quel periodo.”

Fino ad allora c’erano state miriadi di band piene zeppe di ideali politici del genere ‘i rocker sono un mezzo per cambiare le cose’, invece col glam iniziò l’interesse per le idee, le performance, si iniziò a giudicare la stessa sorte del rock, valutandone sia la mitologia che la storia.

Mi è venuto in mente anche Pirandello…

“Oh, Pirandello! Certo, i personaggi in cerca d’autore!”

Esatto! Pirandello diceva che tutti noi abbiamo una maschera da usare in ogni situazione, per ogni evento pubblico o privato. E questa, alla fine, è la regola n. 1 del glam. Trovo incredibile che sia valida ancora oggi, nonostante ci siano i social e le star passino tutto il giorno su Instagram! Il glam ha insegnato alle star a separare vita pubblica e privata…

“Probabilmente ciò che accadde è che i performer iniziarono a essere confusi, non riuscivano più a distinguere la propria immagine pubblica da quella privata. Continuando ad oscillare tra questi due elementi non riconoscevano più la loro vera identità, né quali fossero i confini della loro persona. Basti pensare a Bowie e al personaggio Ziggy Stardust che, di fatto, prese il suo posto. Questa è decisamente una buona idea: separi la tua vita reale e la proteggi… farlo è più difficile di quel sembra. Dovevano recitare costantemente un ruolo e, soprattutto, avere a che fare con le pressioni create dalle aspettative del pubblico… se volevi camminare per strada, beh, la gente non era interessata per niente alla persona vera. Loro volevano il Mick Jagger da palco a cui erano abituati, non il vero Jagger.

C’è una famosissima storia che riguarda proprio lui (ride, ndr) e una donna, una groupie, che dopo aver passato la notte con lui disse: ‘Lui era ok, ma non era Mick Jagger!’. In qualche modo lei aveva immaginato un’esperienza sessuale fuori dal mondo… ma, in fin dei conti, l’aveva immaginata più col personaggio che con la persona reale! Oppure potresti essere più uno come Morrissey, che sa essere molto arguto e divertente quando vuole, ma forse è semplicemente troppo faticoso comportarsi sempre da persona spiritosa o brillante che ha sempre la cosa giusta da dire!”

La forza di questo libro – oltre alle biografie accuratissime e all’analisi storica – credo sia l’ultimo capitolo (in cui l’autore parla delle influenze del glam nella musica attuale, ndr): è veramente incredibile… Credo faccia in modo che le generazioni più giovani incontrino quelle precedenti, portandole a scoprirsi e capirsi a vicenda. Personalmente la considero una vittoria!

“Oh, ti è piaciuto? Credo sia stata la cosa più divertente che abbia mai scritto. Volevo sicuramente dimostrare che il glam non è durato solo quei 2-3 anni ma che in realtà ha portato con sé degli effetti secondari importanti. Nella versione inglese del libro il sottotitolo è “Glam Rock and its Legacy from the Seventies to the Twenty-first Century” e in inglese la parola legacy sembra veramente tediosa. “Legacy, heritage!” (lo dice facendo un vocione, ridendo, ndr), dai, è noiosa!
Quindi il capitolo volevo chiamarlo in maniera più leggera: pensavo quindi ad “Aftershocks” (che significa “Scosse di assestamento”, ndr) o “Echoes” o “Reflections”, perché le idee del glam sono ancora molto ricorrenti.
“Legacy” alla fine non è una parola brutta, solo che spesso viene usata per altre tematiche come ad esempio “The Legacy of Slavery”, e prende subito accezioni negative.
Certo, non tutte le attitudini lasciate dal glam sono buone, anzi! Volevo però far notare al lettore come moltissimi artisti ne vengano ancora direttamente influenzati.
Quando ho iniziato a scrivere questo capitolo utilizzavo un approccio più metodico e logico ma credo che il risultato iniziale fosse un po’ noioso, da scrivere e da leggere. A quel punto ho deciso di muovermi più liberamente tra gli argomenti, provando a scriverlo come se fosse un blog ed è diventato tutto molto più godibile. Non ho inserito tutto il materiale che volevo ma gli argomenti più importanti ci sono tutti. Infatti si parla di Lady Gaga o Marilyn Manson, c’è anche un po’ anche di roba che definirei anti-glam, come il grunge.

Mi sono dedicato più ad un metodo dialettico, seguendo il flusso storico, dedicandomi agli eventi in cui sia glam che glamour fossero i valori dominanti. La gente crede che il rock sia solo showbiz, ma poi arriva sempre qualcuno che dimostra come il rock possa ancora significare essere veri e autentici o che sia sinonimo di ribellione o di provare a cambiare il mondo: proprio per questo sono arrivati il punk e il grunge. Sono concetti che vanno e vengono, ad ondate. Ogniqualvolta la musica si trasforma in qualcosa di estremamente serio e prolisso, la risposta sarà sempre un ritorno all’intrattenimento, allo show puro.”

Il glam ti permette di parlare di molte questioni interessanti come la fama, la decadenza e gli artifici, ma anche l’autenticità e la natura dell’intrattenimento e, dunque, se la musica debba essere più che semplice svago.

Quando uscì “Retromania” venne detto che 500 pagine erano veramente troppe per un argomento del genere. La tua risposta arriva adesso, con ben 700 pagine dedicate al glam. Come hai organizzato il flusso di lavoro? Leggevi i giornali dell’epoca? Ascoltavi la musica delle varie band mentre lavoravi alle loro biografie?

“Sì, esatto. Ho approfondito la ricerca soprattutto sui giornali dell’epoca ma ho iniziato con letture generiche… sai, la storia, le teorie… poi è arrivata una fase in cui sono andato a cercare tutto ciò che riguardava il concetto di carisma. Per l’occasione ho letto un libro veramente interessante, “Storia della Bellezza” di Umberto Eco, che parla di come sia cambiato questo concetto nei secoli, seppur poi non ve n’è traccia nella mia pubblicazione. Ho letto anche un libro incredibile, di un pensatore del XIX secolo, Thomas Carlyle, che trattava di eroi e del concetto di eroismo (“On heroes, hero-worship and the heroic in history”, ndr) e in questo caso mi sa che solo un pizzico di questo saggio è finito in “Polvere di Stelle”.

Nonostante mi sia messo a lavorare sui magazine musicali dell’epoca, non mi sono dedicato al solo ambito glam, giusto per poter capire cos’altro stesse succedendo musicalmente. Spesso i vari generi dialogano tra loro solo parzialmente.
Volevo afferrare le sensazioni di quel tempo e, per questo motivo, mi sono messo a leggere anche la sezione dei giornali dedicata alle lettere dei fan: potevo capire chi e perché amava o odiava Bowie, leggevo come il glam venisse considerato ridicolo e privo di contenuti o valori mentre invece altra gente scriveva ‘Grazie a Dio esiste questo gruppo! La musica era diventata noiosa e loro l’hanno salvata!’.
Ovviamente ho ascoltato tanta musica ma l’obiettivo principale era provare a ricostruire l’evoluzione del rock. Ho iniziato dal rock’n’roll, dai primi Beatles e Rolling Stones fino a quello di fine anni ‘60: Allman Brothers, Cream… provavo a capire come si fossero evoluti i suoni di chitarre e batterie. Il glam è ampiamente definito dal vestiario ma ovviamente c’era un nucleo sonoro e dovevo mapparlo per descriverlo. Il nucleo stava tutto nella semplicità delle composizioni, nelle strutture che derivano direttamente dagli anni ‘50 ma con i più avanzati mezzi tecnici di produzione degli anni ‘60.

Se prendi un brano glam con riferimenti fortemente fifties e lo metti accanto ad un brano originale di quei tempi, ti accorgerai di come nel primo le chitarre siano più pesanti e corpose, le batterie veloci e potenti. Ed è veramente bizzarra questa voglia di voler tornare indietro ma in modo molto contemporaneo, per gli anni ‘70, ovviamente. Le chitarre del rock’n’roll delle origini sono sottili e graffianti, per questo motivo veniva spesso associato il pianoforte come strumento guida per rendere il disco più d’impatto. Questo accadeva perché non era materialmente possibile rendere il suono della chitarra più sostanzioso: non era ancora stata inventata la distorsione! Uno dei primi gruppi ad usare questo effetto furono poi i Kinks, li conosci, no? “You Really Got Me” è praticamente considerata la prima canzone che più si avvicina all’heavy metal! (canticchiamo il riff, Reynolds ne sottolinea il suono distorto, ndr). Non esisteva niente del genere prima! Ho ricostruito questi passaggi, ho riascoltato i dischi, ho letto biografie, usato veramente tanto YouTube… ho guardato DVD, documentari e interviste. C’era veramente troppo materiale e credo di essere riuscito a disfarmi adeguatamente di quelli in eccesso. Certo, c’erano tanti altri argomenti che avrei voluto inserire ma sarei arrivato facilmente a 3 volumi.”

Ma un’enciclopedia del glam sarebbe stata bellissima!

“Non ne sono così tanto sicuro!” (ride di gusto, ndr)

Credi che la morte di David Bowie, mentre eri completamente immerso in questo lavoro, abbia cambiato il risultato finale? Ha in qualche modo alterato il tuo metodo di ricerca?

“Il giorno che Bowie è morto il libro era praticamente finito. Stavo concludendo l’ultimo capitolo, “Aftershocks”. Credo mi mancassero una o due pagine per chiuderlo definitivamente quando cominciarono ad arrivare i tweet.
Ho subito pensato ‘e io che credevo di aver finito!’
Pensavo di non aggiungere nulla ma mia moglie mi ha subito convinto dicendo che avrei dovuto inserire qualcosa a riguardo. L’evento in sé non ha cambiato molto il risultato finale, ma ho aggiunto nuovi elementi.
Ovviamente sì, credo che se Bowie fosse morto durante la lavorazione vera e propria del libro, avrebbe fortemente influenzato la mia scrittura, si sarebbe ammorbidita moltissimo scrivendo la sua storia… invece nel libro sono spesso critico nei suoi confronti e devo dire che, in qualche modo, ne sono lieto: non tutto ciò che ha realizzato musicalmente è stato di qualità, a volte la sua filosofia mi è parsa un po’ dubbia… quindi sono felice di essere riuscito a parlarne in un certo modo, per poi aver comunque scritto belle cose su di lui!”

Scrivi recensioni musicali da una vita ma leggi le recensioni dei tuoi libri? Qual è il tuo approccio con la gente che giudica i tuoi lavori?

“Certo, le leggo tutte! Spesso sono molto gentili e (i critici, ndr) vedono dettagli a cui io non ho prestato attenzione. Spesso però, leggendo anche le review migliori, mi sento come se non si fossero afferrate del tutto le tematiche di fondo.
Per questo libro ho ottenuto delle recensioni molto positive ma, soprattutto in UK, in tanti hanno visto questa pubblicazione come una inequivocabile celebrazione dell’artificialità e della plastica, del solo divertimento.
Certo, in parte lo è, ma non tutti hanno capito del tutto le implicazioni politiche o anche filosofiche, come ad esempio il far finta di essere ciò che non sei.
Significa mentire o può essere un modo per rappresentare te stesso, il tuo vero animo? Si trattava di un sogno impossibile a cui non si poteva rinunciare?”
Anche la politica era assai presente nel glam: usciva fuori quando Bowie parlava di fascismo o nell’attitudine politicamente controversa degli stessi Roxy Music!
Comunque ho avuto ottime risposte.

Per ‘Retromania’ furono scritti veri e propri saggi e sono riuscito a prendere nuovi spunti. Ho ricevuto anche riscontri assai strani, spesso anche molto ostili, da gente che sembrava proprio arrabbiata con me. In una recensione lessi che un mio libro era ‘pieno di rabbia e collera’.

In molte occasioni riesco ad essere semplicemente tollerante ma devo dire che queste reazioni mi affascinano tantissimo! Parlandone adesso non mi sembrano neanche così profondamente negative, a dirla tutta.
Una cosa che si verifica spesso è che la recensione dice più sul critico che sull’opera che ha recensito!
Spesso la gente recensisce i libri per crearci attorno una celebrazione della propria scrittura, una performance testuale, per sfoggiare le proprie capacità. In qualche modo è quel che faccio pure io recensendo i dischi… Ovviamente devo dire la mia verità, cosa c’è di bello o brutto in un album ma, allo stesso tempo devo rendermi piacevole e mettermi un po’ in mostra. È come il glam! Anche scrivere è una performance: che tu sia su una rivista o su un libro, sei comunque di fronte al pubblico. Ovunque tu stia per mostrarti a qualcuno, su qualsiasi tipo di palco, stai già creando una sorta di performing self; crei dal nulla una tua autorità… anche per questo spesso quando conosci gli scrittori dal vivo potrebbero non sembrarti straordinari come ti aspettavi leggendoli.
Anche io ho un aneddoto simile a quello di Mick Jagger! Una volta qualcuno è venuto ad un mio evento e chiacchierando ha detto “Beh, sei simpatico… non mi sembri proprio Simon Reynold!”. Mi immaginavano più autoritario!
Qualche autore che è impressionante anche dal vivo c’è, di certo. I critici musicali sono soprattutto nerd, personaggi un po’ più timidi che sui loro pezzi possono però permettersi di scrivere ‘questa è la verità assoluta!’ o ‘questa band è terribile e la distruggerò!’.
Questo è crearsi una propria autorità, un proprio personaggio. Però sì, in alcuni casi è ovviamente possibile continuare ad essere una persona vera, anche pubblicamente.
Questi concetti si possono applicare a tutto… al teatro della politica, ad esempio, coi suoi allestimenti, con gli eventi spesso organizzati a tavolino.
Questo è tutto ciò su cui si basa la figura di Trump, alla fine, e sono sicuro sia una tradizione anche in Italia, no? Mussolini!”

Se Bowie fosse morto durante la lavorazione vera e propria del libro, avrebbe fortemente influenzato la mia scrittura, si sarebbe ammorbidita moltissimo scrivendo la sua storia… invece nel libro sono spesso critico nei suoi confronti

Sì, certo! E dal 1994 con Berlusconi la pratica si è diffusa ancora di più, l’intrattenimento dell’elettore è in primo piano.

“Berlusconi possiede anche dei canali Tv, giusto? Quindi capisci le somiglianze? Esattamente come Trump, che è stato più una persona di spettacolo che un businessman negli ultimi 20 anni.
Più ci penso e più lo trovo interessante, questo elemento teatrale… avere un’immagine pubblica che porti avanti la performance al posto tuo… Pensa a quanto impegno, a quanta vita si debba sacrificare per recitare una parte e mettersi dietro ad un’immagine appositamente costruita.
Anche la gente comune deve continuamente farlo: l’esito di un colloquio di lavoro dipende da come ci si presenta, se si dimostra sicurezza… magari senza dimostrarne troppa!
Quindi sì, come dicevo, spesso mi accorgo che non stanno parlando dei miei libri, parlano di loro stessi, prendono spunto da qualche elemento che possa poi portarli a scrivere di ciò che vogliono.
Tante volte mi è capitato di voler rispondergli! Ma essendo io stesso un critico, so come funziona. Rispondere non è MAI una buona idea… quando apri un magazine e vai nella sezione delle lettere alla redazione, è tutto parecchio negativo, molto brutto!
Tempo fa credo di averne scritta una pure io (lettera di contestazione, ndr), non per un mio libro, ma in seguito ad un’incomprensione… ma è sempre difficile scrivere una risposta che non risulti pomposa o che non mostri quanto tu sia ferito.
Anche se la recensione ti sembra assolutamente sbagliata e ingiusta, la cosa migliore da fare è ignorarla. Io alla fine sono parecchio fortunato: me ne capitano soprattutto di positive!
Spesso mi sembra anche che ci sia gente che scrive elogiando tantissimo le opere ma, che lì in mezzo, provi sempre a sottolineare qualcosa che non va! Forse per sembrare più bilanciati… non saprei. Sai, probabilmente l’ho fatto anch’io, scrivendo le mie recensioni in passato: ti senti un po’ come se dovessi evitare di lodare completamente il prodotto provando a far notare almeno i piccoli difetti.”

Illustrazione di copertina cura di Giulia Tassi